Rigopiano, due anni dopo.
E' il silenzio ad avvolgere ciò che resta del resort travolto da una valanga di circa 120mila tonnelate che si è schiatata sull'albergo con la forza di quattromila tir a pieno carico. L'impronta della slavina è imponente, alzando lo sguardo. Voltandosi, resta l'insegna dell'albergo che lì, sotto la cresta del Monte Siella, non doveva stare: i familiari delle 29 vittime, come fosse un sacrario, vi hanno appeso le foto dei loro familiari con la scritta 'mai più'.
E' il pomeriggio del 18 gennaio 2017: l'Abruzzo è flagellato da una violenta bufera di neve, quattro scosse di terremoto scuotono il centro Italia; tra le 16:30 e le 16:50, l'enorme slavina si abbatte sull'Hotel Rigopiano. In quel momento, la struttura alberghiera ospita 40 persone: 28 clienti, tra cui quattro bambini, e 12 membri dello staff. Già dal giorno prima, isolati dalle nevicate che imperversavano sul versante pescarese del Gran Sasso, molti degli ospiti avevano chiesto di lasciare la struttura. Prima che la valanga si staccasse, il proprietario aveva inviato diverse richieste di aiuto.
Alle 17:08, Giampiero Parete - illeso perché si trovava nel parcheggio - lancia l'allarme al 118: urla che c’è stata una valanga e che l'albergo è crollato. Due minuti dopo, la prefettura chiama l'hotel: nessuno risponde. Mezz'ora più tardi, una funzionaria contatta il direttore dell'albergo, Bruno Di Tommaso, che però è a Pescara e dice di non sapere nulla. Alle 18:03, Parete chiama il suo titolare Quintino Marcella, che fa diverse telefonate al 112 e al 113. Alle 18:08 e alle 18:20 Marcella parla per due volte con la prefettura di Pescara: in entrambi i casi la funzionaria liquida la richiesta d'aiuto come un falso allarme.
Solo alle 18:57, oltre due ore dopo la tragedia, un volontario della Protezione civile crede al racconto di Marcella e la macchina dei soccorsi si attiva. Le squadre del Soccorso alpino si mettono in cammino con le ciaspole e gli sci poco dopo: raggiungeranno lo scheletro della struttura all'alba del 19 gennaio. Poco dopo arriva la colonna dei soccorritori, dietro le turbine che hanno lavorato tutta la notte per sgomberare la strada che da Farindola sale a Rigopiano.
Saranno giorni drammatici, di fatica, di speranza, di gioie e di dolore. Le operazioni di recupero termineranno il 25 gennaio, una settimana dopo: 11 le persone tratte in salvo, 29 i corpi estratti senza vita dalle macerie.
Una tragedia che scuote l'Italia intera. Quel 25 gennaio, l'allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni riferirà in Senato sull'emergenza terremoto, dichiarandosi "orgoglioso dell'opera degli 11mila soccorritori impegnati nel Centro Italia".
La cronaca della giornata
Sono passati due anni. Due anni che reclamano ancora la verità sui tragici fatti del 18 gennaio 2017.
Stamane, ci si è ritrovati alle 10 davanti al totem dell'Hotel; di lì, la fiaccolata verso la chiesa di Farindola dove alle 11.30 si è tenuta la messa celebrata dal parroco don Luca di Domizio. Alla solenne commemorazione hanno partecipato anche i vice premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. C'erano anche il coordinatore regionale della Lega Giuseppe Bellachioma, il consigliere regionale M5s Sara Marcozzi, candidata presidente della Regione, e il sottosegretario Gianluca Vacca.
La piccola chiesa non riusciva contenere la folla presente, i vice premier sono entrati per seguire la Messa. "Noi ci siamo", ha detto Di Maio mentre stringeva le mani dei parenti delle vittime, appena giunto sul luogo del disastro. Di Maio si è intrattenuto a parlare con Gianluca Tanda del Comitato Vittime di Rigopiano. Anche Salvini ha salutato i parenti delle vittime e ha fatto un giro intorno all'area dove una volta c'era il resort: ha ascoltato i racconti dei parenti, che hanno tenuto ciascuno a spiegare la loro storia. "Ho detto a papà Feniello di non pagare un euro. Ci manca giusto di essere multati per andare a portare i fiori al figlio. Se c'è una legge sbagliata, cambieremo questa legge", le parole del leader della Lega a proposito della condanna al pagamento di una multa da 4.550 euro inflitta ad Alessio Feniello, papà di Stefano, per aver violato i sigilli giudiziari messi per delimitare l'area dove sorgeva l'hotel crollato sotto la valanga.
Al termine della commemorazione la moglie di Faniello ha urlato: "Adesso il presidente della Repubblica manda una corona, ma cosa ci fa una mamma adesso? Dovevano mandare uno spazzaneve due anni fa. Ecco cosa dovevano fare".
