Venerdì, 22 Novembre 2019 20:28

"Non una di Meno": le donne in piazza contro la violenza maschile

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La "marea femminista" della rete italiana Non una di meno è scesa di nuovo in piazza.

A due giorni dalla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza maschile sulle donne, che si celebra il prossimo lunedì, oggi pomeriggio a Roma si è svolta una manifestazione nazionale con lo slogan "Contro la vostra violenza saremo rivolta".

Il progetto politico Non una di meno è nato circa tre anni fa sulla scia degli scioperi femministi in Spagna, Polonia e Argentina. In Italia, ha riunito numerose realtà territoriali che da anni mettono in pratica politiche partecipative autonome per affermare l'autodeterminazione delle donne contro la violenza maschile.

Oggi il movimento femminista è tornato in piazza per il diritto al lavoro, per un reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale; per rivendicare un sostegno concreto ai Centri antiviolenza e per denunciare la discriminazione salariale e la violenza di genere come fenomeno strutturale, che affonda le radici in rapporti di potere squilibrati e in pericolosi modelli di genere polarizzati e stereotipati.

"Ogni 72 ore in Italia una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo partner - si leggeva nel testo di convocazione della rete Non una di meno - Sono i giornali a valutare quale dei tanti femminicidi debba essere raccontato e come. Quello del “gigante buono” – come nel caso di Elisa Pomarelli – o quello di chi “se l’è cercata”. Quello della vittima dell’invasore nero o del raptus di gelosia, nel caso si tratti di un marito italiano. Noi invece sappiamo che la violenza può colpire chiunque di noi e che non ha passaporto, colore né classe sociale, ma spesso ha le chiavi di casa. È la storia di tante donne e di persone non conformi al modello patriarcale che ogni giorno si ribellano a molestie, stalking, violenza domestica, psicologica, sessuale ma trovano ulteriore violenza nei tribunali".

La violenza di genere, però, non si consuma solo tra le mura domestiche e non riguarda esclusivamente la sessualità. E', come detto, un problema culturale e strutturale che non può fermarsi al livello dell'emergenza. Per questo al centro della protesta ci sono anche le misure di contrasto alla violenza che tendono a ridurre la questione a un problema di sicurezza. A partire dal provvedimento sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, il cosiddetto "Codice Rosso" che, sottolinea il movimento, "ha già fallito confermandosi una mera operazione propagandistica: è necessario riconoscere le donne come soggetto attivo e intervenire efficacemente prima e non dopo che la violenza o il femminicidio si compiono".

Obiettivo della piazza era di riportare le questioni di genere, indissolubilmente legate a quelle etniche, razziali e di classe,  al centro di un processo di cambiamento radicale dell'esistente. Una rivendicazione che accomuna tutte le sollevazioni globali femministe. "In Sud America, in Medio Oriente, In Asia, in Africa, in Europa le donne e le persone lgbtqipa+ stanno affermando chiaramente che nessun processo di democratizzazione e liberazione è possibile senza trasformazione radicale dell’esistente -leggiamo ancora nelll'appello - In Cile, in Messico, in Ecuador, in Argentina, in Brasile, le donne lottano contro la violenza patriarcale e economica che attacca i corpi e l’ambiente. Le donne curde stanno difendendo e portando avanti un processo rivoluzionario femminista, ecologista e democratico e combattono per la liberazione da ogni fondamentalismo e contro l’autoritarismo turco.  Il 23 novembre ci uniremo a queste sollevazioni globali, dalle quali traiamo forza e convinzione!".

Dall'Aquila, il Centro Antiviolenza Donatella Tellini, legato alla rete D.i.Re., e il collettivo Fuori Genere, della rete Non una di Meno L'Aquila, hanno aderito all'iniziativa di protesta.

Simona Giannangeli, presidente Centro antiviolenza dell'Aquila che in dieci anni di attività ha assistito circa 600 donne, sottolinea come quella dei Centri Antiviolenza sia una delle tante questioni che non hanno mai ricevuto una risposta efficace da nessun governo. Sono moltissime le difficoltà con cui tali strutture sono costrette a fare i conti.

Pochi fondi, interventi frammentati, indifferenza istituzionale al fenomeno e un'emergenza, quella suggerita dal numero delle donne vittime di violenza, di fronte alla quale il Piano strategico per la lotta alla violenza maschile sulle donne, introdotto dalla legge 119/2013 (comunemente nota come legge sul femminicidio che ha previsto anche modifiche al codice di procedura penale per garantire prevenzione e repressione della violenza sulle donne) si è rivelato del tutto inefficace.

"Il sistema attraverso cui la Regione elargisce i fondi - afferma a newstown Simona Giannangeli - garantisce semplicemente la sopravvivenza del Centro antiviolenza dell'Aquila come di tutti gli altri. Non che con il piano previsto dalla l 119/2013 i Cav abbiano potuto respirare di più o abbiano avuto più agio nel portare avanti le loro strutture. Anzi, è vero il contrario. Sopravviviamo e ciò ci permette di non chiudere, ma i ritardi nell'assegnazione dei fondi sono enormi".

Action Aid ha condotto un monitoraggio sui fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le Regioni per le annualità 2015-2016 e per il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere adottato per il triennio 2015-2017. Il monitoraggio non ha preso in considerazione il piano per il triennio 2017- 2020, approvato il 23 novembre 2017 in Conferenza unificata Stato-Regioni ma non ancora attivo, con i fondi (35,4 milioni di euro) stanziati in legge di stabilità ma, al momento, non erogati. Parliamo di soldi essenziali a garantire continuità alle inziative promosse dai centri antiviolenza, che dopo aver stabilito il primo contatto con le donne che vi si rivolgono offrono anche assistenza legale e psicologica.

