Per mettere in sicurezza il fiume Aterno e mitigare gli effetti delle esondazioni, l'ex commissario straordinario per il risanamento del bacino Aterno-Pescara Adriano Goio aveva appaltato un'opera faraonica e impattante, dal costo di 60 milioni di euro, quando, con molti meno soldi e con interventi meno invasivi, si sarebbe potuto ottenere lo stesso identico risultato.
E' questo, in sintesi, il quadro che viene fuori leggendo la sentenza emessa dal Tribunale superiore delle acque pubbliche a seguito del ricorso presentato da un'associazione e da alcuni privati contro il progetto strutturale di rafforzamento degli argini del fiume approvato nel 2011.
La vicenda
La notizia, già raccontata da NewsTown, risale a circa un mese fa. Il Tribunale – che è un organo giurisdizionale chiamato a decidere nei processi d'appello sulle sentenze dei tribunali regionali delle acque pubbliche – con la sentenza 157/2013 ha accolto il ricorso presentato dal comitato civico “Pro difesa e sviluppo del territorio aquilano” e da altri privati cittadini contro il progetto che prevedeva la realizzazione di vasche di laminazione lungo i fiumi Aterno e Raio, nel comune dell'Aquila.
Il progetto, risalente addirittura al 2006, era stato approvato ed aveva subito una netta accelerazione in seguito all'alluvione che, nel dicembre 2010, mandò sott'acqua strade, campagne e terreni agricoli situati a ridosso del fiume.
Cosa sono le vasche di laminazione? Dei grandi serbatoi in cemento armato che servono a ridurre la portata di un corso d’acqua durante le piene, tramite lo stoccaggio temporaneo di parte del volume dell’onda di piena.
Tre di queste vasche avrebbero dovuto essere costruite nel tratto corrispondente alla confluenza del fiume Raio con l'Aterno, nelle località di Pettino, Coppito, San Vittorino, Cansatessa e Sassa.
Un'opera “inutile e costosa” ha sentenziato il Tribunale, dando ragione ai ricorrenti. Troppo costosa. Il problema, è scritto nella sentenza, sarebbe risolvibile anche con interventi ordinari, più economici, come l'allargamento del letto del fiume, la ripulitura e il rafforzamento degli argini.
Alcuni tecnici che hanno coadiuvato gli avvocati nella stesura del ricorso - gli ingegneri Bruno Martella e Antonio Iorio (quest'ultimo scomparso nel 2011) – dopo aver fatto un po' i conti della serva, sostengono che, con 10 milioni di euro (un sesto della cifra prevista dal progetto di Goio), e senza colate di cemento, si potrebbe procedere al rafforzamento di tutti gli argini dell'Aterno, dalle sorgenti fino alla foce.
Un'opera "pletorica" e "irrazionale"
Ma c'è di più. Secondo i giudici, le casse di espansione (definite “pletoriche sul territorio occupato, per l'opera in sé e il relativo cantiere”) non solo non avrebbero risolto il problema delle piene ma l'avrebbero addirittura aggravato.
Il progetto Goio, infatti, prevedeva che le casse dovessero avere una capienza complessiva di 3 milioni di metri cubi d'acqua, assolutamente insufficiente a fronteggiare piene di lunga durata, come è stata, appunto, quella verificatasi tre anni fa, quando, in 24 ore, i metri cubi d'acqua riversati dal fiume furono pari a 15 milioni.
Trattandosi, inoltre, di interventi “estemporanei e puntiformi” - parole presenti sempre nel testo della sentenza - non inserite in un progetto organico riguardante il fiume nella sua interezza, le vasche, una volta costruite, non avrebbero fatto altro che scaricare il problema e il pericolo più a valle.
Oltre a tutto questo, i giudici hanno rilevato anche un' “evidente arbitrarietà dei dati idrometrici, posti a base della progettazione; in particolar modo, sono stati inseriti dei dati sulla portata del fiume Aterno nettamente divergenti da quelli rilevati dalla stazione idrometrica dell'Aquila e dal CETEMPS”, un centro ricerche dell'università dell'Aquila.
L'assessore provinciale Roberto Tinari: "Questa sentenza è una vittoria per la città"
Uno dei più strenui oppositori del progetto delle vasche di laminazione è stato, fin da subito, l'assessore provinciale all'urbanistica Roberto Tinari, che, da avvocato, è stato anche tra gli estensori del ricorso (insieme a Roberto Colagrande, Francesco Saverio de Nardis,Marco Equizi, tutti appartenenti al foro aquilano).
Tinari, tra l'altro, afferma come anche i tecnici del Comune dell'Aquila, più volte interpellati in fase di discussione preliminare del progetto, fossero arrivati alle stesse conclusioni a cui sono giunti, due mesi fa, i giudici; ma sottolinea che né il sindaco né il consiglio comunale hanno mai voluto tenere in considerazione tali pronunciamenti e bloccare il progetto.
L'assessore mette in risalto altri particolari della vicenda anche piuttosto grotteschi, come il fatto che il frontespizio del progetto recasse la scritta “Regione Veneto” anziché “Regione Abruzzo”, quasi fosse stato fatto un copia incolla (sarà un caso, ma anche la ditta che si era aggiudicata la gara d'appalto era veneta).
“Come mai” si chiede poi l'assessore (che è anche consigliere comunale) “su questa vicenda non si è pronunciata nessuna associazione ambientalista? Dobbiamo pensare che ci sia qualcuno che si solleva e si mobilita a comando?”.
“Con i progetti e i calcoli fatti dai nostri tecnici” aggiunge Tinari “con 10 milioni di euro potremmo risolvere il problema. Perciò invito la politica abruzzese a darsi da fare e ad adoperarsi perché una parte dei quei 60 milioni venga destinato alla messa in sicurezza del fiume”.
Tinari, per la verità, afferma anche che, alla luce di questa sentenza, si dovrà rivedere il sistema di classificazione delle zone ad alto rischio idrogeologico del comune dell'Aquila.
Giacché - è il ragionamento, in verità un po' capzioso, di Tinari - se le vasche di espansione sono inutili, se per mettere in sicurezza l'Aterno (un fiume dalla portata d'acqua molto modesta) bastano in fondo opere di manutenzione ordinaria e se piene come quella di tre anni fa, come ha evidenziato l'ingegner Martella, capitano una volta ogni cento anni, allora vuol dire che il rischio esondazione, dalle nostri parti, non è preoccupante. Almeno, non lo è a tal punto da impedire, ad esempio, che vicino al fiume possano essere costruite casette di legno e altri manufatti più o meno provvisori, come quelli spuntati a migliaia nel post terremoto. E si sa che la regolarizzazione e il condono tombale delle casette di legno è uno dei cavalli di battaglia dello stesso Tinari.
I giudici: "Decisioni comitati VIA siano paretcipate"
A leggerla tutta, la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche contiene anche un'altra affermazione molto importante, che potrebbe diventare un precedente giurisprudenziale in altre battaglie che altre associazioni e altri comitati civici stanno combattendo sul territorio. Nel dispositivo, infatti, è scritto che le riunioni dei comitati VIA (Valutazione di impatto ambientale) non possono svolgersi in camera caritatis ma devono essere condotte “con modalità atte a favorire la seria e concreta effettività della partecipazione dei soggetti interessati al procedimento”. Ancora una volta la parola chiave è partecipazione.