"Tu non mi fai paura, non sei capace". Sarebbe stata questa, stando al primo interrogatorio di garanzia, la frase che ha scatenato la furia omicida di Francesco Marfisi. Quest'ultimo ha ucciso lo scorso 13 aprile ad Ortona (Chieti) Letizia Primiterra, sua moglie, e Laura Pezzella, amica di lei [leggi].
A pronunciare quella frase sarebbe stata proprio la consorte, con cui Marfisi era separato di fatto. Forse una reazione di autodifesa durante una discussione, o una sfida. Con certezza non lo sapremo mai. Quel che sappiamo è che il duplice omicidio di Ortona è l'ennesimo consumato in famiglia, ed è evidente che non si tratti più di mera cronaca nera.
Una strage ormai quotidiana che continua ad essere analizzata come semplice somma di follie personali e sottovalutata, al contrario, come triste fenomeno diffuso, frutto estremo e tragico di paradigmi sociali distorti. E' innegabile infatti che il termine gelosia, così com'è considerato dalla società, è nella sua essenza oggi fortemente riduttivo, quasi squalificante della gravità dei gesti.
Il senso di possessione - mentale e nei casi estremi fisica - dell'uomo sulla donna è invece un problema che andrebbe affrontato attraverso pianificate e organiche politiche pubbliche. Iniziando dalle scuole, e poi penetrando negli altri settori sociali (e non) più formativi per la persona, come il linguaggio, lo sport, le attività ludiche, i messaggi pubblicitari, le arti visive.
La debolezza di un uomo, il senso di smarrimento nei confronti di un riferimento familiare dato per scontato e quindi irrinunciabile, il rifiuto anche solo a concepire che la "sua" donna esista senza di lui o, come nella vicenda di Ortona, che possa addirittura avere chiuso con il passato e aver intrattenuto altre relazioni sentimentali. Sono tutti elementi che, se albergate in persone deboli e poco equilibrate, possono portare facilmente al superamento dei limiti.
Nel frattempo le nostre comunità - e purtroppo soprattutto quelle provinciali e periferiche, ossia la maggioranza - devono ancora compiere importanti passi in avanti.
Così come continuano, per fortuna solo in parte, ad essere squalificate e persino schernite e derise, le donne che tentano - tra difficoltà, pregiudizi ed in forme più o meno organizzate - di portare sulla scena pubblica un tema che viene sottovalutato o addirittura negato. E' successo anche lo scorso 8 marzo, quando in tutta Europa e anche in Abruzzo [leggi dell'Aquila] migliaia e migliaia di donne hanno rivendicato autonomia e gridato coraggio.
Dovrebbe succedere ogni giorno in cui un uomo rifiuta di essere lasciato perché dice di "amare troppo". Dovrebbe succedere ogni volta che una donna tiene per sé violenze fisiche e soprattutto psicologiche, creando un mondo segreto a due, dove tutto è lecito e concesso. Dovrebbe succedere ogni volta che un uomo insegue la "sua" donna perché accecato dall'ossessione compulsiva.
Dovrebbe succedere affinché si creino finalmente condizioni personali e sociali che mirino all'indipendenza psicologica di una donna nei confronti dell'uomo che tenta di possederla.