Il rapporto fotografa una realtà caratterizzata da significativi ritardi riscontrati in tutte le fasi di programmazione, stanziamento ed erogazione delle risorse che mettono a rischio la possibilità concreta per le donne di accedere ai servizi fondamentali per fuoriuscire da situazioni di violenza.

Nello specifico, il Piano 2015-2017 è stato ufficialmente adottato il 7 luglio 2015 e operativamente avviato l’8 marzo 2016.Molto criticato dai centri antiviolenza, dalle associazioni di donne impegnate nel contrasto alla violenza maschile e dalla società civile in generale, il Piano ha previsto l’attuazione di una serie di linee d’azione con l'obiettivo di potenziare le misure di assistenza dedicate alle donne vittime di violenza e di introdurre sistemi di monitoraggio del fenomeno. Per finanziare questi interventi sono stati stanziati complessivamente 85.774.736 euro. Di tale importo, in base alla documentazione consultata da Action Aid disponibile al 31 ottobre 2018, risultano essere stati trasferiti alle regioni 30.842.006 euro, corrispondenti al 35,9% del totale. Le regioni, a loro volta, hanno liquidato solo il 25,9 % delle risorse trasferite dal Dipartimento delle Pari Opportunità.

La onlus ha elaborato degli indici per valutare il livello di trasparenza delle delibere e dei decreti di programmazione e liquidazione, cioè la possibilità di reperire gli atti online e il loro formato; e la “trasparenza nei contenuti” degli stessi atti, cioè il grado di dettaglio delle informazioni contenute nelle delibere che permette di tracciare come, quando e a chi sono state assegnate e liquidate le risorse.

Nel complesso, le Marche risultano la regione con il più alto livello di trasparenza, seguita da Piemonte, Puglia e Veneto. Nessuna regione è riuscita tuttavia ad ottenere il punteggio massimo. Prendendo in considerazione i singoli indicatori, invece, relativamente ai decreti di liquidazione, l'Abruzzo, insieme a Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Puglia e Veneto risulta tra le regioni più trasparenti.

Per quanto riguarda l'Abruzzo, risulta diffcile però ricostruire con chiarezza la filiera dell'utilizzo dei fondi. "Non avendo registrato il punteggio massimo di 29 punti - si legge nel rapporto - è possibile affermare che nessuna Regione italiana ha un livello di trasparenza ottimale da consentire alle cittadine e ai cittadini di fruire in modo completo e chiaro delle informazioni riguardanti l’utilizzo dei fondi statali per il potenziamento dei servizi antiviolenza da parte delle istituzioni".

"Il rapporto conferma che non c'è da stare sereni - commenta Giannangeli - I ritardi nell'assegnazione dei fondi sono enormi, e questo vale per tutti i Cav, compreso quello dell'Aquila. Il sistema complessivo non funziona perchè non si va mai a regime: i fondi non arrivano mai quando devono ma solo quando si sblocca tutto il sistema di trasmissione dal livello nazionale al livello regionale e, in ultimo, locale. Noi, come tutti gli altri Cav, ogni anno partecipiamo al bando, facciamo i bilanci preventivi e consuntivi, forniamo alla regione tutto quello che ci chiedono per poter accedere all'erogazione dei fondi nazionali".

"Questo tempo - aggiunge Giannangeli - si dilata di attesa e di corresponsione: ci sono le corresponsioni in tranche, le corresponsioni a progetto che non sono mai per l'intero richiesto, dal momento che la corresponsione è legata a una serie di parametri che vanno dall'estensione del territorio che il Cav copre, all'utenza. Il meccanismo - sottolinea la presidente - deve essere perfezionato perchè così non c'è una garanzia di continuità. è un sistema che costringe i centri antiviolenza ad affrontare l'emergenza senza alcuna certezza delle risorse".

L'Aquila, inoltre, attende ancora l'assegnazione di una Casa Rifugio in emergenza, una struttura dedicata, a indirizzo segreto, che garantisca da un lato ospitalità temporanea alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini, e, dall'altro, offra consulenza legale, psicologica e di orientamento al lavoro con l'obiettivo ultimo di ricostruire un percorso stabile e duraturo di uscita dal contesto di violenza.

Nel febbraio del 2019, su sollecitazione del Cav dell'Aquila, il Comune mosse i primi passi concreti per la realizzazione della struttura. Non solo fu individuato l'immobile da concedere in comodato d'uso gratuito all'associazione Donatella Tellini (due unità abitative contigue di un Progetto Case, per un totale di circa dieci posti) ma furono portati a termine anche i primi adempimenti burocratici necessari perché il progetto si concretizzasse.

Da allora, non ci sono stati sviluppi. L'impasse in cui è precipitato il progetto di realizzazione della casa rifugio è stata denunciata dalla stessa presidente Giannangeli nel corso di una conferenza stampa, lo scorso ottobre.

"Dopo la conferenza stampa - ha affermato Giannangeli - siamo state contattate dal Comune che ci ha chiesto di produrre tutta una serie di documenti per poter concludere la procedura di assegnazione. Abbiamo ottemperato a questa richiesta di produzione documentale e siamo in attesa ma sicuramente più concreta e fiduciosa".

 

Ultima modifica il Domenica, 24 Novembre 2019 11:18

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