Il destino dei 180 lavoratori della Madar (ex Otefal) è appeso a un filo più sottile delle lastre di alluminio prodotte nello stabilimento aquilano e usate per vari impieghi, tra cui la fabbricazione di tapparelle e avvolgibili.
L'azienda, rilevata appena un anno fa dal gruppo siriano Madar, è praticamente sull'orlo del fallimento. Se entro il 27 marzo, data in cui dovrebbe svolgersi l'asta indetta dal curatore fallimentare Omero Martella, non si faranno avanti nuovi acquirenti, c'è il rischio che i dipendenti, attualmente in cassa integrazione straordinaria, vengano messi in mobilità e dunque licenziati.
Una possibilità che i sindacati vogliono scongiurare a tutti i costi. Al momento lo stabilimento è funzionante, il personale continua a lavorare. L'obiettivo dei sindacati è proprio quello di evitare una chiusura prima che venga portata a termine l'asta, "perché" spiega Clara Ciuca della Uilm "un conto è cercare di vendere un impianto chiuso, un conto è vendere un impianto dove, malgrado tutto, la produzione non si è fermata".
Nei giorni scorsi, come ha raccontato Il Centro, sulla vertenza è intervenuto anche il parlamentare abruzzese di Sel (ed ex sindacalista) Gianni Melilla, che ha presentato un'interrogazione scritta al ministro del Lavoro Enrico Giovannini.
La ex Otefal, di proprietà della famiglia bergamasca Pozzoli, era passata in mano siriana nel gennaio 2013. In un anno, il nuovo management, in gran parte turco-siriano, ha salvaguardato i precedenti livelli occupazionali e garantito il pagamento degli stipendi, ma non è riuscito a rilanciare la produzione. Colpa della crisi economica globale e delle difficoltà legate alla guerra civile in corso in Siria, paese dove l'azienda ha il suo quartier generale.
Tuttavia, sulla mancata ripresa della produzione, avrebbero pesato anche altri fattori: in primis l'assenza di investimenti e poi anche la decisione, presa dai vertici della società, di apportare dei cambiamenti ai cicli di lavorazione dell'alluminio, per realizzare i quali, però, sarebbero stati necessari nuovi macchinari, più moderni. In altri termini, nonostante la fabbrica fosse in crisi già da molto tempo, il management della Madar avrebbe delle responsabilità precise e non secondarie nella crisi in cui l'azienda è precipitata.