E' dicembre. Ultimi giorni del 2008. La melma del fiume Aterno picchia su Pescara, la città più popolosa d'Abruzzo. Che vive giorni drammatici: il 15 dicembre, infatti, è stato arrestato il sindaco Luciano D'Alfonso, segretario regionale del Partito Democratico. L'inchiesta riguarda la gestione dei cimiteri, affidata da qualche tempo dall'amministrazione ad alcuni privati. Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla concussione, truffa, falso e peculato. L'11 febbraio 2013, il Tribunale di Pescara deciderà per l'assoluzione di D'Alfonso da tutte le accuse mosse dalla Procura della Repubblica perché il fatto non sussiste.
Oggi, Luciano D'Alfonso corre per la carica di Presidente della Regione Abruzzo. Allora, però, Pescara viveva giorni di confusione e la sinistra abruzzese era travolta dalla questione morale dopo la Sanitopoli che aveva spazzato via la giunta regionale guidata da Ottaviano Del Turco. Che da quella vicenda è uscito con una condanna in primo grado a 9 anni e 6 mesi.
E intanto pioveva e l'Aterno picchiava sulla città. A raccontarlo, in un bellissimo articolo pubblicato da Repubblica il 21 dicembre, il giornalista Paolo Rumiz: "L'orrore comincia subito, dopo l'incanto delle risorgive di Popoli, trasparenti tra i salici. È lo sposalizio con i veleni stoccati per un secolo dalla Montedison ai piedi del Gran Sasso, lì dove emerse la statua del guerriero italico di Capestrano. Roba micidiale, tipo Marghera, che per anni ha inquinato l'acquedotto di Pescara e per mesi è stata nascosta agli abruzzesi. Il terreno doveva essere messo in sicurezza, ma è ancora lì, sotto la pioggia d'autunno. In alto, immacolate di neve, Maiella e Gran Sasso. Sotto, un fiume che muore. Trote malate, boccheggianti, coperte di piaghe. Le puoi quasi prendere con le mani. Ma il peggio arriva dopo, quando la gola s'allarga. Un intrico di strade, viadotti, parcheggi, cave, centri commerciali. Il Pescara diventa uno zombie, le sponde un colabrodo, la valle un Bronx".
A qualche chilometro, i cittadini di Rosciano erano in allarme: si parlava, infatti, del progetto di un impianto industriale per il trattamento chimico-fisico dei rifiuti con deposito a terra. Per fortuna, 4 anni dopo, nel dicembre 2012, il Comitato di Valutazione di impatto ambientale della Regione Abruzzo ha respinto l'istanza per la realizzazione dell'impianto.
Brillante idea di chi aveva progettato un supermercato poco a valle, sul fiume. Parliamo del Megalò, ai piedi di Chieti. Enorme, lussuoso, con commesse-veline e guardiani in completo scuro. "Una luccicante astronave del consumo dove si celebra la fine della cultura appenninica", scriveva Paolo Rumiz. Inaugurato nel settembre 2005, il Megalò è stato costruito nel mezzo di uno spazio già inondato da metri d'acqua nel '92. Il fiume è a soli cento metri dai negozi. E' stato necessario costruire un argine sul letto del Pescara, alto 11 metri, per aprirlo. "Una scarpata di pietra ha ingabbiato la corrente e la golena superstite è stata attrezzata con parcheggi, lastroni in cemento e sentieri in ghiaia. Il tutto decorato con alberelli (stitici), un laghetto (vuoto), qualche panchina (già distrutta dai vandali) e pannelli (illeggibili) a gloria di transumanze morte e sepolte. Intorno, piloni e scavalco di superstrade. Persone: zero. Fango: ovunque. Un cartello corona il degrado", racconta la penna di Paolo Rumiz. C'è scritto: "Parco fluviale". Anzi, "Parco di riqualificazione urbana per lo sviluppo sostenibile del territorio".
Non occorre sapere molto di fiumi per capire che quel tipo d'argine è un acceleratore che toglie ogni freno all'acqua del fiume in picchiata su Pescara. "L'area è bassa, una di quelle tipiche 'casse di espansione' dove in caso di piena si lascia che il fiume dilaghi per non impazzire a valle", scrive Rumiz. In effetti, Megalò è stato costruito su di una zona a massimo rischio di esondazione. Un posto inedificabile, dove i terreni non costano niente. Forse è per questo che lo chiamano Regalò.
