Giusto un anno fa, il consigliere de L'Aquila città aperta Giorgio De Matteis lanciava un allarme piuttosto preoccupante: "Cittadini del centro storico mi hanno cercato per denunciare un problema che sta diventando particolarmente serio e che riguarda i lavori in corso d'esecuzione da parte della Gran Sasso Acqua per i sottoservizi" aveva spiegato; "a quanto pare, i lavori eseguiti a filo dei palazzi starebbero creando problemi alla stabilità degli edifici". A De Matteis aveva risposto Gianni Frattale, già presidente dell'Ance provinciale e coordinatore generale della Asse Centrale Scarl, l'Ati che ha ottenuto l'aggiudicazione del primo lotto dei lavori da 38milioni di euro: "Ci piacerebbe sapere sulla base di quale preparazione tecnico scientifica e su quali riscontri oggettivi De Matteis lancia il suo irresponsabile allarme sulla stabilità degli edifici ubicati nelle strade attraversate dai sottoservizi", si era chiesto.
Sul tavolo, in realtà, c'era una nota firmata dal Consorzio Sant'Emidio di Piazza Duomo, civico 121, che manifestava preoccupazione per la stabilità dell'edificio, a seguito dello scavo per la realizzazione del tunnel che, sottolineavano i consorziati, sarebbe stato riempito poi con materiale di risulta. "Gli inquilini di alcuni consorzi hanno dei timori, e possiamo comprenderli", aveva replicato Aurelio Melaragni, responsabile unico del procedimento, audito in Commissione territorio qualche giorno dopo; "d'altra parte, i lavori hanno un impatto importante ma stiamo cercando di fare le cose al meglio. Come per altre segnalazioni - aveva assicurato - proveremo che il lavoro è stato svolto a regola d'arte: forniremo risposte tecniche adeguate e, se necessario, procederemo con sondaggi, carotaggi".
E' passato un anno e il problema si ripropone, oggi.
Infatti, i tecnici di due aggregati del centro storico - su Corso Vittorio Emanuele, al corso stretto per intendersi - di cui sono enti esponenziali il Consorzio 'Filomusi Guelfi' e il Consorzio 'Cavalieri di Malta', hanno evidenziato problematiche ed interferenze serie a seguito della realizzazione del tunnel dei sottoservizi. In particolare, sul primo aggregato - sul quale i lavori strutturali sono ancora in corso - si sarebbe verificato un aggravamento delle condizioni generali, sull'altro invece - sul quale le opere di riparazione strutturale prospicienti Corso Vittorio Emanuele sono invece concluse per la parte strutturale - sarebbero comparse lesioni sia alle strutture verticali che alle strutture orizzontali del piano terra, segno evidente - così si legge in una relazione - di uno "scivolamento del piano fondale".
Se ne è parlato stamane in Commissione territorio, convocata dal presidente Enrico Perilli. A verbale, alcuni stralci di una relazione tecnica firmata dai direttori dei lavori e che riguarda, in particolare, l'aggregato 'Cavalieri di Malta', composto da tre subaggregati, di cui due sono ancora in fase di cantiere (partizione 1093 e 1235), ed uno dei due è alle fasi conclusive (il 1093), e il terzo (partizione 1306) è invece agibile e abitato da mesi.
Ebbene, la realizzazione dei sottoservizi avrebbe interessato il sito stradale fino al filo delle murature perimetrali dei fabbricati, "con esposizione delle fondazioni e, in alcuni casi, generando vuoti al di sotto del piano di appoggio delle fondazioni stesse; l'intervento - unito all'utilizzo di messi cingolati di grandi dimensioni - avrebbe eliminato la componente fondamentale nella portanza del terreno, fornita dal contributo stabilizzante del terreno laterale".
Tra l'altro, "gli scavi avrebbero eliminato anche il terreno interessato dal bulbo delle pressioni al di sotto del piano di spiccato delle fondazioni, modificando uno stato tensionale consolidato da secoli". Nei casi peggiori, si sarebbe verificato persino "il distacco di zolle di terreno di grandi dimensioni, provocando lo smottamento del terreno anche sotto il piano d'appoggio della fondazione". Tali situazioni, sarebbero state tamponate "chiudendo le buche con materiali approssimati, posti in opera senza la dovuta costipazione"; a fine della posa, insomma, gli scavi sarebbero stati reinterrati senza una idonea costipazione per strati, tramite i cingoli dei mezzi pesanti "che si è mostrata efficace soltanto per un modesto spessore".
Ciò significa che per ridare un sostegno alle "porzioni in movimento", l'unica soluzione sarebbe "una fondazione profonda su micropali"; tale fondazione, "dovrebbe sostenere la totalità del carico trasmesso dalla struttura in elevazione ed essere considerata efficace a partire dalla base del tunnel".
Una relazione tecnica contestata dal coordinatore generale di Asse Centrale Scarl, Gianni Frattale, dal rup della maxi opera Aurelio Melaragni, oltre che dal presidente della Gran Sasso Acqua, la stazione appaltante, Americo Di Benedetto.
