Mercoledì, 09 Maggio 2018 02:28

Quarant'anni dalla scomparsa di Aldo Moro, a L'Aquila un convegno per ricordarlo. Il professor Politi: "Suo tratto distintivo fu la fede negli uomini"

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Ricorrono oggi i quarant'anni della morte di Aldo Moro.

Era il 9 maggio del 1978, infatti, quando il corpo senza vita del presidente della Dc venne ritrovato, dopo una telefonata fatta dal brigatista Valerio Morucci, nel bagagliaio della famosa Renault 4 in via Caetani.

Per ricordare la figura di Moro la Fondazione Carispaq ha organizzato un convegno - che si terrà nel pomeriggio all'Auditorium Sericchi - dal titolo Aldo Moro. Il pensiero, la politica, la storia, al quale parteciperanno, tra gli altri, Paolo Mieli e Claudio Martelli e i professori dell'Università dell'Aquila Fabrizio Politi e Fabrizio Marinelli.

I due docenti di diritto parleranno di un lato di Moro poco conosciuto o, meglio, non studiato e indagato altrettanto a fondo come invece si è fatto per il Moro politico, l'esponente di spicco della Democrazia cristiana e il prigioniero delle Brigate Rosse: il Moro giurista.

Aldo Moro, infatti, non fu solo un grande statista ma anche un importate studioso e professore di diritto. Era stato membro dell'Assemblea Costituente e per tanti anni insegnò Procedura penale alla Sapienza. La sua cultura giuridica era ampia, profonda e sottile non meno della sua cultura politica.

Moro teneva tantissimo all'insegnamento. Con i suoi studenti mantenne fino alla fine un rapporto strettissimo che non si allentò nemmeno negli anni degli incarichi assunti ai massimi livelli istituzionali.

Non a caso, in una delle valigette che Moro aveva con sé il giorno in cui venne rapito in via Fani, c'erano le tesi di laurea dei suoi studenti. Non aveva dimenticato i suoi allievi nemmeno nel giorno in cui, in parlamento, si sarebbe votata la fiducia al governo Andreotti grazie alla non opposizione del Pci. Un accordo a cui Moro aveva lavorato per anni e di cui era stato il principale artefice e tessitore.

Abbiamo rivolto al professor Politi, ordinario di diritto costituzionale dell'Università dell'Aquila, alcune domande proprio sul Moro giurista, consapevoli del fatto che queste due anime - quella politica e quella accademica e giuridica - erano strettamente legate, accomunate soprattutto da una particolare visione dell'uomo, nei confronti delle cui capacità Moro nutriva una sincera fede e una grande fiducia.

Professor Politi, come si può riassumere il pensiero giuridico e la visione del diritto di Moro? Quale fu il tratto distintivo della sua cultura giuridica?

Direi la grande sensibilità per la tutela delle garanzie dell'individuo. Al centro della sua riflessione ci fu sempre la tutela della persona, anche nei confronti dello Stato. In questo fu molto influenzato dalle dottrine del personalismo e dei pensatori francesi dei primi del Novecento o di giuristi come Giuseppe Capograssi. Questa attenzione nei confronti della persona la ritroviamo anche nella sua attività politica, a iniziare dall'Assemblea Costituente, nella quale Moro ebbe un ruolo centrale, visto che fece parte del Comitato dei 18, il gruppo che scrisse materialmente la Cosituzione. Fu Moro a proporre a Meuccio Ruini lo schema della Costituzione, che difese l'articolo 2 intervenendo nel corso di una riunione dell'Assemblea, nel maggio del 1947, pronunciando la famosa frase: "Vogliamo uno Stato dal volto umano". Questa espressione, l'attenzione che secondo Moro lo Stato doveva avere nei confronti dei bisogni dei singoli, anche dei più svantaggiati, la ritroviamo in tanti suoi discorsi programmatici, nei dibattiti parlamentari, negli interventi fatti come segretario e presidente della Dc nelle varie direzioni generali. Un altro principio fondamentale della riflessione di Moro fu anche il suo riconoscimento dell'altro. In uno dei suoi primi incontri con Berlinguer disse: "Qualcosa delle nostre riflessioni oggi rimane in voi e qualcosa delle vostre in noi".

E' da questa concezione dell'uomo che deriva anche il solido e convinto parlamentarismo di Moro, la sua avversione verso ogni forma di dottrina dello Stato che predicasse la preminenza dell'esecutivo?

Moro era contrario all'idolatria dello Stato, aveva ben chiaro che lo Stato poteva essere uno strumento di garanzia ma anche di sopraffazione dell'uomo. Per lui lo Stato doveva esistere in funzione dell'uomo, come strumento di affrancamnto dai bisogni. In questo c'è tutta la matrice e la connotazione cattolica del suo pensiero. In questo quadro la forma di governo migliore, secondo Moro, è quella parlamentare, perché è quella dove è garantita la pluralità della rappresentanza. Il parlamento, per Moro, era il luogo della rappresentanmza popolare, del pluralismo, ma anche dell'inevitabile necessità di un vicendevole riconoscimento tra le parti politiche. In questi giorni in cui ci troviamo immersi in una situazione di stallo in cui non si riesce a fare un governo, in cui le forze politiche si presentano orgogliosamente l'una antitetica all'altra e quindi nessuna vuole contaminarsi con l'altra, val la pena ripensare all'insegnamento di Moro, quello del riconoscimento dell'altro. Le differenze che c'erano tra Partito comunista e Democrazia cristiana erano di gran lunga superiori a quelle che ci sono tra i partiti di oggi. Però quella classe politica fu capace di trovare un terreno comune, che era quello della Costitutizione repubblicana. Moro fu per tutta la sua vita l'uomo del dialogo, il tessitore delle occasioni di incontro. Non si va su questa strada se non si ha una grande fede nell'essere umano, nella capacità degli essere umani di incontrarsi vicendevolmente.

Questa visione ottimistica dell'uomo si rifletteva anche nella sua avversione e nella sua contrarietà, come penalista, alla pena di morte, all'ergastolo e a una concezione punitiva della pena.

Sì, Moro credeva nella funzione rieducativa della pena, come strumento di reinserimento nella vita sociale di chi aveva sbagliato. Torniamo sempre lì, nella dignità dell'uomo. Moro si rendeva conto, però. che questi erano argomenti delicati in quel momento storico, per cambiare i quali bisognava puntare a un percorso da intraprendere e non a un risultato immediato. Questo fu l'altro grande insegnamento di Moro: sono più importanti i percorsi, gli itinerari argomentativi, della battaglia in vista del risultato immediato. Quello che può apparire un ripiego, nell'immediato, è una premessa per il successo.

E' d'accordo con chi afferma che esiste, nella storia d'Italia, almeno in quella più recente, un prima e dopo Moro?

Sì, lo dissi già dieci anni fa quando celebrammo il trentennale della morte. Il 78 fu un anno spartiacque per l'Italia. Non ci fu solo l'escalation terroristica ma anche il venir meno di quella generazione di politici che era stata la protagonista della fase costituente dei primi 30 anni di storia della Repubblica. Ci fu un passaggio segnato dal un cambio generazionale, il tramonto della generazione di Moro e l'emergere di quella successiva, quella dei Craxi, dei De Mita. In quel passaggio  si sentì la mancanza di una figura come quella di Moro, che era sempre stato l'uomo capace di cucire e trovare delle soluzioni. Fu una figura veramente eccezionale nella storia della Repubblica.

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Maggio 2018 02:47

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