“Ci sono spunti nella vita di ogni giorno che mi affascinano e mi fanno desiderare di partire, di intraprendere un viaggio e fotografare il mondo, i colori, le luci e le atmosfere di città, i volti segnati dalla vita e i vecchi borghi, echi silenti impressi nelle pietre che sembrano avvolgerti e che solo certe immagini sanno rendere vivi. O certi luoghi raggiunti seguendo le pagine di un libro, affascinato dalle atmosfere descritte e desideroso di vederle con i miei occhi”.
Sono queste le parole che accompagnano il fotografo aquilano Fabrizio Politi, in ogni suo viaggio. In questi giorni di festa, è tanta la voglia di volare lontano dalla quotidianità e dai soliti problemi. E non c’è niente di meglio che farlo attraverso le parole e le immagini di un fotografo per passione e di un viaggiatore per indole. Parole che ci portano in Perù.
“Partimmo un lunedì, in direzione sud, cercando Pancio Villa e la 'rivoluzione', ci disse non è morta ci sono nuove idee...”, cantavano i Litfiba. E’ un lunedì e per me e Federico, compagno di sventure, ha inizio il viaggio.
Sono le 6 di mattina del 4 agosto, saliamo sull’aereo e, dopo 4 scali e 48 ore di viaggio, finalmente alle 5 del mattino atterriamo a Cusco, nota come la "Roma degli Inca". Cusco è l’ombelico del mondo Andino, a 3400 metri di altitudine, in una meravigliosa valle circondata da brune e secolari montagne. Mi viene in mente il conquistador Aguirre del film di Werner Herzog che parte alla volta del Perù alla ricerca del mitico El Dorado. Purtroppo il luogo leggendario esiste solo nei pensieri di qualche folle ma la sensazione, scendendo dalle scalette dell'aereo, è quasi magica. Acclimatarsi per affrontare le altitudini è di fondamentale importanza e la scelta migliore è chiedere quattro giorni di ospitalità. Il centro della città si compone essenzialmente di belle case coloniali, con balconi in legno scolpito, che fiancheggiano strette stradine e meravigliose piazze lastricate. Dalle alture si gode di una vista mozzafiato: un tappeto di tetti dalle tegole lustre si sussegue, interrotto soltanto dalle torri della cattedrale. Il nostro albergo si trova nel quartiere di San Blas, uno dei più belli della città. L'unico inconveniente è che per raggiungerlo si devono risalire più di 500 gradini da Plaza de Armas e qui il fiato è corto e non ci si abitua facilmente alla mancanza di ossigeno. Fortunatamente, masticare foglie di Coca che si trovano al mercato e bere mate (infusi di foglie di coca) ci aiuta molto. Non scandalizzatevi per la coca: qui non è uno stupefacente e il principio attivo naturale delle sue foglie ha un effetto simile alla caffeina. Solo se trattata diviene la sostanza che tutti conosciamo.
Dal terzo giorno iniziamo ad abituarci all'altitudine: va scemando infatti la sensazione di pressione al petto e alle tempie ed il respiro inizia ad essere più normale. Decidiamo di dedicarci ai dintorni della città e alla Valle Sagrado degli Inca che parte da Pisac e segue il corso del fiume Urubamba fino a Ollantaytambo, attraversando vari siti: Pisac, Urubamba , Ollantaytambo, Chinchero e un piccolo villaggio lungo la strada che va da Urubamba a Cuzco. Qui c'è una comunità dove gli uomini producono con fango e fieno i mattoni utilizzati per costruire abitazioni e le donne, sui tradizionali telai in legno, tessono tappeti, cappelli, guanti e quant'altro con la pregiatissima lana di Alpaca. Trascorriamo con loro più di mezza giornata a rimaniamo affascinati nell’osservare il loro modo di lavorare tanto tradizionale quanto antico.
Ci dirigiamo poi a Machu Picchu, la meta più ambita dei viaggiatori diretti in Perù. Machu Picchu appartiene alla famiglia delle grandi città morte e delle civiltà perdute ed è sicuramente il monumento precolombiano più spettacolare dell'America del Sud, sia per l'importanza delle costruzioni sia per l'incredibile splendore del sito. Arroccato in cima ad una montagna, ha mantenuto tutto il suo mistero per secoli. Oggi, però, questo luogo è in forte pericolo a causa dei numerosi turisti che ogni giorno visitano il sito ed intraprendono il cammino Inca. Giungiamo alle sue porte e la sensazionale bellezza del posto ripaga di tutti gli sforzi impiegati per raggiungerlo: lascia letteralmente senza fiato.
