Lunedì, 21 Agosto 2017 15:45

Sottoservizi, ati Frezza vince in Consiglio di Stato: realizzerà il primo stralcio del secondo lotto per 11.5 milioni. Ecco la sentenza

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Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dalle imprese aquilane Armido Frezza Srl e Walter Frezza costruzioni Srl che avevano impugnato la sentenza istruita dal TAR il 23 novembre scorso con cui si dichiarava illegittima l'aggiudicazione dei lavori del primo lotto del secondo stralcio dei sottoservizi - Quarto di San Pietro, per 11.5 milioni di euro - alle stesse imprese. 

Il Tribunale amministrativo regionale aveva accolto il ricorso dell'impresa Delta Lavori Spa avverso l'affidamento per una omessa dichiarazione del progettista dell'ati Frezza, in sede di gara d'appalto: in sostanza, il tecnico non aveva comunicato d'essere stato causa di una variante per oltre 13 milioni di euro presso il Consorzio di Bonifica di Catania e di dovere 700 mila euro di danni allo stesso Consorzio per lavorazioni che, tra l'altro, e almeno in parte, erano di natura simile a quelli banditi da GSA. In altre parole, il ricorso era stato accolto perché il tecnico aveva omesso di rappresentare un grave errore professionale (art 38, C 1, lettera f del dlgs 163/2006) che - stando ai giudici - avrebbe dovuto determinare causa d'esclusione delle imprese Frezza per "falsa dichiarazione in ordine ad un requisito generale di partecipazione".

"La ratio della norma - avevano scritto i giudici nella sentenza - risiede nell’esigenza di assicurare l’affidabilità di chi si propone quale contraente, requisito che si ritiene effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze patologiche contestate da altri committenti". A farla breve, stando alla sentenza del TAR il concorrente - le imprese Frezza - avrebbe dovuto mettere la stazione appaltante, Gran Sasso Acqua Spa, nella "condizione di conoscere i fatti costituenti precedenti errori professionali" per valutare se l'errore potesse rappresentare causa d'esclusione dal bando di gara. E poco importava se, al momento della dichiarazione, fosse in corso un procedimento giurisdizionale per l’accertamento di detto errore, contestato dal professionista: "non esime dall’obbligo della dichiarazione - avevano spiegato i giudici nel dispositivo - in quanto l’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006 non prevede che l’errore professionale rilevi solo quando sia stato definitivamente accertato in sede giudiziale mentre una simile condizione è stabilita per altre cause di esclusione".

Per queste ragioni, il Tar aveva dichiarato illegittima l'aggiudicazione dei lavori all'Ati Frezza, annullando di fatto la determina dirigenziale della Gran Sasso Acqua Spa e disponendo il subentro della Delta Lavori Spa, assistita dall'avvocato Antonio Morgante.  A quel punto, l'ati Armido Frezza Srl e Walter Frezza costruzioni Srl aveva deciso, però, d'impugnare la sentenza e, come detto, il Consiglio di Stato ha dato loro ragione, ribaltando il pronunciamento di primo grado, con i lavori che verranno riassegnati, dunque, alle imprese aquilane che, finalmente, potranno iniziare le opere di realizzazione del primo lotto facente parte il secondo stralcio della maxi opera pubblica.

I motivi del pronunciamento del Consiglio di Stato

L’appello ha imposto di esaminare, in particolare, due questioni: se fosse sussistente in capo alle concorrenti di pubbliche gare, in relazione al novero degli ‘errori professionali’, un obbligo di “onnicomprensività della dichiarazione” (in base al quale il concorrente sarebbe onerato – e a pena di esclusione – di dichiarare qualunque inadempimento che abbia caratterizzato la propria vicenda professionale, al fine di consentire alla stazione appaltante la più consapevole valutazione in ordine alla rilevanza di tali precedenti); se costituisse un “errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” ai sensi della detta disposizione il fatto che, nei confronti di un’impresa incaricata di attività di progettazione, sia stata disposta una variante progettuale.

