Martedì, 12 Settembre 2017 21:52

Univaq: ecco un modello innovativo e interdisciplinare per le verifiche sismiche degli edifici, oltre gli indici di vulnerabilità

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E' compito di una grande istituzione culturale porsi come punto di riferimento della comunità per trasferire competenze alla società diffusa. Ebbene, l'Università degli Studi dell'Aquila - patrimonio inestimabile della città, a volte dato per scontato - ha svolto appieno il suo ruolo, regalando un convegno illuminante su un tema che sta facendo discutere la comunità da mesi: l'indice di vulnerabilità sismica degli edifici.

L'occasione è stata la presentazione dei risultati delle valutazioni sulla vulnerabilità sismica dei tre edifici di proprietà dell’Ateneo - Coppito 1, Coppito 2 e Roio corpo B - che non erano stati oggetto d'adeguamento a seguito del terremoto del 2009, non avendo subito danni strutturali. Potete leggerne diffusamente qui: "I risultati sono molto confortanti", ha spiegato la rettrice Paola Inverardi. "Nessuno dei tre edifici ha infatti presentato criticità rilevanti e soltanto alcuni blocchi necessitano di interventi di miglioramento sismico per aumentare la resistenza di un numero limitato di elementi strutturali". Allo scopo, l'Università ha impegnato 5 milioni di euro.

Si è andati oltre gli indici di vulnerabilità, però: la Conferenza ha provato a stimolare una più ampia riflessione sulle procedure di valutazione della sicurezza degli edifici esistenti, anche mediante un approccio innovativo e interdisciplinare capace di migliorare le azioni di prevenzione del rischio. "Il terremoto del centro Italia ci ha risvegliato, ricordandoci che viviamo in un territorio fortemente sismico", ha sottolineato Inverardi; "il terremoto non è prevedibile e, dunque, è importante essere preparati sempre. Nell'agosto 2016, ci siamo trovati impreparati psicologicamente, invece, indeboliti dalla mancanza d'informazioni sul grado di sicurezza dei nostri edifici. Per questo, abbiamo deciso di mettere al centro della nostra azione la verifica di vulnerabilità degli edifici che non avevano avuto danni strutturali a seguito dell'evento del 2009 e che, dunque, non erano stati adeguati. Si tratta di studi costosi, che hanno richiesto tanto tempo: siamo riusciti a realizzare l'impegno assunto perché avevamo competenze importanti cui attingere al nostro interno".

L'Università ha saputo affrontare le criticità che "stiamo vivendo come cittadinanza", ha aggiunto la Rettrice; "abbiamo deciso di guardare al problema in modo non dogmatico: non è affatto semplice dare un 'numeretto' ad un fabbricato costruito 40 o 50 anni fa, ci sono tanti livelli d'approssimazione e, per lo più, conservativi. Abbiamo provato ad offrire un contributo alla discussione: è necessario un adeguamento della normativa, con un approccio alle valutazioni interdisciplinare, e proporre per gli edifici, così, una sorta di 'carta d'identità'".

Ad entrare nel dettaglio hanno provato Angelo Luongo, Direttore del 'Dipartimento di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale', e il professore onorario Dante Galeota; ad ascoltarli Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane, rettore dell'Università 'Federico II' di Napoli, uno dei maggiori esperti al mondo di ingegneria sismica.

"Parlando di indice di vulnerabilità, l'opinione pubblica si concentra soltanto sul 'numero': se è minore di 1, i cittadini pensano di trovarsi in una situazione di pericolo, se è maggiore, invece, sono convinti di essere completamente al sicuro", ha spiegato Luongo. "Purtroppo, l'analisi sismica di un edificio è un problema complesso; d'altra parte, l'azione è aleatoria: un terremoto non si può prevedere. Ci si basa sul concetto di tempo di ritorno, una probabilità e non una certezza. Inoltre, le scienze delle costruzioni scontano ancora un gap di conoscenza sui materiali, sui vincoli, sull'efficacia dei collegamenti strutturali, sulla disposizione delle armature, sulla collaborazione degli elementi non strutturali. Come non bastasse, non è completa l'adeguatezza dei modelli matematici disponibili".