"Non vorrei sollevare polemiche", ha tagliato corto Melaragni; "effettivamente, nel Corso Stretto, su vico Cavalieri di Malta in particolare, c'è stato un piccolo inconveniente non legato completamente al nostro passaggio ma ad una serie di concause che dovranno essere valutate. C'è stato un cedimento del terreno che ha creato, però, danni minimi: ci stiamo incontrando con i tecnici per trovare una soluzione che possa soddisfare tutti".
Assai meno diplomatico Gianni Frattale che ha parlato di relazione "offensiva" per la dignità delle imprese coinvolte nella realizzazione della maxi opera: "come si può costipare un terreno con un cingolo di 400 quintali?", si è chiesto. L'imprenditore aquilano ha ribadito di non avere alcuna intenzione di sottrarsi alle sue responsabilità, ma ha chiarito, altresì, che "da due mesi" aspettia un confronto tecnico "che, fino ad oggi, ci è stato negato". In sostanza, la convinzione di Frattale è che le problematiche riscontrate non siano dovute alla realizzazione dei sottoservizi, anzi il cantiere dello smart tunnel avrebbe svelato criticità che sarebbero emerse col tempo.
Poi, sibillino, si è interrogato sul "progetto di adeguamento dell'aggregato, considerato che le fondazioni stanno a 20 centimetri dall'asfalto", sugli interventi di sottofondazione previsti, lasciando intendere possano esserci lacune progettuali. Infine, ha svelato che - per 4 mesi - l'impresa al lavoro sull'aggregato avrebbe operato con 2 pompe per drenare "la gran quantità d'acqua" stagnante sul piano fondale.
E qui sta il punto, l'ha spiegato con chiarezza il presidente della GSA, Americo Di Benedetto.
"Pare piuttosto strano che i lavori di scavo abbiano creato danni soltanto ad un aggregato, a parità di condizioni del sottosuolo, almeno su Corso Vittorio Emanuele; in realtà, all'azione dello scavatore è fuoriuscito una gran quantità di melma: se non avessimo scavato, il rischio per l'immobile era di diventare una sorta di palafitta". Insomma, la gran quantità d'acqua avrebbe allentato il piano fondale, che è dunque 'scivolato' al momento dello scavo; "i sottoservizi sono stati piuttosto una concausa - ha riconosciuto Di Benedetto - ma hanno evidenziato una criticità preesistente".
Ma da dove arrivava l'acqua? "Come Gran Sasso Acqua, non abbiamo avuto alcuna segnalazione di possibili perdite; ovviamente, appreso di cosa stava accadendo con lo scavo, ci siamo immediatamente mobilitati, chiudendo la conduttura che si trova a monte dell'aggregato, in piazzetta della Commenda. Ebbene, in poche ore l'acqua ha iniziato a ritirarsi segno che la perdita non era alla condotta esterna, ma interna all'aggregato"; in altre parole, "è possibile che all'atto di consolidamento delle mura, gli operai al lavoro sull'aggregato abbiano perforato un tubo".
Non è stato accertato, al momento; "per questo, aspettiamo un confronto tecnico che possa fare chiarezza sull'accaduto".
Di Benedetto l'ha detto con chiarezza: "Se si va a contenzioso, entreranno in 'gioco' le assicurazioni che dovranno valutare l'accaduto e stabilire le responsabilità", coi tempi che finirebbero per allungarsi; il presidente della GSA però, candidato alle primarie di centrosinistra del 9 e 10 aprile prossimo, ha assicurato di volersi impegnare, in prima persona, per mettere intorno al tavolo i tecnici dell'aggregato, i consorziati, la Asse centrale Scarl così da risolvere la vicenda.
Come? "Il tecnico progettista dell'aggregato potrebbe redigere gratuitamente il progetto di fondazione su micropali, fosse necessario; la Gran Sasso Acqua potrebbe attivarsi per impegnare la franchigia in via transattiva, e stessa cosa farebbe Asse Centrale Scarl. Così, renderemmo l'immobile addirittura più sicuro di quando siamo passati".
Intenzione condivisa con Gianni Frattale: "C'è di mezzo sicurezza di venti famiglie che aspettano di tornare a casa, la dignità di un'impresa, la dignità mia e della mia famiglia: figuriamoci se può rappresentare un problema il verificarsi di un danno su un appalto da 30 milioni. Se non basterà la franchigia, sarà la Scarl ad assumersi l'onere dei lavori; sediamoci intorno ad un tavolo: la cosa più importante, è capire come intervenire per risolvere le criticità riscontrate. E' vergognoso, però, che Asse Centrale debba difendersi da certe accuse: questa storia si protrae da 4 mesi, tra lettere d'avvocati e relazioni, senza che sia stata ancora offerta la possibilità di un confronto tecnico, di merito".
Staremo a vedere se si arriverà, infine, ad un accordo, o se verrà perseguita la via del contenzioso. Sta di fatto che i lavori di palificazione paiono necessari e, dunque, è probabile che il corso stretto dovrà essere chiuso di nuovo, almeno per un tratto, e per il tempo necessario a concludere le opere necessarie; e si allungassero i tempi, potrebbe porsi anche un problema di sicurezza.