Un'altra pesante tegola sta per abbattersi sull'industria aquilana. Le speranze dei 172 lavoratori dello stabilimento dell'ex Otefal, specializzato nella produzione di laminati, che appena un anno fa era stato rilevato dai siriani della Madar, sono infatti appese ad un filo. E' andata deserta anche la terza asta per la vendita: in fumo, le manifestazioni di interesse arrivate da una cordata spagnola e da un gruppo industriale indiano.
Oramai, dunque, è una vera e propria corsa contro il tempo per salvare lo stabilimento e i 172 lavoratori in mobilità. Un eventuale fallimento sarebbe un colpo durissimo per il già disastrato tessuto socio-economico del territorio.
“La Madar” aveva ricordato tempo fa il segretario provinciale della Fim-Cisl Gino Mattuccilli “era subentrata poco più di un anno fa prendendo in affitto il capannone, che era in concordato preventivo dopo l’uscita di scena della vecchia proprietà, la Pozzoli di Bergamo. L’affitto del ramo d’azienda, secondo le intenzioni manifestate inizialmente dal gruppo, avrebbe dovuto rappresentare il primo passo verso l’acquisto definitivo dell’immobile”. Cosa che, però, non è avvenuta.
Per spiegare le cause di questo fallimento non basta invocare la crisi economica e la diminuzione delle commesse. Secondo Mattuccilli, alla base di tutto ci sarebbe anche una serie di errori manageriali. L'ex Otefal produce infatti lastre di alluminio destinate prevalentemente alla produzione di tapparelle e avvolgibili. Il primo errore commesso dal gruppo siriano è stato quello di aver usato i macchinari presenti all'interno dello stabilimento, tarati per fabbricare lamine dello spessore di 3 millimetri, per produrre lastre dallo spessore ancor più sottile (0,3 millimetri). Obiettivo impossibile da raggiungere utilizzando le medesime apparecchiature.
Inoltre, sempre secondo Mattuccilli, l'azienda avrebbe scontato anche delle differenze culturali e dei gap in termini di conoscenza e di esperienza industriale. La Madar, infatti, ha stabilimenti diffusi soprattutto in Turchia, Asia Minore e Nord Africa. Paesi e contesti territoriali molto diversi dall'Italia e dall'Europa, nei quali vigono norme sulla sicurezza, sull'organizzazione del lavoro e sulla gestione aziendale molto distanti dalle nostre.
Come se tutto ciò non bastasse, infine, è arrivata, qualche mese fa, anche una sanzione da 4 milioni di euro comminata in seguito ad alcuni accertamenti fatti della Guardia di Finanza, in seguito ai quali è emerso che l'azienda avrebbe evaso l'Iva per centinaia di migliaia di euro.
Ora, l'accorato appello dei sindacati alle istituzioni: "E' ora che la politica si dia da fare, visto che ci sono 172 lavoratori, per lo più giovani, in mobilità", ha sottolineato Clara Ciuca della Uil. Con l'unica prospettiva del licenziamento: "Quello che si prospetta è un vero e proprio allarme sociale". Stando al sindacato, il fatto che siano andate deserte ben tre aste potrebbe nascondere la volontà di smantellare definitivamente il sito, smembrando e svendendo le apparecchiature e i macchinari.
Sarebbe l'ennesimo disastro, per l'industria aquilana.