Possibile che abbiano dato una concessione edilizia in un posto simile? In Abruzzo, assolutamente si. Prima con i timbri della regione di centrodestra, poi con l'inaugurazione in pompa magna del centrosinistra. E Ottaviano Del Turco in prima fila.
Il viaggio di Paolo Rumiz lungo le rive dell'Aterno continua. "Scendo ancora verso Pescara, ma non c'è pace per il fiume. Ruspe s'accaniscono su un'ansa, poco sotto un altro ipermercato, nome 'Auchan Mall'. La riva è stata sostituita da gabbioni in pietra, un querceto è stato spianato. Intorno, cani liberi. Un disastro. Chiedo che roba è. Risposta: centraline idroelettriche. Faccio un po' di conti. Il dislivello è minimo. Insieme, i due sbarramenti produrranno meno di una sola pala eolica. Quattro megawatt e mezzo contro cinque di un mulino a vento. Che senso ha? Non c'è risposta".
C'è il Pescara che ribolle, gonfio di limo smosso dai bulldozer, picchia come un golem sulle porte della città. Già nel '92 aveva spinto in mare 300 pescherecci e decine di automobili, dopo aver sfondato gli sbarramenti di alberi accumulati. Nel 1888, quando si scatenò il peggio, l'acqua superò i tetti delle case portandosi via la gente che s'era arrampicata lassù. Oggi, 2 dicembre 2013, siamo costretti a raccontare una nuova tragedia. "Per le centraline idroelettriche, i lavori sono iniziati senza valutazione ambientale", la denuncia di Rumiz. "Sembra impossibile ma è così. Per compensare l'invasione cementizia a monte, 'lu commissarie' costruirà a monte nuove casse di espansione, artificiali. Un'altra manomissione per compensare una manomissione. A spese di chi? Del contribuente".
Il commissario. Stiamo parlando di Adriano Goio, ex sindaco di Trento. Ha pieni poteri sul fiume Pescara e affluenti. Regna su un terzo delle acque abruzzesi, una delle regioni più ricche di oro blu. Chi l'ha voluto? Ottaviano Del Turco, l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia che, eletto governatore, ha chiesto al governo - allora di centrodestra - di dichiarare un non meglio specificato stato di "emergenza socio-economico-sanitaria" per il degrado del fiume Aterno-Pescara. Era l'inverno del 2006 e l'idea è molto piaciut a Silvio Berlusconi, allora capo del Governo, che pure stava per decadere causa elezioni anticipate. Al punto che decise di approvarla con una ordinanza, all'ultimo minuto della sua permanenza a Palazzo Chigi, la sera del 9 marzo 2006.
Sono passati 7 anni e mezzo e Goio è ancora al suo posto. L'ultima proroga è arrivata nell'ottobre scorso, su richiesta del Presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi. Il commissario ha avuto carta bianca sul territorio. Poteva fare a meno di valutazioni di impatto ambientale e derogare dalla legislazione italiana ed europea. "Sembra un'eccezione necessaria ad adeguare rapidamente l'alveo ai parametri della Ue, ma non è così", sottolineava Rumiz nel suo articolo. Non posso interferire sull'urbanistica degli enti pubblici, dichiarò il commissario ai microfoni del giornalista di Repubblica. A quei supermercati avrebbe dato parere negativo, ma non aveva competenza per bloccare nulla.
"Quando la gente gli ha chiesto di intervenire almeno sui veleni Montedison, Goio ha obiettato che la cosa non rientrava nei suoi compiti. Ed era vero: per coprire anche quell'emergenza gli hanno dovuto dare una seconda nomina a commissario". Siamo nel dicembre 2008 quando Rumiz pubblica il suo articolo. In effetti, Goio era stato autorizzato l'anno prima 'a porre in essere ogni utile iniziativa volta al superamento del nuovo, sopravvenuto contesto critico relativo alla discarica abusiva in località Bussi'. Stanziati 15 milioni di euro per l'anno 2011, 20 milioni di euro per l'anno 2012 e 15 milioni di euro per l'anno 2013.