Salvini e Di Maio sono stati accusati, alla vigilia delle celebrazioni, di voler utilizzare la tragedia come passerella elettorale, dopo la promessa da parte del Governo di stanziare 10 milioni per i familiari delle vittime. "Ci hanno accusati: 'Rigopiano cade nella politica', ma non è così. Nessuno di noi fa politica, abbiamo solo l'esigenza di avere giustizia e di permettere ai nostri orfani e a chi è rimasto di andare avanti. Non chiediamo un risarcimento, quanto piuttosto un contributo. Non siamo in vendita", spiega il Comitato composto dai parenti delle vittime.
Le inchieste sulla tragedia
Il 23 gennaio, con le operazioni di soccorso ancora in corso, la Procura di Pescara apre un fascicolo unico contro ignoti per disastro colposo e omicidio plurimo. Il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e il pm Andrea Papalia, titolari dell’indagine, fanno rientrare nell'incartamento tutti gli aspetti relativi alla vicenda compresa la costruzione dell’albergo e le vie di accesso. Già in quel frangente, Tedeschini precisa anche quelli che saranno altri temi dell'indagine: le comunicazioni telefoniche, via Whatsapp e scritte, i ritardi dei soccorsi e il Piano Valanghe.
Il 25 gennaio, giorno in cui vengono concluse le operazioni di soccorso, e con la disponibilità dei risultati delle autopsie effettuate sui primi sei corpi ritrovati, la Procura fa il primo punto sulle indagini: "Molti sono morti per schiacciamento - rivela Tedeschini - altri per varie concause: schiacciamento, asfissia, ipotermia. Ma nessuno è deceduto per solo assideramento".
Due giorni dopo, il 27 gennaio, sono sei le persone che vengono iscritte nel registro degli indagati dalla Procura di Pescara per omicidio colposo e lesioni colpose; tra gli indagati, il presidente della Provincia di Pescara, il sindaco di Farindola e il direttore dell'albergo, quest'ultimo indagato anche per atti omissivi in ambito di sicurezza sul lavoro. Ma l'inchiesta è destinata ad allargarsi. Ed infatti, il 23 novembre 2017, le persone iscritte nel registro degli indagati diventano 23; diventeranno 40.
Il 26 novembre scorso, a 22 mesi dalla tragedia, la Procura di Pescara ha dichiarato concluse le indagini: le persone coinvolte sono 25, 24 persone e una società. Si tratta dell’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, dell’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, dei direttori e i dirigenti del dipartimento di Protezione civile regionale, ed in particolare Carlo Visca, direttore del dipartimento dal 2009 al 2012 e Vincenzo Antenucci, dirigente del Servizio prevenzione rischi e coordinatore del Coreneva dal 2001 al 2013, del tecnico del Comune di Farindola Enrico Colangeli, del gestore dell’albergo e amministratore e legale responsabile della società ‘Gran Sasso Resort & spa’ Bruno Di Tommaso, di Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, rispettivamente dirigente e responsabile del servizio di viabilità della Provincia di Pescara, Leonardo Bianco e Ida De Cesaris, rispettivamente ex capo di gabinetto e dirigente della prefettura, e ancora del direttore regionale dei Lavori pubblici fino al 2014 Pierluigi Caputi, del dirigente della Protezione civile Carlo Giovani, degli ex sindaci di Farindola Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, del tecnico geologo Luciano Sbaraglia, di Marco Paolo Del Rosso, l’imprenditore che chiese l’autorizzazione a costruire l’albergo, Antonio Sorgi, direttore della Direzione parchi territorio ambiente della Regione Abruzzo, Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica allegata alla richiesta della ‘Gran Sasso Resort & spa’ di intervenire su tettoie e verande dell’hotel, Andrea Marrone, consulente incaricato da Di Tommaso per adempiere le prescrizioni in materia di prevenzione infortuni, Emidio Rocco Primavera, direttore del Dipartimento regionale opere pubbliche, Giulio Honorati, comandante della Polizia provinciale di Pescara, Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il piano di reperibilità provinciale, Sabatino Belmaggio, responsabile del rischio valanghe fino al 2016 e, infine, per la società ‘Gran Sasso Resort & spa’.
Vengono stralciate le posizioni di Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco, e Gianni Chiodi, ex presidenti di Regione; Tommaso Ginoble, Daniela Stati, Mahmoud Srour, Gianfranco Giuliante e Mario Mazzocca, assessori che si sono succeduti alla Protezione Civile; Enrico Paolini, ex vice presidente della Regione Abruzzo; Cristina Gerardis, ex direttore generale della Regione; Giovanni Savini (direttore del dipartimento di protezione civile per tre mesi nel 2014); Silvio Liberatore, responsabile della sala operativa della Protezione civile; Antonio Iovino dirigente del servizio di Programmazione di attività della protezione civile; Vittorio Di Biase, direttore Dipartimento opere pubbliche fino al 2015; Vincenzino Lupi, responsabile del 118; Daniela Acquaviva, la funzionaria della prefettura di Pescara salita alla ribalta delle cronache poiché nella telefonata del ristoratore Quintino Marcella (che per primo la sera della tragedia lanciò l’allarme) pronunciò la frase "la madre degli imbecilli è sempre incinta".
Sette i reati ipotizzati: disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione d'atti d'ufficio, abuso in atti d'ufficio. A questi si aggiungono altri vari reati ambientali.