L'11 agosto si parte alla volta di Arequipa, la seconda città del Perù. Fondata nel 1540 dagli spagnoli su un antico sito Aymara, è soprannominata la "Città bianca", per via delle case costruite in pietra lavica che le conferiscono un fascino lunare. Per raggiungerla attraversiamo 600 km di pampa desertica e pascoli brulli su un altipiano a 4500 metri di altezza, regno di vigogne , alpaca, guanaco e lama. Oltre al Monastero di Santa Catalina, alla cattedrale di Plaza de Armas e qualche museo, per il resto è un po’ troppo "occidentale" per i miei gusti. Il Perù autentico, quello più tradizionale e non contaminato dalla tecnologia si trova 180 km più a nord. La strada attraversa i villaggi di Yura, Sumbay Alto, Viscachani, il passo Patapampa ed infine il vulcano Misti alto ben 5825 metri, uno dei più affascinanti che abbia mai visto in centro America. Ma il nostro obiettivo ora è il Canyon di Colca, il più profondo del mondo: ha uno spaventoso dislivello di 3200 metri e un’estensione di un centinaio di km. Nei suoi cieli, in alcune ore del mattino, si può ammirare il volo maestoso ed elegante del Condor, l'uccello sacro delle Ande. Il 13 Agosto arriviamo a Cabanaconde, un villaggio andino, dove si vive di agricoltura e allevamento e si conduce una vita dettata dai ritmi della natura: ci si sveglia al mattino all'alba e si va a dormire al tramonto, non importa l'orario, qui è il sole che fa da padrone. Il mattino successivo sveglia alle 4, zaino in spalla e si va verso la Cruz del Condor, il più celebre belvedere del Canyon di Colca.
Dopo aver ammirato questo splendido uccello decidiamo di intraprendere la discesa sul fondo del Canyon in direzione del villaggio di Tapay, raggiungibile solo a piedi. Il cammino è più duro del previsto e impieghiamo circa 10 ore, ormai è notte e solo grazie alla luna piena il sentiero è ancora visibile. Giunti al villaggio incontriamo la “Signora di Tapay" che ci offre un boccone caldo ed ospitalità per la notte.
Ci colpiscono i racconti dei figli della signora, ormai quarantenni ma ancora legati alle tradizioni e alla cultura del posto, con i loro modi semplici, sinceri e leali. Trascorsi un paio di giorni tra il Canyon e Cabanaconde ci dirigiamo verso il lago Titicaca e le sue isole galleggianti. Dall’alto dei suoi 3812 metri, il Titicaca è il più alto lago navigabile del mondo. C’è una leggenda Andina che racconta di un tesoro inabissato: quando Francisco Pizzarro catturò l'imperatore Atahualpa nel 1532, gli promise di salvargli la vita in cambio del grande tesoro Inca. I luogotenenti Inca, però, mentre trasportavano il tesoro attraverso il lago vennero a sapere che l’imperatore era stato giustiziato da Pizzarro. Per impedirgli di impossessarsi del tesoro, lo gettarono quindi nel lago. Leggende a parte, questo è un posto meraviglioso. Le isle di Taquile, Amantani e Uros conservano inalterati usi e costumi di un tempo, soprattutto per mantenere alta l'attrattiva nei loro confronti, dato che gli abitanti vivono sostanzialmente di turismo e di quel poco che un territorio così ostico riesce ad offrire. Restiamo qui cinque giorni, ospitati da famiglie che offrono una camera da letto, cena e colazione. Non c’è energia elettrica, acqua corrente, ne’ un sistema fognario è quindi impossibile farsi una doccia e i bagni sono delle latrine ma a noi non piacciono le cose comode.
Questo viaggio mi rimarrà dentro perché diverso ed originale come tutto il mondo andino in cui ci siamo immersi, perché unico come le persone che abbiamo conosciuto. Saliamo su un pullman: prossima fermata Copacabana, la Bolivia ci attende.
La fotogallery di Fabrizio Politi