Quali risultati ha ottenuto il Commissario? Qualche settimana fa gli esponenti del Movimento 5 Stelle lo hanno chiesto direttamente al premier Enrico Letta in una interrogazione al momento senza risposta. Sel ne ha chiesto addirittura le dimissioni. Anche perché, come denunciato dal consigliere regionale del Movimento 139, Carlo Costantini, con la proroga 'Gioio e Chiodi possono continuare ad usare le risorse pubbliche derogando dagli articoli 6, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 17, 18, 19, 20, 21, 33, 37, 42, 55, 56, 62, 63, 68, 70, 75, 76, 77, 80, 81, 111, 118, 130, 132, 141 e 241 del Codice degli Appalti, nonché da tutte le connesse disposizioni regolamentari. In pratica, dopo otto anni di onorata emergenza Goio e cinque anni di governo monarchico della Regione Chiodi, entrambi potranno continuare a fare tutto quello che vogliono, con i soldi dei cittadini. Come se non avessero un passato e dei risultati disastrosi da rendicontare".
Anche Costantini si accoda alla fila di quanto chiedono cosa sia stato fatto in tutti questi anni: "Otto anni, passati da Goio con il portafoglio gonfio di decine di milioni da spendere e con le mani libere di agire in deroga alla legislazione vigente, secondo le consuetudini all'epoca molto in voga nella Protezione Civile. E' del tutto inutile spendere parole sui risultati di questa gestione e sui danni prodotti ad una città come Pescara che, a causa dei problemi del fiume, ha perso quasi tutto: dall'agibilità del suo porto, ai collegamenti con la Croazia, alla qualità delle acque del suo mare".
E ad ogni nuova pioggia, trema. Intanto, la discarica Tre Monti di Bussi - 200mila tonnellate e 250mila metri cubi a pochi metri dalle sponde del fiume Pescara - non è stata ancora bonificata. La discarica inquina le acque del fiume e il processo ai manager della Montedison rischia di andare in prescrizione.
"Povero Abruzzo", scriveva Rumiz al tramonto del 2008. "Da tempo, mafia e camorra hanno messo le mani sul territorio, col business dell'edilizia e dei rifiuti. C'è l'affarone dell'acqua da imbottigliare per una manciata di euro; e ci sono i 'regali' alla grande distribuzione, a spese dei fiumi e della cultura locale. Il Pescara arriva tumefatto al mare e non trova un metro libero per uscire al largo. Il mare non c'è più, le dune sono sparite, i veleni avanzano, il fiume è diventato una belva selvaggia, ma pochi protestano. Gli abruzzesi sono abituati a tacere da secoli. La loro è una 'regione camomilla', utilmente nascosta in una zona d'ombra dei media. Il dossier di un'azienda multinazionale la descrive così: 'facilità di penetrazione, costi d'insediamento minimi, zero conflittualità sociale'. Soprattutto, 'poche obiezioni ecologiche'".
Oggi, la 'regione camomilla' vive l'ennesima tragedia. In ottobre, il coordinatore comunale di Sel Roberto Ettorre aveva denunciato che "quintali e quintali di rifiuti edili sono stati scaricati illegalmente nell'area dell'ex draga di Pescara, una pericolosa discarica in una zona a rischio esondazione". Leggiamo dalla nota: "Un atto criminale, che mette ancor più a rischio i residenti della zona in caso di esondazione, poiché in caso di piena il fiume, trovando questa sorta di 'cassa di espansione' occupata dai rifiuti, potrebbe straripare al di là degli argini posti lungo la strada invadendo le strade e i palazzi a ridosso dell'area ex draga". Una situazione ancora più allarmante - denunciava l'esponente di Sel - vista alla luce delle tante opere edificatorie realizzate lungo il corso del Pescara: "dagli argini alti undici metri sulle sponde del Pescara all'altezza del Megalò che accelerano il flusso delle acque da monte a valle, allo stesso Megalò costruito in una 'cassa di espansione' del fiume, alle centraline poste in località Villanova, tutte opere che aumentano il rischio di esondazione a Pescara".
Allarmi rimasti inascoltati. Anzi. Ancora a settembre scorso, il Wwf si è trovato costretto a presentare ricorso al Tar contro il progetto 'Megalò 2'. Di cosa si tratta? Di un completamento del progetto del centro commerciale che prevede la costruzione di cinque nuovi edifici che dovranno sorgere accanto al parcheggio. Ancora cemento, su una vasta area a ridosso del fiume. C'è poi il progetto 'Megalò 3'. Altre costruzioni.
Post scriptum: il centro commerciale Megalò è stato chiuso in mattinata, per il rischio esondazione.