Nel 1975 Pier Paolo Pasolini sul "Corriere" di Piero Ottone pubblica il suo "scritto corsaro" più famoso, passato alla storia come l'articolo sulla scomparsa delle lucciole.
"Nei primi anni sessanta - scrive - a causa dell'inquinamento dell'aria e soprattutto in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua, sono cominciate a sparire le lucciol. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. Quel qualcosa che è accaduto lo chiamerò dunque scomparsa delle lucciole".
Pasolini, che osserva allarmato i cambiamenti in atto in Italia, intravede nel periodo passato alla storia come "il miracolo economico italiano" la fine dei valori della civiltà contadina, valori sani, positivi, a differenza dell'industrializzazione di cui il poeta friuliano addita i democristiani come i principali colpevoli: sono corrotti, sostiene, hanno devastato l'ambiente, hanno distrutto la scuola, si sono impadroniti della tv pubblica, hanno portato l'economia a livelli di disperazione e soprattutto hanno mutato il paesaggio italiano. Hanno cambiato gli italiani.
Pasolini in quegli anni invoca metaforicamente un processo per i "gerarchi democristiani", "tutti alla sbarra", dice, e poi aggiunge: "Tutti, compreso Aldo Moro, cioè colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state organizzate dal 69 ad oggi nel tentativo di conservare il potere". Negli anni di mani pulite questa metafora è diventata realtà e Aldo Moro "il meno implicato di tutti", nel 1978, sarà l'unico ad essere processato dal tribunale del popolo delle Brigate Rosse.
Sono passati 40 anni dal 9 maggio 1978, il giorno in cui il corpo di Aldo Moro fu lasciato nel bagagliaio di una Renault rossa parcheggiata in Via Caetani. L'immagine di Aldo Moro, nell'immaginario collettivo degli italiani, resta ancorata a quel momento, oggetto di saggi, inchieste parlamentari e giornalistiche, documentari che non sono riusciti a far luce sui tanti "misteri" che lo avvolgono.
Di quel periodo storico, cruciale per la storia democratica del paese, ci è stata consegnata "una memoria spezzata". Lo scrive Marco Damilano nel suo libro Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia. Un saggio di storia politica che percorre la vicenda Moro su due fronti, quello della cronaca - come viaggio nella memoria collettiva, ma anche personale - e quello della politica, nelle correlazioni con altri protagonisti di quegli anni, tra tutti Pier Paolo Pasolini.
Due figure, Moro e Pasolini, che ragionano sull'Italia di quegli anni, in particolare sulle trasformazioni che avevano portato al referednum sul divorzio, in modo molto diverso. Laddove Pasolini aveva visto un vuoto, "non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sè" per cui voleva processare chi lo aveva provocato, Moro, l'uomo di potere e di governo, paradossalmente, aveva visto un valore.
"E' in atto un processo di liberazione che ha nella condizione giovanile e nella nuova condizione della donna, nella nuova realtà del mondo del lavoro, nella ricchezza della società civile le manifestazioni più rilevanti - scriveva Moro- E' un moto indipendente dal modo di essere delle forze politiche alle quali tutte, comprese quelle di sinistra, esso pone dei problemi non facili da risolvere. Un moto che logora e spazza via molte cose, esso anima la lotta per i diritti civili e postula una partecipazione nuova alla vita sociale e politica". Queste due figure che avevano capito entrambe che il nuovo moto della società avrebbe coinvolto tutto, finiscono una trucidato e massacrata sulla spiaggia, e l'altra "acciambellata in una sconcia stiva" (come scrisse il poeta Mario Luzi) di una Renault rossa. "Un doppio parricidio" che l'Italia ha compiuto nella seconda metà degli anni 70 e che ha lasciato un vuoto che non è stato colmato e un moto che non è stato controllato e che quindi ha finito per travolgere tutto.
Damilano intraprende un viaggio, non solo reale, nei luoghi di Moro, ma anche figurato, attraverso ciò che in Italia non è stato realizzato. Libera Moro dalla retorica degli anni successivi al suo assassinio e dalla costrizione cui lo legarono i brigatisti, per ricostruire un modo di fare e di intendere la politica, affinchè " di Moro e delle vicenda repubblicana, della fine di quella stagione e dell'impossibilità di farne nascere una nuova" non resti che una "memoria spezzata".
Non si tratta, quindi, di un libro inchiesta, l'ennesimo, sul Caso Moro. "L'atomo di verità" cui Damilano si riferisce, riprendendo le parole che scrisse Moro in una delle sue ultime lettere disperate scritte dal covo delle Br al deputato dc Riccardo Misasi, non è quello destinato a far luce sull'agguato di via Fani e sui 55 giorni di prigionia. E'la verità che manca alla politica attuale, "autoreferenziale e autocelebrativa", forte di milioni di consensi ma priva di sostanza, incapace di governare le innovazioni del nostro tempo. Una politica inchiodata al presente, non più lungimirante che cavalca la frustrazione della società riducendo i problemi a paure individuali e collettive.
