Con sentenza n.15350 del 2015, la Cassazione a Sezioni Unite ha risolto definitivamente la querelle dottrinale e giurisprudenziale circa il risarcimento del danno tanatologico, conseguente alla lesione del diritto alla vita, quando, cioè, il soggetto danneggiato muore immediatamente o entro un breve lasso di tempo.
La questione non è di poca importanza, atteso che bisogna accertare se gli eredi possono chiedere il ristoro per la lesione del diritto alla salute ovvero anche quello per il danno al bene vita. Il fatto riguardava il decesso immediato di un'autista di un veicolo coinvolto in un incidente e per tale ragione gli eredi chiedevano il risarcimento del danno tanatologico.
In primo grado, il Tribunale riconosceva agli eredi il risarcimento del danno biologico iure proprio e non iure hereditatis, mentre in secondo grado, la Corte di Appello, aderendo al tradizionale orientamento, riteneva che gli eredi dell'autista morto possono chiedere il riconoscimento pro quota dei diritti entrati nel patrimonio del de cuius e quindi nel caso di specie essi potrebbero concretamente richiedere il risarcimento derivante dalla lesione del diritto alla salute della vittima. Con riferimento all'istituto del danno tanatologico, però, è utile ripercorrere le tesi giurisprudenziali che hanno dato vita ad un vero e proprio dibattito.
L'orientamento tradizionale riteneva non risarcibile iure hereditatis il danno tanatologico, sulla base del fatto che diversamente opinando si ammetterebbe che il risarcimento del danno per lesione al bene vita. Esso, cioè, avrebbe funzione sanzionatoria di matrice penalistica e non di reintegrazione e di riparazione, come invece il codice civile impone. Infatti, il risarcimento del danno da fatto illecito assolve ad una funzione meramente riparatoria delle conseguenze pregiudizievoli per il danneggiato con l'unico requisito che questi resti in vita e ne subisca gli effetti negativi.
Per tali ragioni, la giurisprudenza ammette il risarcimento del danno biologico terminale, quando tra lesione e la morte vi sia un apprezzabile lasso temporale (minimo tre giorni) ed il danno catastrofale che impone il risarcimento a favore del soggetto che provato da lesioni fisiche rimane lucido durante l'agonia e vede incombente la morte. Al contrario, la giurisprudenza maggioritaria non riconosce il risarcimento del danno tanatologico, quando la morte sia avvenuta immediatamente o in un breve lasso di tempo.
La Cassazione, in sostanza, applica il criterio cronologico, distinguendo così l'ipotesi morte avvenuta in un apprezzabile lasso di tempo rispetto alle lesioni e quindi trasmissibile iure hereditatis e quella invece che sia intervenuta immediatamente, non meritevole di risarcimento. Ulteriore argomento che valorizza tale tesi riposa nel fatto che quando il soggetto sia morto, questi perde la capacità giuridica, necessaria per essere titolare di diritti e quindi si arriverebbe al paradosso di una configurabilità di una situazione giuridica soggettiva adespota, cioè priva di titolare e della sua trasmissibilità agli eredi.
Tuttavia, un orientamento recente della Cassazione sembrava aver aperto alla possibilità di risarcimento di tali diritti.
Una prima sentenza datata 2006, riteneva che la dottrina italiana ed europea riconoscono la tutela civile del bene vita, e quindi si asserisce che la morte non è mai immediata (a parte le due eccezione di decapitazione o spappolamento di cervello) ed il danno morte, così, è trasferibile mortis causa, facendo parte del diritto di credito del defunto verso il danneggiato.
Nel 2014, la Cassazione ha sostenuto che il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita è un bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto ed inviolabile ed è garantito dall'ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile.
Secondo tale tesi, il diritto al risarcimento del danno alla vita deve essere individuato nel momento della lesione mortale inflitta – e quindi non nel momento del decesso- così che il diritto al risarcimento può essere trasferito iure hereditatis ai suoi eredi.
Questa tesi ha posto numerose problematiche: infatti, così opinando, si ammetterebbe la risarcibilità del danno tanatologico quale danno evento, escludendo l’operatività delle norme sulla causalità. Inoltre è poco convincente la tesi nella parte in cui ritiene che tale danno è risarcibile nel momento della lesione letale, ma prima del decesso il bene leso risulta essere esclusivamente la salute del soggetto.
La Cassazione a Sezioni Unite, nel 2015, sostiene l’irrisarcibilità del danno tanatologico in caso di morte immediata o nel breve lasso di tempo sotto almeno tre profili.
In primo luogo, i Supremi Giudici ritengono che con la morte, il soggetto non ha più la capacità giuridica, poiché il danneggiato, una volta deceduto, non ha più la capacità di acquistare alcun tipo di diritto. Ne consegue che "nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico vita, che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente . La morte non rappresenta la massima offesa al bene salute, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo, ovviamente, le perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi". Poiché, dinanzi ad una perdita, vi deve essere necessariamente un soggetto legittimato a far valere la pretesa creditoria, nel danno tanatologico manca un soggetto al quale sia collegabile la perdita e che possa far valere tale diritto in giudizio.
In secondo luogo, secondo la Suprema Corte non risulta vero che negare la pretesa risarcitoria agli eredi del de cuius sarebbe in contrasto con la coscienza sociale, in quanto la lesione del diritto alla vita sarebbe priva di conseguenze civilistiche. Infatti, l’eventuale riconoscimento di una tutela risarcitoria avrebbe soltanto la peculiarità di "far conseguire più denaro ai congiunti", quando invece la tutela al diritto primario della vita sarebbe concessa dalla sanzione penale che ha quale funzione principale quella di soddisfare le esigenze punitive e di prevenzione generale della collettività, senza escludere, ai sensi dell’art. 185 co.2 c.p., il risarcimento danni in favore dei soggetti lesi dal reato. Quindi, secondo la Cassazione, non è vero che in caso di ferimento del soggetto il risarcimento danni sarebbe pieno ed integrale, mentre nel caso di uccisione di una persona, mancherebbe la liquidazione del danno tanatologico ("è più conveniente uccidere che ferire"), in quanto in caso di uccisione, la tutela al soggetto leso sarebbe approntata dalla diversa entità e rilevanza delle sanzioni penali.
In ultima istanza, la Suprema Corte sostiene che non bisogna confondere il bene vita con quello della salute, perché essi sono risarcibili in maniera distinta e diversa e quindi non si potrebbe adeguatamente sostenere, come in passato ha fatto la Cassazione nel 2014, che la nascita del credito risarcitorio nascerebbe nel momento della lesione letale.
Secondo tali argomentazioni, quindi, la Cassazione ritiene che il danno tanatologico è insuscettibile di trasmissibilità iure hereditatis agli eredi del soggetto morto immediatamente o in un brevissimo lasso di tempo.
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