Brutte notizie per la Giunta comunale.
E' stata pubblicata l’Ordinanza n.147/2019 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo - L'Aquila ha accolto la richiesta proposta dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per L’Aquila e cratere, sospendendo in via cautelare gli effetti della Delibera del Consiglio Comunale n. 21 dell’11 aprile 2019 di approvazione definitiva della variante alle Norme Tecniche di Attuazione del PRG per le frazioni.
All'indomani del via libera al provvedimento, l'assessore alle Politiche urbanistiche Daniele Ferella aveva espresso "profonda soddisfazione; ora - aveva aggiunto - sarà più agevole un cambio di destinazione d'uso verso il commerciale e l'artigianale negli edifici dei centri storici della città e delle frazioni, ovviamente con i ben precisi limiti disposti dalla deliberazione stessa. Tra questi, l'applicabilità del provvedimento solo ai piani terra nel centro storico dell'Aquila e ai fabbricati cielo-terra nei centri storici delle frazioni. Noi siamo per andare incontro alle necessità del territorio, non certo per deregolamentare", aveva ribadito Ferella che, inoltre, aveva inteso chiarire come la delibera varata dall'Aula riportasse l'articolo 46 delle stesse norme tecniche di attuazione "alla conformazione antecedente al dicembre 2012, quando la passata amministrazione obbligò all'utilizzo delle procedure di restauro e risanamento conservativo per la ricostruzione dei centri storici. Questa situazione ha causato tanti problemi nella redazione dei progetti di ricostruzione, perché, nei limiti del contributo concesso, era molto difficile garantire dapprima il miglioramento e oggi l'adeguamento sismico degli edifici. Quanto stabilito dal Consiglio – aveva concluso l'assessore - consentirà ai proprietari una ricostruzione o ristrutturazione degli stabili più funzionale alle varie esigenze, soprattutto in materia di sicurezza. Anche in questo caso, comunque, permarranno le prescrizioni generali delle norme per i centri storici. Resterà inoltre garantita la maggiorazione del contributo, nel caso in cui il progetto preveda il recupero degli elementi di pregio".
Sulla questione, però, la Soprintendenza aveva immediatamente espresso delle perplessità: "Le ultime modifiche sulle norme tecniche delle frazioni ci preoccupano non poco. Questi piccoli centri del territorio non vanno tutelati solo in relazione ai singoli monumenti ma soprattutto per il tessuto che rappresentano. Su questo va tenuta alta l'attenzione perché norme che favoriscono sostituzioni edilizie a tappeto rischiano di portare in modo incontrollato uno stravolgimento del tessuto urbano delle frazioni", aveva spiegato la Soprintendente Alessandra Vittorini
La richiesta cautelare è stata presentata a margine del ricorso depositato nel giugno scorso, con il patrocinio dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di L'Aquila, per l'annullamento della stessa delibera.
Il Tribunale "atteso che la natura delle censure dedotte, che coinvolge delicati profili di interesse paesaggistico, storico, economico e sociale, richiede un adeguato approfondimento in sede di merito", ha sospeso l'efficacia esecutiva fissando per il 20 novembre 2019 la data dell'udienza pubblica per la decisione sul merito del ricorso.
Il ricorso muove dall'attento esame delle norme approvate nell'aprile scorso, che ha evidenziato come il nuovo testo divergesse in maniera sostanziale rispetto a quello adottato con la precedente Delibera n. 109 del 5 dicembre 2016, e sul quale la Soprintendenza - in ragione delle scelte all'epoca condivise con il Comune e finalizzate al contenimento delle demolizioni e sostituzioni edilizie, favorendo nel contempo gli opportuni interventi per la sicurezza e per l'inserimento di nuove funzioni - aveva potuto rendere il proprio positivo parere. Rilevate tali modifiche, e ritenuto necessario sottoporre alla valutazione del TAR la correttezza dell'iter seguito, che non sembra rispondente a quanto disposto dalla normativa di settore, la Soprintendenza ha proposto ricorso per l'annullamento previa sospensiva, anche al fine di perseguire la soluzione più idonea alla difesa dei valori culturali e paesaggistici sottoposti a tutela.