Ebbene, al primo dei quesiti il Consiglio di Stato ha fornito risposta negativa, "dovendo escludersi - si legge in sentenza - che l’articolo 38, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 163 del 2006 esprima un principio di ‘onnicomprensività della dichiarazione’, tale per cui il concorrente a una pubblica gara sarebbe tenuto a dichiarare qualunque circostanza che sia potenziale sintomo di inesatti adempimenti contrattuali, al fine di consentire alla stazione appaltante di valutare tali circostanza con la maggiore possibile ampiezza di strumenti conoscitivi". Infatti, ai sensi della richiamata disposizione, sono esclusi dalle pubbliche gare e non possono essere affidatari di contratti pubblici, i soggetti “(…) f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.

La disposizione, ispirata ad evidenti ragioni di sicurezza giuridica e di affidabilità dei candidati contraenti, assegna alle stazioni appaltanti specifici poteri (peraltro non tipizzati nei loro precisi contorni) per accertare l’eventuale precedente commissione di ‘gravi errori professionali’ negli appalti pubblici; ma non impone ai concorrenti un obbligo, dai contorni lati e malcerti, di dichiarare qualsivoglia inadempimento contrattuale che potrebbe, anche solo astrattamente, concretare ipotesi di ‘grave errore professionale’. Leggiamo ancora in sentenza: "Se si accedesse a una così lata e insicura nozione di onere dichiarativo come quella individuata dall’appellata sentenza attraverso la formula della ‘onnicomprensività della dichiarazione’, e se si accedesse alla sua tesi per cui la violazione di tali oneri dichiarativi giustificherebbe ex se l’esclusione dalle gare, si perverrebbe a una situazione di inaccettabile incertezza e imprevedibilità del diritto, fonte di potenziale aporia di sistema e di danno all’economia del settore, per aver connesso la seria misura dell’esclusione a un novero di violazioni inammissibilmente ampio e potenzialmente indeterminato".

D'altra parte, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che l’inadempimento all’onere di dichiarare i fatti richiesti ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera f) - con particolare riguardo alle inadempienze nell’esercizio dell’attività professionale - "non è sanzionato di per sé, cioè per ragioni formali, ma solo se costituisce un effettivo e sostanziale ostacolo alla valutazione da parte della stazione appaltante. Il che destituisce di fondamento la pretesa ‘onnicomprensività della dichiarazione’ su cui si fonda la sentenza appellata".

Passando all’esame del secondo dei richiamati quesiti il Collegio ha ritenuto, di nuovo, di fornire risposta negativa.

Infatti, nell’esecuzione di un appalto di ristrutturazione e adeguamento funzionale del Canale Cavazzini (affidato alla VAMS Ingegneria dal Consorzio di Bonifica n. 9 di Catania), la stazione appaltante rilevò un errore progettuale che, “pur non pregiudicando in tutto o in parte la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione”, era tuttavia tale da comportare un maggior esborso per l’amministrazione. Pertanto, il Consorzio di Bonifica avviò le procedure per l’approvazione di una perizia di variante suppletiva ai sensi dell’articolo 132 del Codice dei contratti pubblici del 2006 e nominò un perito per la stima del possibile danno arrecato all’ente. "L’articolo 132 del decreto legislativo n. 163 del 2006 fissa(va) una soglia differenziata in ordine alle conseguenze connesse a errori o omissioni del progetto esecutivo idonee a pregiudicare, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione", spiegano i Giudici. "Infatti:

  • se le variati fossero limitate entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante si sarebbe limitata ad imputare al progettista le relative conseguenze economiche;
  • se, invece, invece, le varianti eccedessero il limitato limite quantitativo, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere alla risoluzione del contratto e all’indizione di una nuova gara.

Ebbene, la scelta normativa ha fatto ritenere che "solo alla seconda tipologia di errori progettuali (e di conseguenti varianti) possa essere riconosciuto il carattere dell’effettiva ‘gravità’, con la conseguenza procedimentale più rigorosa per l’impresa. Ma il carattere di gravità non può essere affermato per l’errore progettuale imputato alla VAMS Ingegneria: non solo il Consorzio di Bonifica n. 9 di Catania non aveva disposto la risoluzione del contratto, ma - per di più – la stessa stazione appaltante aveva riconosciuto che l’errore rilevato non pregiudicava affatto la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione (sicché, nel caso in esame, neppure era astrattamente ipotizzabile la risoluzione del contratto, contenuta dalla legge ai soli errori di maggiore gravità)".

Ultima modifica il Lunedì, 21 Agosto 2017 16:41

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