L'incontro tra due diversità è evidente già nei pochi secondi dei trailer pubblicati sul web. E' l'essenza dell'incontro stesso che traspare autentica nelle poche parole dei protagonisti. Uguali e diversi, rinchiusi nelle gabbie mentali delle categorie sociali.
E' I migrati, il meta-documentario prodotto e realizzato dalla Comunità XXVI Luglio - Handicappati e non onlus dell'Aquila. Un viaggio per le strade del centro Italia, alla scoperta della diversità, incrociando i migranti, per lo più provenienti dall'Africa sub-sahariana, accolti nei piccoli borghi dell'Appennino.
"Quali sono i colori del mondo? Una domanda semplice e centinaia di chilometri per trovare una risposta con una macchina da presa, un taccuino e una macchina fotografica". E così è iniziato il viaggio dei ragazzi e delle ragazze dell'associazione aquilana. Come per il lungometraggio La mano nel cappello [leggi] la regia è firmata da Francesco Paolucci e l'opera vede il contributo di tanti giovani professionisti aquilani: Stefano Ianni al montaggio, Francesco Colantoni alla fotografia, Tommaso Ciotti alle musiche e tanti altri. E poi ci sono gli interpreti Benito Marinucci, Gianluca Corsi, Giovanni Diletti e Barbara Fontanazza.
Il punto di vista de I migrati è quello di un osservatore silenzioso e rispettoso che lascia che i protagonisti creino una narrazione istintiva e graduale. Uno sguardo che affaccia sulla migrazione, al tempo stesso oggetto e soggetto di cambiamento radicale di confini fisici e mentali: "Quello che resta è l'incontro tra due diversità che si avvicinano, si annusano, si riconoscono e ci fanno capire quanto sarebbe bello avvicinarsi sempre così a quello che non conosciamo". E a proposito di confini, il documentario è già arrivato al vicino est, selezionato alla venticinquesima Slavonski Biennale "Borders of Visibility" di Osijek, in Croazia.
"Eppure il granoturco che ha scelto di esser giallo non si domanda niente non ricorda. Chissà se poi continua a presentarsi giallo per essere fedele a chi lo guarda", diceva Gaber quarant'anni fa. E il cinema, come la musica, si dimostra ancora una volta strumento potente di spoliazione dei pregiudizi identitari.