Lunedì, 24 Giugno 2019 13:53

Ricostruzione, il caso delle imprese che falliscono lasciando lavori non conclusi

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Delle storture che possono annidarsi intorno alle pratiche di ricostruzione privata, una ‘giungla’ che avrebbe necessitato di regole ben più stringenti, ci siamo occupati diffusamente. In particolare, le criticità investono, per lo più, i rapporti tra presidenti di consorzio e imprese. Eppure, è stato chiarito – finanche con una sentenza del Consiglio di Stato – che il presidente di un consorzio, indicato dai proprietari di unità immobiliari ricadenti in un aggregato, ne diventi il rappresentante legale; d’altra parte, è sufficiente che un soggetto, anche privato, ponga in essere un’attività che corrisponda ad un pubblico interesse affinché assuma le vesti di “pubblica amministrazione”.

A dire che i consorzi di proprietari, istituiti con carattere di obbligatorietà dall’Opcm 3829 del 2009 ed esclusivamente privati per legge, perseguono comunque un interesse pubblico vista la finalità di ricostruire abitazioni danneggiate dal terremoto a spese dello Stato. E non è affatto un caso che l’allora ministro Fabrizio Barca, con l’ordinanza 4013 del 23 marzo 2012, abbia stabilito che "ai fini di assicurare la concorrenza e la trasparenza nell'affidamento dei lavori", le domande di contributo dovessero essere corredate da un minimo di cinque offerte acquisite da imprese e da tre offerte di progettisti.

Un riferimento chiarissimo ad un principio di pari opportunità, comparazione e, dunque, trasparenza, fondamentale nei processi di ricostruzione, sebbene l’affidamento degli incarichi resti, di per sé, assolutamente fiduciario.

E qui si annidano i problemi, appunto.

D’altra parte, succede che vengano eletti presidenti di consorzio che, in alcuni casi, non hanno le necessarie competenze per svolgere incarichi tanto delicati, e penalmente perseguibili, in altri sono tecnici cui i consorziati si affidano con fiducia e che, a volte, di quella fiducia finiscono per abusare.

Succede, così, e l’abbiamo raccontato, che alcune imprese – poche, ne siamo sicuri – ricattino i proprietari in vari modi, con o senza la ‘sponda’ dei presidenti dei consorzi, a volte inconsapevoli, altre volte pienamente consapevoli di ciò che sta accadendo.  Succede che il voto in assemblea per l’affidamento degli incarichi venga persino pagato: tempo fa, in redazione è arrivata la segnalazione su una compravendita di voti a 50 euro; succede che i titolari di alcune imprese acquistino, per mezzo di prestanome, cantinole o piccoli garage di un aggregato così da poter partecipare alle assemblee delegando, magari, avvocati o commercialisti che finiscono per esercitare improprie pressioni sui consorziati e sui presidenti. Addirittura, ci è stato indicato che alcune imprese avrebbero assecondato le richieste di consorziati che, in cambio del voto in assemblea, avrebbero venduto alle imprese stesse proprietà, magari dismesse e di poco valore, ereditate da lontani parenti e di cui volevano liberarsi; fino ad arrivare alle illegittime ingerenze di imprenditori che, in cambio dell’ottenimento di aggregati, hanno promesso, e in taluni casi garantito, posti di lavoro.

Succede anche altro, però.

Per esempio, ci sono realtà imprenditoriali che fanno incetta di appalti e poi falliscono, lasciando nei guai i consorziati. E’ accaduto con imprese venute nel cratere da altre Regioni, e ne abbiamo scritto, ma sta accadendo anche con realtà aquilane, e pure di una certa rilevanza, che hanno continuato ad acquisire incarichi pur se in gravi difficoltà.

Un caso, tra gli altri.

Il Consorzio di proprietari di un aggregato del centro storico ha avviato in queste settimane la risoluzione del contratto d’appalto con una ditta aquilana inviando ad altre imprese, dunque, la richiesta di manifestazione d’interesse al subentro dei lavori. D’altra parte, l'aggiudicataria dei lavori – stando al presidente del Consorzio – risulta gravemente inadempiente rispetto agli obblighi assunti: l’esecuzione delle opere, già condotte con “enorme ritardo e, dunque, in totale violazione del cronoprogramma”, ad oggi risulta addirittura “indebitamente sospesa/interrotta”. Tra l’altro, mesi addietro, a causa dei ritardi accumulati, il Consorzio aveva già concesso la possibilità di rielaborare l’originario cronoprogramma, per evitare l’assunzione di decisioni drastiche.

A testimoniare la gravità della situazione, al presidente è stato notificato un pignoramento presso terzi da una società subappaltatrice, e un’altra ha inviato una raccomandata lamentando un credito insoddisfatto di oltre 266mila euro. Una situazione “ammessa” dall’impresa aggiudicataria che, in effetti, ha sostenuto come il mancato pagamento dei subappaltatori fosse dovuto ad una mancanza di liquidità arrivando a chiedere ai consorziati di pagare direttamente le imprese di subappalto. Una richiesta che non è stata accettata, evidentemente, anche perché è emerso che l’impresa ha ceduto il credito in favore di un istituto bancario “in aperta e totale violazione” delle norme di legge.

Succede anche questo, a L’Aquila.

Legittimamente, dunque, il Consorzio ha intrapreso la strada della risoluzione del contratto, richiedendo ad altre imprese, come detto, la manifestazione d’interesse al prosieguo dei lavori. Tuttavia, una prima stortura sta nelle informazioni che il presidente ha chiesto di fornire, ed in particolare “l’eventuale disponibilità all’accollo delle spese legali per eventuali contenziosi che dovessero sorgere in merito alla risoluzione del contratto con l’indicazione del limite massimo di accollo”. In sostanza, sarebbe la ditta subentrante a doversi accollare i costi del contenzioso: è corretto?

E poi verrebbe da chiedersi: cosa ha offerto l’impresa aggiudicataria in fase di procedura d’affidamento dell’incarico e che garanzie sono state chieste dal presidente di Consorzio? Che tipo di confronto comparativo è stato avviato con le offerte delle altre imprese? La società affidataria aveva davvero i requisiti migliori? E ancora: come è stata gestita la pratica di ricostruzione, fino ad oggi? A quanto si è potuto apprendere, i lavori eseguiti dalla impresa aggiudicataria ammonterebbero ad un milione e mezzo di euro, e resterebbero da realizzare opere per circa 3 milioni. Stando al web gis dell’Usra, però, risultano erogati 2.7 milioni di euro. Come è possibile?

Per non parlare della richiamata cessione del credito ad un istituto bancario, pure negata dalle norme, che ha permesso all’impresa di ottenere un’ulteriore anticipazione e che deve essere stata necessariamente autorizzata dal committente, come per i pagamenti degli stati d’avanzamento lavori. Insomma, se pure una impresa decidesse di accollarsi il prosieguo dei lavori, chi pagherebbe?

Direte, sarà stata istruita una fideiussione a tutela del consorzio: bisognerebbe domandarsi, però, che garanzie prevede, fino a che cifra copre e se l’istituto riuscirà davvero a rifarsi sull’imprenditore. E se fossero state presentate false fideiussioni?

Che poi, l’avvio della risoluzione del contratto è una strada piuttosto spinosa: o l’impresa aggiudicataria trova un accordo con il committente o con la ditta eventualmente interessata al subentro; si dovesse andare per vie legali, ci vorrebbero almeno due o tre anni per arrivare ad un pronunciamento. E intanto, chi pagherebbe i danni connessi all’impasse dei lavori? Pagherebbe il presidente, pagherebbero i proprietari o l’impresa che, pur di subentrare, dovrebbe accollarsi anche questi costi?

A dire che c’è un tema di gestione dei processi da parte dei presidenti e, così, di responsabilità da parte dell’impresa che, per esempio, potrebbe aver messo in piedi un meccanismo perverso per cui i fondi ottenuti, oltre le lavorazioni effettivamente realizzate, sono stati fatti sparire ‘altrove’, prima di svuotare la società e farla fallire. E’ già accaduto. E stiamo parlando di colossi che hanno più di un aggregato in pancia.

Il tutto, a scapito dei proprietari che attendono di tornare a casa e della collettività, essendo la ricostruzione, torniamo a ribadirlo, un pubblico interesse.

Oltre la questione privata, dunque, che verrà risolta dal Consorzio e dall’impresa aggiudicataria dei lavori, il caso è emblematico di processi che sono stati lasciati alla deresponsabilizzazione pubblica sebbene riguardino la ricostruzione di una città devastata dal terremoto sovvenzionata dai soldi dello Stato, e che ha ripercussioni sulla vita quotidiana di ciascun cittadino.

Ultima modifica il Martedì, 25 Giugno 2019 11:35

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