In questi giorni la presenza dei media nazionali è stata più massiccia rispetto agli "altri 6 aprile", probabilmente a causa del carico simbolico che si porta dietro la mezza decade. Dalla televisione alla radio, passando per il web, i giornalisti in cerca di storie – talvolta già raccontate – sono stati i mattatori di queste giornate particolari. E non poteva essere altrimenti: è fisiologica, infatti, la presenza rituale degli operatori dell'informazione nelle date importanti, soprattutto sui luoghi colpiti dalle catastrofi.
Il "circo mediatico" sembra aver sovrastato anche la stessa partecipazione degli aquilani. Se escludiamo la fiaccolata del 5 aprile, infatti, la presenza di cittadini è stata piuttosto scarsa. In centro storico, oltre ai giornalisti, hanno passeggiato in questi giorni turisti, curiosi ed ex volontari, che tornavano in città dopo aver assistito la popolazione nel periodo dell'emergenza. Gli aquilani, che sono ormai abituati a vedere apparire e sparire le telecamere, non fanno neanche più caso alle maestose antenne sui furgoni, ai maxischermi nelle (poche) piazze frequentate, ai microfoni delle maggiori testate del Paese e, talvolta, d'Europa. Se in una qualsiasi città di provincia del Centro Italia "la tv nazionale in piazza" rappresenta un evento tale da richiamare numeroso pubblico spontaneo, nel capoluogo abruzzese c'è addirittura, in alcuni casi, una certa insofferenza nei confronti dei media. Merito (o colpa) della sovraesposizione che ha subito la città dopo il terremoto, e che continua a vivere in ogni anniversario.
Eccetto alcuni ammirevoli esempi, la retorica e l'approccio emotivo sono i cardini della narrazione. Il concentrare l'attenzione sempre su "quella notte" può anche rappresentare un elemento di criticità della presenza dei media mainstream all'Aquila. Il giornalismo – soprattutto se di carattere nazionale – dovrebbe porsi la domanda di come raccontare realmente la città attuale, un luogo strano, mutato notevolmente negli ultimi cinque anni. E che continua a cambiare.
Se può essere considerato un fatto positivo l'attenzione dei media nazionali su L'Aquila, c'è da rilevare anche un'altra caratteristica: dopo cinque anni, in città non arrivano più i "baroni" del giornalismo italiano, ma per lo più giovani precari, a volte, sprovveduti. E' un dato di fatto significativo: la "notiziabilità" dell'anniversario del terremoto è passata in second'ordine.
E il giorno dopo? Il 7 aprile si ha la sensazione di vivere come il 7 di gennaio, il giorno dopo la fine delle festività natalizie. Non per l'umore e neanche per il clima di gioia, che normalmente proviamo nei giorni di vacanza (ci mancherebbe), ma per il ritorno alla quotidianità, dopo ore e giorni di eccezionalità. Chi vive nelle frazioni, il 5 e il 6 aprile si riaffaccia in centro. Anche chi solitamente va a dormire presto, la sera del 5 aprile partecipa alla fiaccolata, per commemorare i propri parenti, amici, o concittadini scomparsi. Poi, il 7 aprile rinizia la vita di prima. I riflettori delle telecamere si spengono, il centro storico si svuota nuovamente. E' stato evidente, in questo quinto anniversario, anche a causa della coincidenza delle commemorazioni con il fine settimana.
Il 7 aprile il centro storico dell'Aquila torna alla normalità. I (tanti) cantieri presenti in poche (purtroppo) zone del centro generano la presenza di operai provenienti da ogni parte d'Italia. Nell'ultimo anno, sono stati loro i veri frequentatori di quello che era il cuore della città. Per il resto, a causa della mancanza di negozi e uffici pubblici e privati, non si hanno molte motivazioni pratiche per recarsi in centro. Sarebbe bello che, ogni tanto, un lunedì mattina qualsiasi si vedesse spuntare una maestosa antenna su un furgone.
Sarebbe stato bello anche che qualche televisione fosse andata lì dove vive la vita e la quotidianità smarrita comunità aquilana: nei nuovi quartieri, in quella disordinata ragnatela urbana che è L'Aquila oggi.