Morire di pioggia, si può? In Italia succede sovente. In questi anni – dalla Liguria alla Sicilia – le montagne crollano, il fango scorre tra le strade, le persone perdono tutto, compresa la vita.
Come è noto, l'ultimo caso riguarda la Sardegna: 16 morti. Da nord a sud, l'isola è piegata. Ma si può morire di pioggia? Oppure l'incuria dell'uomo e delle istituzioni nella mancata messa in sicurezza dei territori rappresenta la causa principale dell'amplificazione devastante dell'evento naturale? L'Aquila, per esempio, è un'emblema della mancata prevenzione. Dal capoluogo abruzzese sono partiti, negli ultimi anni, diversi appelli e richieste per la creazione di fondi per la messa in sicurezza dei territori a rischio idrogeologico: da "Italia Fragile", lettera aperta ai capi politici delle coalizioni candidate alle ultime elezioni politiche, alla proposta del mese scorso di 3e32, volta a dirottare i fondi del Tav alla ricostruzione del cratere sismico e alla messa in sicurezza dei territori.
In questi giorni si parla molto di prevenzione e previsione. Entrambe le mission sono tra gli obiettivi specifici della Protezione Civile Nazionale, l'organo deputato a dialogare con le amministrazioni locali per prevenire i disastri seguenti a eventi naturali. La Protezione Civile, dunque, non dovrebbe limitarsi alla previsione degli eventi – e all'allarme degli stessi con sufficiente anticipo, come nel caso del ciclone che ha travolto la Sardegna – ma anche a un lavoro organico e pianificato di messa in sicurezza dei territori.
Questo concetto sfugge a molte cittadine e cittadini sardi in queste ore, come sfuggì anche alla popolazione aquilana quattro anni e mezzo fa. Ma c'è qualcuno che – proprio come accadde in Abruzzo – in questi momenti di lutto e sgomento trova una lucidità di analisi lontana dalla retorica della tragedia. E' il caso dell'attrice e scrittrice teatrale di Oristano Savina Dolores Massa, a che a poche ore dagli eventi che hanno coinvolto la propria terra, ha scritto un breve testo, che vi riportiamo integralmente.
Succede che ti svegli, perché la sveglia ha suonato, come tutte le mattine. Per ora sono tra i fortunati con un letto asciutto. Per ora. E a quel letto ti abbranchi, tentandoti cieca e sorda. Senti il corpo gonfio, come il cadavere di un annegato: uomini, donne, bimbi, animali. Ti alzi. Guardi fuori, sai di avere accanto un fiume grosso, gli stagni furiosi. Accanto come la nostra ombra.
Sai che a un misero chilometro da te stanno picchiando il fango. Sai che il tuo corpo è attualmente impedito alla fatica, e lo uccideresti per questo. Perché non è con gli altri, attenti a non aggiungere acqua al suolo, piangendo. A un km. da me.
La mia città è piccola, ma ogni giorno rumoreggia di auto e voci. Oggi no: il lutto arriva muto come un passaparola, un vento. La gente spala, e di lei dicono, Popolo orgoglioso.
Non si confonda mai l’orgoglio con altri sentimenti. Il lutto monterà in un altro ciclone, forse più potente. Vendetta? No, preferisco chiamarla Giustizia. Ogni ucciso di questi giorni non è stato determinato dalla sorte o da un cielo irato. Non solo.
Mi direte, A che serve recriminare, adesso, con i morti ancora insepolti.
Serve a me: spalo fango con la lingua.
L’isola di Sardegna paga l’ideologia del lusso ormai nel patrimonio di tutti. E dico tutti. Anche coloro che zitti zitti hanno arredato lo spazio destinato per legge a garage in cucina rustica. E poi hanno pagato il capriccio con un condono, se scoperti. Il pensare a sé soltanto, di fronte a una villa abusiva costruita sul mare, dovessero dirti, La vuoi?
Se noi tutti, gentina comune, avessimo posseduto coerenza fino a disossarci, il politico che in fondo ci accontentava, non sarebbe accomodato su uno scranno. Quei polici che spesso non hanno dato ascolto ai Sindaci, accorti ma soli. Soli anche della gente del proprio territorio. Lassù in alta Italia la gente non desidera un treno, gentilmente o anche no lo fa presente, da mesi e mesi. Come finirà? Verranno travolti da una velocità imposta, straziati i corpi. La gentilezza è ottima cosa, mi obietterete. Non sempre, non più. Le visite che ora calano dagli elicotteri sulla mia terra non sono benvenute. Non hanno il diritto neppure di guardarci, a noi. Anche se tanto spesso gli somigliamo molto.
La distruzione dell’isola ha molti colpevoli, spero scompaia la gentilezza, in nome del diritto alla vita. Spero in un popolo convinto che il proprio apparente, futile appagamento potrebbe significare la morte non solo per sé, ma anche per altri innocenti. E non parlo solo della morte del corpo da bara, parlo della fine dell’etica. Parlo di chi dice a un amico con disprezzo, Ma tu non desideri il successo! Bene, il “successo” ora è quest’isola bagnata d’ipocrisia.
Sarò ancora più dura chiedendo, Non ha nulla da rimproverarsi, adesso, chi invia denaro o spala melma? Guardiamoci dentro davvero, e molto in profondità, là dove dovrebbe risiedere il racconto di un nonno, e prima di lui di un altro nonno. Solo dopo esserci risanati noi, potremo ridefinirci orgogliosi. Ora no, nessuno.
Savina Dolores Massa