Mercoledì, 16 Aprile 2014 19:13

Cattedrale di San Massimo, bufera sulla ricostruzione. Scontro tra Diocesi e Comune

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Oramai quasi un anno fa, a quattro anni dal terremoto, il consorzio privato Sant’Emidio, con a capo il presidente Augusto Ippoliti, punto di riferimento della commissione consultiva che affianca l’ufficio ricostruzione della Curia, allora guidato da don Alessandro Benzi, istruiva un avviso pubblico per la preselezione dell’azienda a cui affidare i lavori di ricostruzione del centralissimo aggregato di piazza Duomo, che comprende il palazzo sede dell'Arcivescovado e la cattedrale di San Massimo. Valore: 45milioni di euro.

Il bando della discordia.

Il bando venne pubblicato solo sul quotidiano economico 'Il sole 24 ore'. E scatenò vibranti polemiche: escludeva, infatti, le imprese del territorio perché presentava criteri assai stringenti e, si vociferò, assolutamente anomali. Per dire, veniva richiesta una fidejussione bancaria di 4 milioni di euro. Impossibile da ottenere per la stragrande maggioranza delle imprese italiane.

Gianni Frattale, presidente Ance L’Aquila, prese carta e penna e, a fine maggio, inviò una lettera all’arcivescovo Giuseppe Molinari per chiedere la modifica dei termini di preselezione: "Illustrissimo monsignore - si leggeva nella missiva - è certamente nota la situazione di sofferenza di molte imprese edili locali che, oltre ad aver subìto i danni del sisma, non riescono ad accedere al mercato della ricostruzione, conteso da grandi marchi dell’edilizia, quasi sempre di fuori regione, che sempre più spesso finiscono sulle cronache per insolvenze e fallimenti ai danni dei terremotati. Ricordiamo che gli imprenditori locali creano lavoro e indotto sul territorio e sono da sempre uno dei principali motori dello sviluppo. Con tali motivazioni, l’Ance dell’Aquila chiede formalmente una modifica dell’avviso di prequalificazione del Consorzio Sant’Emidio. Il bando in questione, per le caratteristiche fortemente restrittive a cui fa richiamo, esclude di fatto le imprese dell’intera regione".

Poi la richiesta, esplicita, di maggiore trasparenza: "Chiediamo di conoscere quali siano i programmi edilizi della Curia per i prossimi mesi e quali le assegnazioni di lavori in corso. Se non verrà fatta chiarezza siamo pronti a investire della questione gli alti vertici ecclesiastici".

La Curia prese tempo, rispondendo con un comunicato ufficiale solo quando i termini della preselezione erano oramai scaduti: "Il testo del bando - recitava il comunicato stampa - è stato redatto considerando la particolare tipologia di lavori da eseguirsi, nonché le qualità tecniche e finanziarie che l’aggiudicatario deve possedere a garanzia dell’esatta esecuzione delle opere".

Il documento sottolineava poi che la gara era stata bandita "per permettere, nella massima trasparenza, a imprese sia italiane che europee di parteciparvi: la selezione diretta senza prequalifica, pur consentita dalla legge e modus operandi normale dei vari consorzi obbligatori, non è stata reputata garanzia sufficiente in ragione degli importi in gioco, nonché della provenienza dei fondi pubblici. La peculiare importanza, non solo da un punto di vista artistico, ma religioso e sociale, che la ricostruzione degli immobili ricadenti nell’aggregato edilizio di piazza Duomo rappresenta, richiede, infatti, una più che mai attenta scelta dell’operatore economico aggiudicatario: le procedure d’individuazione devono, quindi, essere trasparenti e rigorose".

Petrocchi congela l'appalto: la Curia tratta con il Governo per un 'decreto' che la promuova soggetto attuatore.

Questione chiusa, dunque. O almeno, così pareva. Invece, a seguito delle polemiche tra Curia e costruttori e degli inattesi sviluppi dell'inchiesta giudiziaria sul recupero dei beni culturali e religiosi, con 11 indagati per corruzione e turbativa d'asta, il nuovo arcivescovo Giuseppe Petrocchi, nel luglio 2013, ha congelato l'appalto.

