Il giorno dopo l'uscita della sentenza d'appello sulla Commissione Grandi rischi avevamo scritto che gli aquilani erano sotto shock. Le motivazioni depositate venerdì non si direbbe abbiano aiutato a comprendere meglio, bensì amplificato il senso di smarrimento, e lo sconcerto.
I giudici della Corte hanno sostanzialmente demolito la sentenza di primo grado del giudice Marco Billi: "Il processo - scrivono in un passaggio - non offre sostegno all'accusa di condotta colposa in relazione alle affermazioni e valutazioni formulate da ognuno degli imputati nella riunione, così come verbalizzate e confermate dalle testimonianze, il cui contenuto non è assimilabile a quello dell'intervista rilasciata da De Bernardinis prima della riunione".
Bernardo De Bernardinis, allora vice capo della Protezione Civile, è stato il solo condannato - a due anni (pena sospesa) - dalla sentenza dello scorso 10 novembre, in base all'intervista lasciata al giornalista Gianfranco Colacito. La sua condotta secondo i giudici ha avuto una "incidenza casuale nella formazione dei processi volitivi di alcune delle vittime nei momenti successivi alle due scosse premonitrici" e le sue affermazioni "esprimono concetti errati e rassicuranti, non potendo qualificarsi la situazione in atto come favorevole e priva di pericolosità".
Eppure concetti non troppo differenti nella sostanza vengono espressi nella bozza di verbale firmato dai componenti della CGR solo il 6 aprile, dopo il terremoto: "Escluderei che lo sciame sismico sia preliminare di eventi", disse Enzo Boschi. "Questa sequenza sismica non preannuncia niente", confermò Franco Barberi.
Ma i giudici della Corte sono andati oltre aggiungendo nelle motivazioni della sentenza d'appello che gli scienziati "non erano a conoscenza dell'obbligo di informare i cittadini del contenuto delle loro valutazioni".
Non solo. Perché in ogni caso "la Corte ritiene che la riunione del 31 marzo 2009 non risponda a nessuno dei criteri legali che valgono ad identificarla come riunione della Commissione nazionale Grandi Rischi".
Per i giudici quindi la riunione non era valida sia per le modalità di convocazione, sia per la mancanza del numero legale di dieci componenti effettivi. Per la Corte erano solo quattro: Barberi, Boschi, Calvi, Eva.
Si nega insomma che una vera e propria riunione della Commissione ci sia mai stata, avvalorando così una delle tesi difensive che l'avvocato aquilano di parte civile Attilio Cecchini bollò durante il processo d'appello come un "errore giuridico".
"In base a quanto è scritto su alcune sentenze della Cassazione - riferì l'ottantanovenne avvocato a NewsTown lo scorso 17 ottobre - anche qualora ci fosse stata un'irregolarità nell'investitura essi comunque indossarono la veste di pubblici ufficiali e dunque gli atti prodotti restano validi".
In attesa del giudizio di terzo grado in Cassazione, di fronte a queste motivazioni, non si sono registrate particolari reazioni (tantomeno dalla politica locale).
Il colpo, l'ennesimo, arriva infatti nel contesto di una città ferita ma anche stanca, in cui spesso - come si è più volte asserito - i parenti delle vittime sono stati lasciati troppo soli.
Nel vuoto, a dire la sua è stata la voce importante del giornalista aquilano Giustino Parisse che nel terremoto ha perso il padre e due figli. Parisse su Il Centro di sabato 7 febbraio ha scritto questo articolo che riportiamo integralmente senza bisogno di ulteriori commenti: