Quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla Diaz, il 21 luglio 2001, "deve essere qualificato come tortura".
Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia non solo per quanto fatto ad uno dei manifestanti, Arnaldo Cestaro, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. I giudici hanno deciso all'unanimità che lo stato italiano ha violato l'articolo 3 della convenzione sui diritti dell'uomo, che recita: "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".
All'origine del procedimento c'è il ricorso presentato da Cestaro, manifestante veneto che all'epoca aveva 61 anni e che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l'irruzione nella sede del Genova Social Forum. Nel ricorso, l'uomo afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell'ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite.
Cestaro sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi.
La Corte di Strasburgo ha stabilito che il trattamento che è stato inflitto a Cestaro deve essere considerato come "tortura", ma nella sentenza i giudici sono andati oltre, sostenendo che se i responsabili non sono mai stati puniti, è soprattutto a causa dell'inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. Inoltre, la Corte ritiene che la mancanza di determinati reati non permette allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle forze dell'ordine.