Una posizione molto critica sul provvedimento e sui suoi prevedibili effetti era stata pubblicamente espressa anche da diverse associazioni cittadine, in particolare da Inu (Istituto nazionale di urbanistica) Abruzzo-Molise, Italia Nostra sezione dell'Aquila, Archeclub d'Italia Onlus L'Aquila, Legambiente Abruzzo Beni Culturali e Pro Natura Abruzzo, che avevano presentato formale diffida al sindaco dell'Aquila, all'assessore all'Urbanistica, alla segreteria generale e al dirigente del settore Urbanistica e Pianificazione (e per conoscenza anche al presidente del Consiglio Comunale, al prefetto dell'Aquila e alla Soprintendente all'Archeologia, Belli Arti e Paesaggio per la città dell'Aquila ed i Comuni del Cratere) per chiedere la revoca in autotutela del provvedimento. "Sottolineiamo" avevano spiegato in una nota congiunta le associazioni "come le nuove misure siano state approvate senza l'ascolto dei cittadini, eludendo l'obbligo di legge di sottoporre a pubblica partecipazione una variante che si è completamente stravolta rispetto a quella iniziale in corsa (cfr art.10 Legge urbanistica 1150/1942); ci preoccupano le pericolose conseguenze come i danni al patrimonio materiale e immateriale, ma soprattutto la totale deregulation che viene aperta a demolizioni volontarie incontrollate con aumento di cubatura, comportando lo stravolgimento dell'immagine dei centri storici minori; infine, ci allarma il fatto che l'illegittimità del provvedimento finirebbe per produrre esiti gravi, dalla dubbia validità giuridica, ma sostenuti da fondi pubblici. Di questi danni i diffidati verranno considerati personalmente responsabili in sede giudiziaria".
La diffida si era resa necessaria poiché non c'era stato riscontro alcuno da parte dell'Amministrazione, nè sulle precedenti osservazioni delle associazioni nè sui dubbi sollevati e debitamente trasmessi in sede di Consiglio. "Al fine di tutelare non solo la città, ma anche il paesaggio e le frazioni, con le loro comunità ed i loro centri storici - avevano sottolineato le associazioni - continueranno a lavorare nell'interesse generale, nella consapevolezza che la tutela del patrimonio storico culturale, costituito dai tessuti storici, è elemento essenziale per la rinascita della città, attraverso interventi di ricostruzione consapevoli della importanza di detto patrimonio".
L'approfondimento
La delibera 109 adottata dal Consiglio Comunale il 5 dicembre 2016 si proponeva di salvaguardare, negli interventi di ricostruzione, i pochi edifici di interesse storico che erano sopravvissuti nelle frazioni; pochi, a dire il vero, ma meritevoli di un intervento più attento per il rispetto del tessuto urbanistico. Con lo stesso spirito, era stato eliminato il premio di cubatura previsto dal PRG nei centri storici delle frazioni e, inoltre, erano rese regolamento le Prescrizioni per gli interventi nei centri storici allegate al Piano di Ricostruzione. In cambio, si prevedevano (d'accordo con l'USRA) incrementi del contributo di ricostruzione per eseguire interventi più accurati, laddove richiesti, si consentiva di abbassare le quote di pavimento ai piani terra fino a 50 cm, si ammetteva in ogni caso il ricorso a tecnologie costruttive più moderne in caso di gravi condizioni di danno o di edifici già rimaneggiati nel tempo, liberava gli usi.
La proposta originaria, però, aveva già subìto una prima, importante modifica in sede di approvazione delle controdeduzioni: con un emendamento proposto dall'allora consigliere Daniele Ferella (Lega), oggi assessore all'urbanistica, e dal consigliere d'opposizione Paolo Romano (Il Passo Possibile) alla deliberazione consiliare numero 2 del 15 febbraio 2018 venne ridotto il numero di edifici da attenzionare.
In sostanza, il provvedimento originario prevedeva che gli edifici che, per epoca di costruzione, dimensioni, sagoma, caratteristiche strutturali e costruttive fossero rappresentativi del contesto urbano di riferimento e delle tradizioni costruttive locali e presentassero i caratteri di rilevanza storica, morfologica, tipologica e percettiva del paesaggio urbano, preliminarmente individuati in quelli realizzati prima del 1930, dovessero essere soggetto di interventi di restauro conservativo e non di ristrutturazione edilizia. Evidentemente, il termine del 1930 faceva riferimento allo studio del Vittorini. Con la modifica apportata a valle dell'emendamento presentato da Ferella e Romano, quel termine venne fatto retrocedere al 1860 e, per questo, si ridusse il numero degli edifici da tutelare.