Era in corso - in realtà - una trattativa ben più sottile, tra Curia e presidenza del Consiglio dei ministri. Una trattativa svelata dal sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, che in gennaio - nei giorni delle dimissioni, poi ritirate, per gli effetti dell'inchiesta 'Do ut Des' - ha reso pubblica una lettera inviata di suo pugno, in data 11 dicembre 2013, al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Per chieder conto della decisione di rimuovere il Provveditore alle Opere pubbliche, Donato Carlea, e il Direttore regionale per i Beni culturali, Fabrizio Magani. "Parlo di rimozione perché, come Ella saprà, il dott. Magani viene retrocesso a vice direttore vicario per Pompei (anche con netta riduzione di stipendio)", scrisse Cialente a Napolitano. "Il ministro Bray si è giustificato affermando che ha bisogno di una persona di valore [...]. Non riesco a capire il motivo per il quale, a parità di capacità, debba andar via colui che sta coordinando alcuni dei più complessi interventi nella storia del Paese".

Poi la denuncia, decisa: "Qui a L'Aquila siamo convinti che il dott. Magani venga rimosso in quanto ostacolo di un disegno che si è tentato e si sta tentando di inserire come norma di legge che vedrebbe la Curia, la più grande immobiliarista della città, diventare soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici. [...] Noi abbiamo fondati sospetti che la rimozione del dott. Magani sia un tassello di un disegno, non considerato pienamente nelle conseguenze, che potrebbe comportare, addirittura, che i fondi per la ricostruzione delle case andranno a ricostruire le Chiese".

Un vero e proprio atto d'accusa. Senza mezzi termini. Firmato dal sindaco dell'Aquila, destinatario il Presidente della Repubblica.

A cosa faceva riferimento, il primo cittadino? Negli ultimi mesi dell'anno passato, la Chiesa aquilana ha tentato di ottenere dalla presidenza del Consiglio dei ministri un 'decreto' che promuovesse la Curia a soggetto attuatore della ricostruzione. Contava, così, di assumere la responsabilità di appaltare finanziamenti pubblici per il recupero dell'immenso patrimonio ecclesiastico. La Chiesa avrebbe controllato la ricostruzione privata, caratterizzata da strutture non vincolate dalla Sovrintendenza, e anche la ricostruzione pubblica. Con un giro di affari milionario.

La risposta della Curia.

La risposta della Curia alle accuse di Cialente non si fece attendere molto. "Spiace dover riconoscere che nella lettera del Sindaco dimissionario dell’Aquila al Presidente Napolitano, in relazione alla cosiddetta richiesta della Curia Aquilana, non ci siano corrette informazioni", sottolineò con una nota l'Arcidiocesi cittadina. "Si tratta di una richiesta fatta da tutti i Vescovi della Conferenza di Abruzzo e Molise (CEAM), che quindi non interessa solo l’Aquila, perché anche in Abruzzo si possa seguire la stessa procedura adottata - per le chiese e gli edifici ecclesiastici - nei terremoti avvenuti in Umbria, nelle Marche e recentemente in Emilia e Lombardia".

Il riserbo mantenuto sinora sull’iter della richiesta - spiegò l'Arcidiocesi - "è dovuto al rispetto delle procedure e per evitare la diffusione di informazioni incomplete sino a quando non si giunga a un accordo conclusivo. Per il momento, a nome dell’Arcivescovo Petrocchi, si può assicurare che la Curia aquilana intrattiene rapporti di stretta collaborazione con il dottor Magani: di conseguenza viene pienamente condiviso il desiderio dell’on. Cialente, che il dr. Magani continui la sua opera in Abruzzo. Inoltre, lo stesso Mons. Petrocchi si è premurato, negli incontri avuti nelle competenti sedi istituzionali, di far inserire nella proposta di norma cui si fa riferimento, la possibilità di fare convenzioni con altri Enti (Comune, Provveditorato Opere Pubbliche e Direzione Regionale dei Beni Artistici e Ambientali) per affidare ad essi la gestione dei finanziamenti e degli appalti riguadanti le Chiese. Infine, va detto con tutta franchezza, che l’unico intento della Curia aquilana è poter disporre di regole meglio articolate e certe, in grado di determinare con chiarezza modalità, entità e tempi dei finanziamenti per la ricostruzione del patrimonio ecclesiastico, con la motivata volontà di contribuire così alla rinascita spirituale, culturale e sociale della nostra Città".