Gli interrogatori sono iniziati nei giorni scorsi.
Un altro filone d'inchiesta è stato aperto nelle settimane scorse, con l'ipotesi di reato di depistaggio e frode processuale; l'11 gennaio sono stati notificati 7 avvisi di garanzia: sul registro degli indagati l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, i duei vice prefetti distaccati Salvatore Angieri e Sergio Mazzia, i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva. L'accusa è di avere occultato, nel corso delle indagini della Squadra Mobile di Pescara, il brogliaccio delle segnalazioni pervenute al Centro coordinamento soccorsi della Prefettura il 18 gennaio 2017 per nascondere la telefonata registrata alle 11:38 del cameriere Gabriele D'Angelo, una delle 29 vittime, che dal resort chiese l'intervento dei soccorsi.
Sulla base di quanto scrivono il procuratore capo Massimiliano Serpi e il sostituto Andrea Papalia, gli indagati, "al fine di impedire, ostacolare o, comunque, sviare l'indagine avviata dalla Procura di Pescara per reati di disastro e omicidio plurimo colposo inerenti il crollo dell'Hotel Rigopiano" - così è scritto nell'avviso di garanzia - avrebbero omesso di riportare, nelle relazioni di servizio, "le segnalazioni di soccorso pervenute in quella giornata da persone presenti nell'Hotel Rigopiano e, segnatamente, la telefonata con richiesta di soccorso fatta alla Prefettura dal dipendente dell'hotel Gabriele D'Angelo". Inoltre gli indagati, "nonostante rituale e specifico ordine di esibizione eseguito dalla polizia giudiziaria", avrebbero omesso "di esibire e consegnare la documentazione consistente in brogliacci, fogli e/o appunti su cui erano riportati gli estremi necessari per l'individuazione della suddetta richiesta di soccorso di Gabriele D'Angelo e del suo contenuto e, in particolare, il numero telefonico con le generalità del richiedente, la tipologia di emergenza segnalata e località interessata dalla segnalata emergenza e, anzi, procedendo allo strappo del foglio nella parte riportante i suddetti estremi della chiamata, immutato artificiosamente la documentazione costituente corpo del reato ovvero lo stato di cose connesse al reato e affermato il falso o negato il vero e comunque taciuto, in tutto o in parte, circostanze rilevanti sui fatti in ordine ai quali erano stati espressamente richiesti di fornire informazioni".
Il tutto con "l'aggravante del fatto commesso mediante distruzione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, e/o, comunque, mediante artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento da impiegare come elemento di prova o, comunque, utile alla scoperta del reato o al suo accertamento".
Gli investigatori del Gruppo Carabinieri di Pescara stavano indagando sulla vicenda già da un anno, dopo l'acquisizione di un'inedita conversazione avvenuta tra un carabiniere della sala operativa di Pescara e la funzionaria della prefettura Daniela Acquaviva che spiegava come l'intervento su Rigopiano fosse stato fatto in mattinata riferendosi proprio alla telefonata pervenuta da Gabriele D'Angelo. E' ipotizzabile che D'Angelo abbia chiesto l'evacuazione della struttura dopo le scosse di terremoto che avevano interessato la zona.
Sono le 18:09 del 18 gennaio 2017, quindi almeno un'ora e venti dopo la valanga; il carabiniere di servizio riferisce di aver ricevuto una telefonata di Quintino Marcella: il ristoratore dichiarava ai carabinieri che Parete gli aveva riferito della tragedia. "Ho preso una telefonata adesso da un signore - dice il Carabiniere - di un certo Quintino Marcella. Mi ha detto che un cuoco di sua conoscenza che sta all'Hotel Rigopiano...", al che la dirigente Acquaviva lo ferma per dirgli che "l'Hotel Rigopiano è già stato fatto questa mattina. C'erano dei problemi. Sono stati raggiunti e sta tutto apposto".
Ma di che intervento si tratta? Di un controllo evidentemente. Lo scambio di battute tra Prefettura e Carabinieri di fatto termina con un ambientale registrato nella quale la Acquaviva si rivolge ad una terza persona che si trova con lei e le chiede: "...scusa l'Hotel Rigopiano, è stato fatto questa mattina l'intervento no? ...ai Carabinieri ha telefonato uno dicendo è crollato l'Hotel Rigopiano con dentro la gente ma..."; una voce maschile risponde: "ma che stiamo scherzando?". E la donna: "ma non è vero". Una voce maschile aggiunge: "è uscito fuori che era uno scherzo...".
L'operatore del 112 a quel punto tira un sospiro di sollievo: "Ah addirittura è uscito fuori che era uno scherzo", si sente sempre nell'ambientale della telefonata. Altre voci di sottofondo della sala operativa della Prefettura: "Ho parlato pure io con un uno di Rigopiano... dice che siccome ci sono problemi con le linee telefoniche... scusa contattate là. Eh no, io credo sia tutta una montatura".
L'indagine parte proprio da qui: di questa telefonata di D'Angelo, che risulta aver chiamato la Prefettura, non c'è traccia in nessun brogliaccio, eppure è stata ricevuta.