Le conseguenze sono facilmente intuibili: "si adottano procedure convenzionali, codificate da norme internazionali e nazionali, che lasciano margini di discrezionalità importanti al valutatore. Uno stesso edificio, valutato da tre diversi tecnici incaricati, può dare tre risposte diverse".

Insomma: ad oggi, la scienza non sa dare risposte certe se, per risposte certe, intendiamo le soluzioni uniche a problemi matematici ben posti. "L'ingegneria strutturale - ha proseguito Luongo - si basa sulla formulazione di modelli matematici e sulla loro applicazione alla realtà fisica. Mentre i modelli sono pienamente maturi, la loro applicazione è incerta e tutt'ora in discussione. La fisica non vuole farsi imbrigliare dalla matematica". In ingegneria civile, ogni edificio è un unicum la cui evoluzione non è correggibile né in tempo reale (eccetto se si configurasse un controllo attivo) né in riedizioni successive (l'edificio non è mai replicato). Dunque, "le analisi convenzionali lasciano al valutatore la scelta del metodo di calcolo e del modello, e si tratta di scelte che possono portare a risultati diversi" che si sintetizzano nel 'numero magico', l'indice di vulnerabilità, che si configura come "il rapporto tra le accelerazioni di picco al suolo che la struttura è convenzionalmente in grado di sopportare e l'accelerazione di piccolo al suolo in un convenzionale terremoto di progetto". Se il rapporto è maggiore di 1, l'edificio viene convenzionalmente valutato come sicuro: "non significa, però, vivere in una botte di ferro - ribadisce Luongo - piuttosto che il rischio di perdita di vite umane è bassissimo. Tuttavia, l'edificio potrebbe subire danni tali da dover essere abbattuto".

Luongo ha mostrato una tabella realizzata da studiosi neozelandesi che dimostra come, stante il livello 1, se si scende a 0.6 triplica la possibilità che si verifichi un evento negativo e a 0.3 il rischio si moltiplica per venti, nel peggiore dei casi. "Ebbene, tra un indice 1 e un indice 0.6 non è che ci sia una grande differenza: infatti, sebbene il rischio triplichi in caso di evento sfavorevole, è vero anche che gli eventi favorevoli, in realtà, sono di gran lunga più numerosi. Insomma, il rischio triplica ma su un numero piccolissimo che, comunque, resta piccolissimo". Il direttore del 'Dipartimento di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale' prova a spiegarsi con un esempio piuttosto banale: se in una scatola da 1000 palline ce n'è una nera, indicante l'evento negativo, ne restano comunque 999; se le palline nere diventano 3, ce ne saranno 997 bianche e così via.

In caso di coefficiente basso, tra l'altro - pari a 0.3 per fare un esempio - siamo dinanzi ad un edificio che, "al 30% del terremoto di progetto, ha un elemento almeno che raggiunge la 'crisi': in questo caso, crollerebbe? Non possiamo rispondere. Dunque, oltre l'indice di vulnerabilità servirebbe un'analisi evolutiva, non lineare; purtroppo, le norme vigenti non la richiedono e lasciano all'esperienza del tecnico incaricato, di nuovo, la valutazione dei possibili effetti".

Per questi motivi, oltre a seguire le indicazioni delle normative nazionali, lo studio sugli edifici dell'Univaq si è ispirato alle esperienze maturate a livello internazionale così da tracciare un quadro analitico completo del comportamento degli edifici in caso di sollecitazione sismica. "Si è proceduto in maniera molto approfondita prendendo in esame sia il comportamento globale della struttura sia le criticità locali, tenuto conto che gli edifici sono stati realizzati prima che entrasse in vigore la normativa attuale", ha spiegato il professor Dante Galeota. "È stata eseguita un’accurata analisi di ogni singolo edificio sotto il profilo delle caratteristiche dei materiali (calcestruzzo e acciaio), delle loro proprietà meccaniche e dei particolari costruttivi. Sono state quindi effettuate prove dinamiche delle strutture e l’analisi geologica e geotecnica dei terreni, a cui è seguita una fase relativa alle analisi strutturali e alle verifiche di sicurezza".