Quattro mesi dopo. Petrocchi: "Vogliamo intervenire nelle decisioni". Magani: "Trovare una soluzione in fretta". 

Sono passati quattro mesi. E' notizia dei giorni scorsi: il ministro Franceschini ha confermato che Magani resterà a L'Aquila. Il mega appalto, invece, resta congelato. A cinque anni dal terremoto, il Duomo della città versa in stato di abbandono. Anche perché la Curia pretende, ancora, di essere soggetto attuatore della ricostruzione degli edifici ecclesiastici. Al contrario di quanto previsto dall'art. 4 del DL.39, poi convertito in L.77/2009, che disciplina la ricostruzione degli edifici e dei servizi pubblici, chiarendo che sono di competenza dello Stato gli immobili di proprietà di enti ecclesiastici formalmente dichiarati di interesse storico-artistico e paesaggistico, poichè vincolati ai sensi del codice dei Beni Culturali. Come il Duomo.

Un nodo difficile da sciogliere. "Vogliamo che la Diocesi possa intervenire nelle decisioni che riguardano il proprio patrimonio. Un diritto - ha ribadito ieri Monsignor Petrocchi, a margine della conferenza stampa per la presentazione dei lavori di restauro del Santuario di Roio - riconosciuto alle Curie di Marche, Umbria e Emilia".

Petrocchi ha inteso chiarire che la Curia non è interessata a gestire fondi e appalti, piuttosto vorrebbe intervenire nelle scelte che insistono su proprie strutture. "Abbiamo già avanzato la richiesta di divenire soggetti attuatori alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Siamo in attesa di una risposta".

Un bel guaio. Sulla vicenda, è intervenuto lo stesso Magani che ha inteso chiarire come sia compito del Mibact "invitare la proprietà ad intervenire laddove c'è bisogno. Se la proprietà non è in grado di intervenire, ci possiamo sostituire".

"Su tutto il patrimonio culturale che non sia nella disponibilità della nostra amministrazione, dunque di cui non siamo proprietari - ha spiegato - chiediamo sempre all'ente proprietario, così come impongono le norme - di dichiarare se è in grado di provvedere al restauro perché in capo alla proprietà c'è, appunto, l'obbligo di provvedere alla conservazione del bene culturale. L'abbiamo fatto anche per il Duomo e per altre importanti chiese della città".

Magani ha ricordato come sia stato predisposto un programma di interventi della durata di nove anni sulla totalità dei beni artistici vincolati danneggiati dal sisma e presenti sul territorio abruzzese. In cui è contemplato anche il Duomo, naturalmente.

E ancora: "Il dato è che dopo cinque anni non si è ancora inteso intervenire per il restauro di un monumento di straordinaria importanza culturale. E' indispensabile pervenire ad una soluzione, altrimenti proveremo ad intervenire".

Magani ha infine svelato di aver scritto "lettere molto precise sulla necessità di intervenire perché il tempo corre assai velocemente. E' nostra responsabilità sorvegliare sulla condizione del patrimonio culturale, nel segno della tutela. Ho sollecitato, dunque, una decisione concreta e definitiva sul alcuni monumenti fondamentali tra cui il Duomo e Santa Maria Paganica".

