Lunedì, 21 Agosto 2017 21:36

Centro Italia, un anno dopo: rimosso 8.57% macerie, 456 casette consegnate

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Ad un anno dal sisma che il 24 agosto 2016 ha distrutto paesi e frazioni della Valle del Tronto, tra cui Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, è stato rimosso soltanto l'8.57% delle macerie. Emerge da un rapporto diffuso da Legambiente, a dodici mesi dalla scossa di magnitudo 6.0 che ha sconvolto il centro Italia e a nove dai terremoti che il 30 ottobre 2016 hanno colpito Norcia, Visso e altri centri di Umbria, Marche e Abruzzo.

A far parlare i numeri, sono state raccolte circa 227.500 tonnellate di macerie su 2 milioni e 657mila stimati: "Rimangono da rimuovere oltre 2.400.000 tonnellate derivanti per la stragrande maggioranza dalle attività di demolizione parziale e totale dei fabbricati che permetteranno di ridimensionare le zone rosse", si legge nel report di Legambiente che a primavera scorsa, insieme alla Fillea Cgil, ha avviato un Osservatorio nazionale per una ricostruzione di qualità; "è urgente cambiare passo: velocizzare le procedure di recupero delle macerie e individuare altre zone dove poter trattare gli inerti riutilizzabili per la ricostruzione".

L’associazione ambientalista aggiunge che si tratta di "macerie derivanti da edifici pubblici e da edifici privati pericolanti, la cui rimozione è propedeutica all’avvio della ricostruzione materiale e della rinascita delle comunità colpite. Aspettano di esserne liberati oltre 60 Comuni, con le loro numerose frazioni. Ma a fronte di questi numeri persino la scadenza prevista al 31 dicembre 2018 difficilmente potrà essere rispettata".

Marche e Lazio, precisa ancora Legambiente, sono le zone più colpite. La Regione Lazio stima una quantità di macerie pari a 1.280.000 tonnellate, concentrate nei territori dei comuni di Amatrice e Accumoli; fine luglio quelle raccolte erano circa 100.000 tonnellate, pari al 7,77%. La stima della Regione Marche, con l’area del cratere più vasta, è di 1.120.000 tonnellate di macerie, di cui 117.500 già raccolte, il 10,50%. Su 87 Comuni colpiti, 52 sono ancora invasi dalle macerie e ben 9 sono ancora inaccessibili a causa dell’inagibilità delle vie di comunicazione, impossibilitati quindi ad avviare la raccolta degli inerti. Situazione estrema è quella di Arquata del Tronto, con le sue frazioni di Pescara del Tronto, Tufo e Capodacqua, assolutamente impraticabili. L’Umbria e l’Abruzzo stimano rispettivamente 100.000 e 150.000 tonnellate di macerie, aggiunge la ong. E se l’Umbria ne ha raccolto il 10,20%, la Regione Abruzzo non ne ha ancora avviato la raccolta.

 

Per accorciare i tempi e rendere più efficace la gestione delle macerie, Legambiente propone di riconsiderare cinque punti fondamentali: accelerare le demolizioni, intervenire a sostegno della raccolta dei beni di interesse culturale, organizzare laboratori mobili temporanei, programmare il riutilizzo delle macerie per la ricostruzione e infine realizzare un sistema di monitoraggio e tracciabilità delle macerie pubbliche e private, in forme facilmente fruibili. Chiama in causa il governo la presidente Rossella Muroni: "L'esecutivo ripensi il ruolo della struttura del commissario straordinario per dargli più poteri e le risorse necessarie per un reale coordinamento per la rimozione delle macerie nei comuni colpiti dal terremoto". Muroni spiega che "ognuna delle quattro Regioni ha interpretato le varie norme e ordinanze nazionali che si sono succedute producendo pratiche diverse. Per questo, serve un coordinamento fattivo da parte del Commissario straordinario, con l’obiettivo di individuare le migliori pratiche per ogni fase della filiera e renderle operative in ogni Regione". Le differenze nella gestione delle macerie nelle quattro Regioni "sono troppe - aggiunge - già chiedevamo un coordinamento più forte ed efficace e il rischio ora è che diventi più debole, visto l’annuncio delle dimissioni di Errani. Siamo consapevoli delle numerose difficoltà incontrate - le ripetute e importanti scosse sismiche, la vastità dell’area interessata, le strade inagibili e insicure per via delle case pericolanti, le demolizioni necessarie per operare in sicurezza - a cui si sono però sommati ritardi per i provvedimenti modificati in itinere, negli affidamenti dei lavori, nel coordinamento tra i diversi livelli istituzionali. Ma la rinascita dell’Appennino ha bisogno, ora, di una visione unitaria".