Parliamo di tre edifici costituiti da 14 blocchi diversi tra loro; per analizzarli, "abbiamo costituito un gruppo di lavoro in dipartimento", ha aggiunto Luongo; "una task force formata da 5 professori, 3 ricercatori, 8 tra dottorandi e assegnisti, 2 laureandi, 2 collaboratori esterni, 2 tecnici".

Un approccio rigoroso - oltre le verifiche di vulnerabilità, appunto, e le normative vigenti, per come prevedono la valutazione degli edifici - che l'Università dell'Aquila intende proporre come modello a livello nazionale, anche mediante appositi percorsi formativi che forniscano agli esperti chiamati a fare le valutazioni le competenze multidisciplinari necessarie. In questo modo, a parità sostanziale di costi, si potrebbero individuare interventi più mirati ed efficaci per mitigare la vulnerabilità degli edifici e accrescere la sicurezza delle persone al loro interno.

"E' una iniziativa molto importante", ha chiosato Gaetano Manfredi; "ed è importante che parta da qui, da L'Aquila, una città colpita da un terremoto violento e che ha risposto all'evento sismico sviluppando grandi competenze: il processo di ricostruzione, dal mio punto di vista, rappresenta un modello a livello internazionale. Anche l'Università ha lavorato molto bene, e si pone, oggi, al centro di un dibattito decisivo che attiene al rapporto tra persone e sicurezza".

Una società complessa è decisamente più fragile: "per questo, è importante alzare il livello delle risposte; fattore decisivo è la conoscenza: è indispensabile educare la popolazione a conoscere gli eventi e affrontarli, mettendo in campo competenze vere, così da evitare l'irrazionalità che rende, invece, la società insicura. E alla base deve esserci sempre un principio di scientificità. L'azione dell'Università dell'Aquila fornisce l'esempio di come un'amministrazione pubblica dovrebbe comportarsi rispetto al proprio patrimonio e alle proprie responsabilità. Dal punto di vista etico e metodologico è un esempio: lavoreremo con Paola Inverardi per estendere l'esperienza agli altri Atenei".

Smessi i panni da presidente della Crui, Manfredi è tornato 'tecnico': "Ha ragione il prof. Luongo: qualsiasi analisi è convenzionale; non cerchiamo la verità assoluta, non esiste: dobbiamo convivere con un certo grado di incertezza. Dunque, va minimizzato il rischio: altrove, è già stato introdotto il concetto di rischio accettabile".

Anche per questo, "è chiaro servano competenze specifiche: valutare sismicamente una struttura esistente è assai complicato, bisogna saperlo fare e non tutti possono", ha chiarito Manfredi. Non è un caso si parli dell'istituzione di un albo dei valutatori, non è un caso che i neozelandesi prevedano l'affidamento ad un pool di esperti delle verifiche di vulnerabilità istruite da un tecnico incaricato su una struttura. C'è poi un problema che attiene al tema della responsabilità: "viviamo un'epoca in cui in molti si mettono in posizione difensiva: su casi particolarmente complicati non si interviene, o si istruiscono verifiche eccessivamente conservative che finiscono per creare danni enormi alla comunità".

A margine della conferenza, a Manfredi è stato posta una domanda sui bassissimi indici di vulnerabilità emersi dalle verifiche su alcune superiori dell'Aquila, che si attestano tra 0.17 e 0.31. "Non conosco la situazione", la risposta; "certo è che con indici così bassi andrebbero intraprese azioni rapide, per capire innanzitutto come sia possibile che abbiano resistito al sisma del 2009: è necessario indagare a fondo, e assumere decisioni conseguenti".
Magari, potrebbe aiutare il metodo sperimentato dall'Università.

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