Un invito, esplicito, alla Diocesi: "C'è un accordo Mibact - Cei che prevede una dialettica continua e che sto perseguendo da tempo. Non si può immaginare però che un tema come questo venga affrontato con un lessico normale, con rapporti che sussistono in una condizione non grave come quella dell'Aquila. Dunque, credo che l'Ufficio speciale di Paolo Aielli, il Comune dell'Aquila, la Diocesi e - se ce lo permetteranno - anche noi, in nome della tutela di questo importante patrimonio, debbano pervenire alla definizione di una strada praticabile. Siamo a disposizione, concretamente.

Di Stefano: "Pensavo che Petrocchi si fosse reso edotto sulla normativa vigente".

Una strada tutt'altro che tracciata, però. Sulla questione, infatti, è intervenuto - assai duramente - anche l'assessore alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano: "Monsignor Petrocchi torna ancora una volta a porre domande sul ruolo che dovrebbe svolgere la Curia nel recupero delle chiese che fanno parte di aggregati misti (dove cioè insistono anche civili abitazioni) ed, in particolare, sulla vicenda che ruota intorno alla ricostruzione del Duomo di San Massimo in L'Aquila. Pensavo - sottolinea Di Stefano - che il nostro vescovo si fosse reso edotto sulla normativa vigente nel corso della riunione convocata in data 3.9.2013 proprio su sua iniziativa o, in estrema ratio, dalla illuminante lettura dei contenuti della missiva, poi resa pubblica, a firma del Sindaco dell'Aquila al Presidente Giorgio Napolitano, ma mi sbagliavo. Per parte mia non posso esimermi dal provare di nuovo a far chiarezza, altrettanto pubblicamente, sulla questione".

Ci prova, l'assessore alla ricostruzione: "L'art. 4 del DL.39, poi convertito in L.77/2009, che disciplina la ricostruzione degli edifici e dei servizi pubblici, chiarisce che sono di competenza dello Stato gli immobili di proprietà di enti ecclesiastici formalmente dichiarati di interesse storico-artistico e paesaggistico, poichè vincolati ai sensi del codice dei Beni Culturali. E' proprio per questo motivo che il Direttore regionale Beni Culturali, Fabrizio Magani, su sollecitazione di una lettera inviata, ad inizio 2012, alla Direzione regionale MIBAC da Mons. Giuseppe Molinari, si fece interprete e motore della vicenda predisponendo un programma di interventi della durata di nove anni sulla totalità dei beni artistici vincolati danneggiati dal sisma e presenti sul territorio abruzzese".

Fu così che a fine 2012, continua Di Stefano, "a seguito dell'interessamento dell'allora ministro Barca, con delibera CIPE 135/2012, veniva finanziata con 70milioni la prima annualità 2013 ed in questa prima tranche era presente anche il Duomo di San Massimo in L'Aquila. Nella stessa delibera venivano altresì ben specificati e distinti i tre canali finanziari: la ricostruzione privata (le case), la ricostruzione pubblica (gli edifici di interesse pubblico) e la ricostruzione dei beni culturali (le chiese e i monumenti). Quando ci si trova di fronte al recupero di un aggregato misto, la disposizione del decreto Monti chiarisce che è possibile effettuare le fasi progettuale ed esecutiva dei lavori sulle parti comuni ricorrendo al coordinamento tecnico tra la parte privata e la parte definita pubblica che, in questo caso, è rappresentata dalla Direzione regionale Beni culturali. Nel caso del Duomo di San Massimo i canali finanziari sono correttamente individuati, distinti e da tempo disponibili".

Poi l'affondo: "Dal nostro vescovo, che incessantemente torna sempre sulla stessa questione, vorrei capire per quale arcano si dovrebbero sottrarre fondi destinati alla ricostruzione delle case degli aquilani per destinarli alla ricostruzione delle Chiese quando queste godono già di un loro autonomo finanziamento. In quanto alla questione di diventare soggetto attuatore, chiarisco che tale attribuzione esula dalle competenze del Comune, ma sottolineo il fatto che l'unica differenza evidente tra l'esecuzione da parte dello Stato e quella di un Consorzio privato consiste nella scelta libera, diretta e autonoma del progettista come della ditta esecutrice dei lavori".

 

Ultima modifica il Giovedì, 17 Aprile 2014 22:43

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