Non solo macerie.

Ad oggi, poco più del 10% del fabbisogno d'abitazioni provvisorie è stato effettivamente coperto, con procedure di richiesta farraginose che significano disagi insopportabili per gli sfollati e, così, per le attività commerciali e le aziende, prevalentemente agricole e zootecniche, la spina dorsale dell'economia locale. Sotto accusa è finito il complesso di modelli normativi che hanno finito per soffocare i procedimenti in un vortice di burocratico volto a tutelare astrattamente il controllo e la trasparenza delle procedure a scapito dell'efficacia degli interventi: dodici mesi dopo, sono stati prodotti 3 decreti leggi e ben 29 ordinanze del Commissario straordinario, dieci delle quali intervenute a modificare le precedenti.

Così, circa 9.000 sfollati sono ancora ospitati in strutture ricettive lontane dai Comuni di originaria residenza - con l'impiego di ingenti risorse che avrebbero potuto essere destinate alla ricostruzione – mentre molte persone sono state costrette a trascorrere l'inverno, senza casa, nel Comune di residenza, alloggiati in tende. Delle 3.830 casette di legno pubbliche ordinate per far fronte alle esigenze abitative in 51 comuni del cratere, solo 456 sono state consegnate e meno sono effettivamente abitate, nei comuni di Amatrice, Norcia e Accumuli. La procedura individuata dal complesso di norme varate, difatti, si è rivelata totalmente inadatta a fronteggiare l’emergenza: per giungere al definitivo posizionamento delle casette di legno sono necessari, in ogni Comune, ben 11 provvedimenti da parte delle diverse amministrazioni (Comunali, Regionali e Centrali) coinvolte nel procedimento: una vera e propria giungla di burocrazia che ha portato alla più che prevedibile paralisi.

Il CAS (Contributo per l’Autonoma Sistemazione) pari a 900 euro mensili, strumento individuato per consentire ai privati di risolvere autonomamente il problema della mancanza di una abitazione, allo stesso modo, non ha mai funzionato a regime, con gravissimi ritardi da parte delle amministrazioni competenti per l’erogazione e le conseguenti incertezze che hanno paralizzato la ricerca di soluzioni private. Alle popolazioni colpite dal sisma è anche di fatto impedito – non essendo stata prevista alcuna deroga, anche temporanea, alla disciplina in vigore nel resto del territorio nazionale in materia urbanistica, edilizia e ambientale - di far fronte autonomamente e con risorse proprie, cioè senza alcun onere a carico della collettività, allo stato di necessità determinato dal sisma. Coloro che hanno provveduto, a proprie spese, alla realizzazione e al posizionamento di una soluzione abitativa anche temporanea su terreni di proprietà (ad esempio accanto alla casa inagibile, o accanto alle stalle o alle serre), sono stati destinatari di ordinanze di demolizione e sono stati denunziati all’Autorità Giudiziaria in sede penale per abusivismo edilizio.

Riguardo ai processi di ricostruzione, non ancora avviati, era stato previsto il 31 luglio 2017 quale termine perentorio per la presentazione delle domande volte ad ottenere il contributo pubblico. Le domande dovevano essere, a pena di inammissibilità, corredate dalla scheda che definisce lo stato dell’immobile redatta a seguito dei sopralluoghi da parte dei tecnici preposti. Tuttavia, i tecnici della Protezione civile hanno finora svolto 184.700 sopralluoghi su 208.000 immobili: ne mancano 23.000, di cui 19.200 nelle sole Marche.

Sono considerati inadeguati anche gli interventi legislativi destinati alle attività produttive: decine di migliaia gli agricoltori e gli allevatori che hanno perso tutto, gli artigiani e i piccoli imprenditori che si ritrovano con la propria attività annientata. Solo nel settore agricolo, Coldiretti ha stimato danni per 2.3 miliardi per 25 mila aziende agricole residenti nei 131 comuni terremotati di Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo.

Ultima modifica il Giovedì, 24 Agosto 2017 00:51

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