Giovedì, 16 Gennaio 2014 19:34

C'era una volta Sant'Agnese. Tradizioni popolari e mistificazioni

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Le allarmanti condizioni materiali e morali in cui versa L'Aquila, anche alla luce degli ultimi fatti, indurrebbero a non occuparci di storie marginali, ma spesso proprio nei piccoli cassetti si trovano le chiavi per aprire i grandi portoni...

"C'era una volta Sant'Agnese" potrebbe essere il titolo di questo ricordo, quando il 21 gennaio di ogni anno, davanti a una tavola imbandita e al riparo dai rigori invernali, allegre comitive di amici o colleghi di lavoro celebravano il tradizionale rito della maldicenza, attribuendo "sul campo" ai più meritevoli le relative cariche dei linguacciuti (se ne contano più di 260). Una festa perfettamente in linea con la spiccata tendenza all'ironia e all'autoironia che è tratto fondamentale del carattere, per altri versi spigoloso, di noi Aquilani.

Si trattava di una simpatica e picaresca tradizione popolare, unica in Italia, legata al convento di Sant'Agnese (a ridosso delle mura urbiche del Quarto di Santa Maria Paganica), le cui ospiti derelitte, prestando servizio presso le famiglie nobili e borghesi, ne carpivano con facilità ogni sorta di segreto e di confidenza privata.

Quelle morbose indiscrezioni entravano in convento e ne riuscivano sotto forma di dettagliati pettegolezzi accreditati dalla citazione: "E' uscita da S. Agnese!" Pare che in occasione di fidanzamenti o matrimoni le rispettive famiglie, all'insaputa l'una dell'altra, s'informassero reciprocamente su di loro presso il convento (divenuto una formidabile agenzia di informazioni...) per sapere se risultasse qualche "magagna" tenuta nascosta. E sicuramente tra gli "utenti" c'erano anche molti padri, fidanzati o futuri sposi…

Col tempo le estemporanee comitive agnesine iniziarono a strutturarsi in vere e proprie confraternite, a cominciare dalla "Sancta Agnes garrulorum praesidium", nata il 21 gennaio 1955, con sede fissa presso la Trattoria San Biagio. Tutto ciò durò fino agli inizi del nuovo millennio, quando alcuni di questi stessi confratelli immaginarono di trasformare questo tipico momento goliardico e di divertimento malizioso in un fenomeno di "alta cultura" del quale la nostra città avrebbe dovuto farsi vanto.

La discutibile revisione, resa possibile dal vuoto culturale che la Città viveva in quel momento, nasceva da una leggenda risalente ai primi del 1300, quando alcuni nobili e borghesi aquilani, desiderando parlare senza peli sulla lingua di politica e di potenti, avrebbe iniziato a riunirsi vicino Porta Rivera, a fianco della appena costruita fontana delle 99 Cannelle. I governanti non avrebbero tardato ad individuare il piccolo gruppo di maldicenti sediziosi e a esiliarli dalla città, minacciando la pena di morte qualora vi fossero rientrati.

Poco dopo, però, i familiari dei proscritti, appoggiati da gran parte della popolazione, avrebbero chiesto e ottenuto il perdono, ma a condizione che ciascuno giurasse di non fare più maldicenza dentro le mura della città. Essendo stati espulsi il 21 gennaio, gli esiliati sarebbero stati riaccolti in città come "quelli di Sant'Agnese" e sarebbero tornati a dedicarsi alla maldicenza, ma (per non contravvenire al giuramento) lo avrebbero fatto in una mescita di vino collocata fuori le mura della città.

Nasceva così il racconto postumo che lega Sant'Agnese alla celebrazione della libertà di parola, dello spirito di comunità, della ribellione contro il potere costituito. Come se il pettegolezzo potesse identificarsi, grazie a un sottile sortilegio ermeneutico, con il "dire il male" e non più col "dir male". Per nobilitare "lavannare" e "mamme deji cazzi dej'atri", si scomodava nientepopodimeno che la "parresia" socratica, consistente nel parlare con coraggio e franchezza nell'ambito di un'etica della verità...

Mediante iniziative pseudo-culturali amplificate dalla presenza di ospiti illustri come Francesco Cossiga, Giulio Andreotti o il vescovo di Chieti Bruno Forte, L'Aquila agnesina giungeva a rivendicare con orgoglio il titolo di "Capitale della maldicenza", inventando un brand da esportare a fini turistici o addirittura da inserire, accanto alle vere eccellenze, nella velleitaria candidatura a capitale europea della cultura 2019

La politica e le istituzioni, anzichè stimolare la coesione e la dignità della comunità, hanno dunque sperperato per anni denaro pubblico assecondando e alimentando questa grande mistificazione borghese che rischia di mettere fine all'autentica natura popolare dell'evento.

La mentalità agnesina restata confinata per decenni a quel solo giorno di trasgressione collettiva simil-carnascialesca, è stata elevata a sistema e indicata quale modello virtuoso, esasperando al contrario la peggiore aquilanità: quella della critica improduttiva, della vis disfattista, del confronto politico fondato sul sotterfugio e la calunnia.

Anche per questo la lezione del terremoto, pur imponendo a ciascuno la medesima esperienza di sgomento e di disagio, non ha insegnato granché nel senso del rispetto reciproco, della solidarietà e dell'impegno civile.

Non contento, il sindaco dimissionario (a suo dire, anche a causa di maldicenze montate ad arte) aveva accolto ultimamente la sciagurata idea di diffondere il culto del pettegolezzo anche fra i giovanissimi, ignorando che il parlar male del prossimo è comunque un atto persecutorio nei confronti delle persone e in quanto tale altamente diseducativo. Senza contare che la gratuita diffamazione degli altri distoglie dall'abitudine di esercitare su di sé una sana autocritica costruttiva.

E allora, a rischio di passare per conservatori e tradizionalisti, verrebbe da dire "Ridateci Sant'Agnese com'era": una modesta festa senza passerelle e senza fronzoli, nella quale veniva consumata al momento non più che una piacevole serata in compagnia.

 

di Walter Cavalieri - storico

Ultima modifica il Venerdì, 17 Gennaio 2014 10:36

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