Damilano indirizza il lettore verso una riflessione sul significato della poltica, quella di oggi e quella di ieri, alternando discorsi ufficiali, ricordi personali, con le lettere che Moro scrisse ai direttori delle più grandi testate nazionali. E ricostruendo il contesto storico-politico di quegli anni anche attraverso le decine di fotografie dell'archivio Aldo Moro conservate nel centro documentazione Sergio Flamigni: quindicimila scatti che Damilano, durante la preparazione del libro, ha consultato, studiato, dopo aver letto la corrispondenza privata . Immagini in bianco e nero e a colori, fotogrammi, scatti ufficiali che, come riporta Damilano, raffigurano Aldo Moro sempre in abito scuro e cravatta. Nel libro ne è riportata una, scattata a Palermo negli anni '70, che ritrae insieme Moro, Piersanti Mattarella fratello dell'attuale presidente della Repubblica, e il giornalista Mino Pecorelli: uccisi tutti e tre. Foto che non riproducono solo l'mmagine pubblica di un uomo di potere, ma che racchiudono l'essenza della sua politica, un uomo che fece del decoro personale la sua cifra, l'emblema del rispetto per le istituzioni e per i suoi interlocutori.
La storia ricostruita dal direttore dell'Espresso dell'"Aldo Moro politico", che "usava un linguaggio complesso che aveva però la dignità della politica", opposto a quello di chi, oggi, accorcia le distanze, ai "politici" che si pongono al di sotto dei loro elettori, con un linguaggio amichevole e informale, riesce a fornire una chiave di lettura del nostro presente. Damilano torna a quel momento buio, l'agguato di Via Fani, non per solennizzare il trentennio democristiano, di cui Moro è stato protagonista indiscusso: un periodo segnato dalla corruzione, in cui si sono gettate le basi dell'attuale debito pubblico, il periodo dell'Ilva di Taranto, inaugurata proprio da Aldo Moro Presidente del Consiglio, di quello sviluppo economico di cui ora paghiamo pesanti conseguenze. L'obiettivo è quello di capire le conseguenze di quel dramma per mettere in luce le contraddizioni, il "vuoto" della politica di oggi, "apparenza di potere ma non sostanza".
L'agguato, la prigionia e poi l'assassinio di Moro, che rivivono nei ricordi di Damilano bambino, coincidono con il declino della stagione dei grandi partiti di massa "rappresentativi della società in ogni piega" perchè la politica "era tutto, era ideologia".
Il 16 marzo 1978 è una data spartiacque per la politica e per la società italiana. Moro aveva 61 anni, era l'uomo che più di tutti rappresentava il potere. Stava per portare a compimento il suo "capolavoro politico" che, 10 anni prima la caduta del muro di Berlino, avrebbe di fatto segnato il superamento della logica di Yalta, con il partito comunista guidato Berlinguer che, per la prima dal 1947, proprio il 16 marzo, avrebbe votato per la prima volta un governo monocolore democristiano. Con il rapimento del presidente della Dc però si apre una nuova fase: la dissoluzione della stessa Dc, la morte di Berlinguer, la caduta del Muro, Tangentopoli e la latitanza di Craxi in Tunisia, che ci porta dritti dritti ai giorni nostri, al 4 marzo 2018: un'ulteriore svolta per il nostro paese, delicata esattamente come quella che si era trovata a gestire il "demiurgo" Moro.
I paragoni con il presente inducono spesso in errore. Ma leggendo oggi il discorso che Moro pronunciò in Parlamento il 28 febbraio 1978, due settimane prima di essere rapito, non si può evitare di pensare all'attuale fase di incertezza politica e sociale. Ammettendo, di fronte ai gruppi parlamentari, che "qualche cosa da anni è guasto, arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana", Moro, tra i protagonisti della Repubblica dei partiti afferma: "Ci troviamo di fronte a una situazione nuova, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non servono più" e invitava a guardare "l'emergenza reale che è nella nostra società. Io credo nell'emergenza, temo l'emergenza. Immaginate cosa accadrebbe in Italia in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica dell'opposizione, da chiunque essa fosse condotta, da noi o da altri...Sappiamo che c'è in gioco un delicatissimo tema di politica estera, che sfioro appena, che sfioro appena, il giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo collegati, quindi dati di fatto obiettivi. Se voi mi chiedete tra qualche anno cosa potrà accadere, io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà".
Damilano trasforma quindi Moro in equilibrista, capace di attrarre gli opposti, i due avversari della guerra fredda uniti per votare la fiducia a un governo monocolore democristiano. "E' La flessibilità, più che il nostro potere, che ha salvato fin qui la democrazia italiana", un paese "dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili".
Con il ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani ha inizio, per Damilano, l'annullamento della Politica che oggi si palesa nello stallo politco a cui assistiamo a oltre due mesi dalle elezioni.
Il 1978 è quindi l'anno di svolta tra la realtà totalizzante dei grandi partiti di massa, e l'autocompiacimento, la mancanza di linea programmatica, degli attuali partiti liquidi.