Poi, però, è intervenuta una ulteriore modifica, che l'allora assessore all'Urbanistica Luigi D'Eramo ha portato all'attenzione alla Commissione 'Territorio' e che è stata poi approvata in Consiglio comunale nell'aprile scorso.
Col provvedimento, venne fatto sparire l'obbligo di restaurare edifici riconosciuti di pregio con l'introduzione del premio di cubatura. A farla breve, la Giunta aveva deciso di cancellare il termine temporale del 1860 e, dunque, di concedere la possibilità di procedere con la ristrutturazione edilizia anche per gli edifici con vincolo indiretto. Non solo. La norma originaria prevedeva un premio di cubatura da utilizzarsi una tantum in ragione dei seguenti parametri: 35% del volume esistente per edifici con volumetria inferiore a 600 mc; 0% per edifici con volumetria da 2.500 mc in su; per i valori intermedi, invece, era previsto si potesse operare per interpolazione lineare; tali volumetrie incrementali, se realizzate fuori dalla sagoma attuale dovevano comunque essere soggette al rispetto delle distanze minime previste dalle singole prescrizioni di zona. Con la delibera approvata dal Consiglio, invece, per i valori intermedi si era concesso di operare per interpolazione lineare, senza alcun riferimento ulteriore alle volumetrie incrementali. Tra l'altro, i proprietari di edifici successivi al 1860 potevano sì procedere con la ristrutturazione edilizia fatta salva, però, la sagoma dell'edificio stesso: col provvedimento portato in Consiglio, invece, si autorizzava a procedere fatta salva la volumetria, non più la sagoma.
Così, il rischio era di snaturare la configurazione stessa dei centri storici delle frazioni.
E' per questi motivi che la Soprintendenza ha presentato ricorso al Tar.
Tra l'altro, il capogruppo del Pd Stefano Palumbo, a qualche ora dalla discussione in aula della delibera, aveva inviato una nota alla segretaria generale Alessandra Macrì denunciando come il testo originale adottato dal Consiglio nel dicembre 2016 avesse ottenuto il parere positivo della Asl, della Soprintendenza e della Provincia che, al fine di pervenire in tempi rapidi alla conclusione del procedimento, aveva addirittura espresso un parere preventivo di non contrasto con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Già in fase di recepimento e controdeduzioni delle osservazioni in Consiglio comunale, nonostante il parere di regolarità tecnica espresso dal dirigente competente, Palumbo sottolineò la forzatura alla procedura con l’approvazione di un emendamento modificativo al testo adottato - quello che retrocedeva i termini 'storici' dal 1930 al 1860 - circostanza successivamente confermata anche dalla Provincia nel verbale del 20 settembre 2018 in cui testualmente si precisava: “… va evidenziata la circostanza che, dopo la sua adozione, allo strumento urbanistico possono essere apportate soltanto le modifiche connesse all’accoglimento delle osservazioni presentate nei termini di pubblicazione e tutte le modifiche ed integrazioni conseguenti al recepimento dei pareri prescritti dalle norme in vigore. Per questo motivo, le modifiche conseguenti all’approvazione dell’emendamento consiliare non possono ritenersi applicabili”.
Come nulla fosse, però, la giunta decise di portare all’approvazione finale dell'assise una versione che stravolgeva - come vi abbiamo spiegato - l’impianto iniziale della delibera, con l’art. 46 delle NTA che passava dalla disciplina del “Restauro e risanamento conservativo delle frazioni” a quella della “Ristrutturazione delle frazioni”.
"Si tratta, evidentemente, di un deprecabile tentativo di piegare le norme concepite a tutela dell’interesse generale, alla volontà politica dell’attuale amministrazione - aveva provato a spiegare Stefano Palumbo - contravvenendo a quanto previsto nelle fasi di costruzione di un iter formativo qual è quello in questione, eludendo di fatto la fase di pubblicità e di recepimento dei pareri. Inoltre, non risulta che l’atto così stravolto - aggiunse - sia stato riproposto al parere della Soprintendenza, visto che 'tutti gli interventi previsti nelle aree interessate dalle presenti varianti al piano vigente dovranno essere preventivamente autorizzati dalla stessa ai fini del rilascio dell’autorizzazione di competenza ai sensi dell’art.21 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio', indicazione riportata come prescrizione al parere emesso dalla stessa Sovrintendenza il 4 maggio scorso".