Ed eccoci al consueto appuntamento di inizio settimana con la nostra rubrica JWAQ.
Torniamo sul territorio, e faremo un po’ di chiarezza sui presidi che Slow Food cura, insieme alle comunità dei produttori.
I Presidi sono prodotti di un territorio. In Italia sono 321, in Abruzzo 17 e, di questi, sei li conosceremo oggi: sono sei prodotti locali e immediatamente riconducibili ad una tradizione, ad una o più comunità e quindi riconoscibili in sei borghi.
Slow Food Italia scrive che “i Presìdi sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta.” Ne parliamo con il delegato della Condotta dell’Aquila, Giovanni Cialone.
Buongiorno Giovanni e ben trovato! Quali sono anzitutto i Presidi Slow Food che incontriamo nel territorio aquilano?
Ben trovati a tutti e tutte. Abbiamo la salsiccia di fegato aquilana che incontreremo strada facendo a Tornimparte, la mortadella di Campotosto, il Canestrato di Castel del Monte, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, il Cece di Navelli e il Fagiolo di Paganica.
Bene, cominciamo col primo allora!
La salsiccia di fegato o cicolana è un insaccato storico della provincia dell’Aquila. Si prepara prevalentemente con fegato, cuore e lingua di maiale e con l’aggiunta di un po’ di carne magra e grasso. Soluzione ideale che permette di utilizzare le parti dell’animale anche quelle meno nobili. La tradizione comprende due tipologie di salsiccia, entrambe confezionate da novembre ad aprile: la ricetta classica prevede il condimento delle carni con pepe, peperoncino e aglio, mentre nella salsiccia di fegato dolce si condisce l’impasto con una minima quantità di pepe e il miele, per ingentilirne il sapore. Attualmente viene prodotta da quattro trasformatori.
Il secondo, la mortadella di Campotosto.
E’ un prodotto marginale delle terre alte. La Mortadella, chiamata anche ‘coglioni di mulo’, è preparata a Campotosto da due soli produttori. Si utilizza carne magra presa da tagli scelti di suino: prosciutto, spalla e pancetta. Con le mani giunte a formare una coppa, il produttore riempie lo spazio di un budello con la carne e al centro mette un lardello di circa 1 cm di lato per 10 cm di lunghezza. E’ il grasso migliore del maiale ed è perfettamente bianco. Quando i salumi sono pronti, si portano ad affumicare vicino a un camino dove brucia legno di faggio, poi si lasciano in luoghi freschi, ventilati ed aperti per tre mesi, a 1.400 metri di quota.
Ci spostiamo a Castel del Monte e cambiamo prodotto e filiera. Dalle carni passiamo ad un prodotto caseario.
Il canestrato è un pecorino a pasta dura, molto grasso, di media o lunga stagionatura, fatto con il latte crudo, in modo da mantenere tutte le sue proprietà organolettiche. Si producono forme anche di 12-15 chili su ordinazione che risultano più dure e piccanti. Il sapore di questo formaggio dipende da ciò che le pecore mangiano e sul Gran Sasso ci sono ben 300 tipi di erbe, una condizione unica e preziosa. Si raccoglie il latte prodotto da 15.000 capi e ad oggi per nostra fortuna, la domanda supera l’offerta.
Restiamo nella Baronia, ma ci spostiamo su un’area vegana. La lenticchia di Santo Stefano di Sessanio.
È un biotipo coltivato in questa zona da tempi immemori: le fonti le citano già dal XI sec. Qui ha trovato un habitat ideale, fatto di inverni lunghi e rigidi – al termine dei quali, alla fine di marzo, si seminano le lenticchie – e di primavere brevi e fresche. I terreni poveri di montagna sono perfetti per le lenticchie Piccola e molto saporita di pochi millimetri di diametro, globosa e di colore scuro, marrone-violaceo. Cresce oltre i mille metri di altitudine solo sulle pendici del Gran Sasso, nei territori incontaminati del Parco Nazionale. Alcune coltivazioni si spingono fino a 1600 metri, ma è intorno ai 1200 che danno i risultati migliori. Per le loro piccolissime dimensioni e l’estrema permeabilità, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio non hanno bisogno di alcun ammollo preliminare. Più di 10 i produttori nel presidio.
Torniamo a valle stando nei campi…
Il cece di Navelli si caratterizza per le piccole dimensioni di colore crema e la superficie liscia. Alcuni produttori conservano anche una seconda tipologia, ancora più piccola e di colore rosso ruggine, con superficie grinzosa. Storicamente, il bianco era destinato alla vendita e il rosso al consumo familiare. Le coltivazioni si trovano tra i 700 e 800 metri s.l.m, su terreni aridi, leggeri, talvolta pietrosi, senza ristagno di acqua. Sono una decina i produttori nel presidio.
Procedendo verso L’Aquila, troviamo il fagiolo di Paganica!
La coltivazione dei fagioli di Paganica è una tradizione centenaria: i suoli freschi e profondi, di natura alluvionale, e la presenza di corsi d’acqua ne hanno favorito la coltivazione. La produzione è concentrata nella zona del fiume Vera. Fino a qualche decennio fa si trattava di una produzione importante, che trovava sbocco commerciale sul mercato locale ma anche nelle province limitrofe (Terni, Rieti, ecc.). Oggi ci sono cinque produttori nel presidio. Esistono due varietà (ecotipi) di fagiolo, entrambe a ciclo lungo (dai 160 ai 180 giorni di coltivazione), possono raggiungere i 2m, se sostenuti con appositi pali in legno di salice. La differenza tra le due tipologie è il colore del seme: il fagiolo a pane (anche definito “ad olio”) è di colore beige tendente all’avana o al nocciola e ha un occhio centrale, mentre il fagiolo bianco (anche definito “a pisello”), è di colore bianco avorio ed è leggermente più tondo del precedente.
Come mai Slow Food ha partecipato a questa lunga camminata virtuale?
Perché c‘è bisogno di raccontare le storie del territorio. L’itinerario proposto ha come filo conduttore i Presidi Slow Food a significare che in questi territori marginali il sistema agrosilvopastorale, checchè se ne dica, è ancora importante ed economicamente determinante: nonostante la crisi che ha colpito le aree interne ed ha svuotato i comuni dell’Appennino con decrementi demografici significativi (fino al 90% in un secolo). Il settore legato all’agricoltura ed alla pastorizia è l’unico che in qualche modo resiste. Lo certifica il censimento dell’agricoltura del 2011 ed il “Rapporto Montagna Italia 2017” di UNCEM e FEDERBIM. Nel contempo sono aree con una grande ricchezza: Biodiversità, Beni comuni, Beni Culturali, Servizi ecosistemici e Paesaggio agrario costruito.
Su queste aree per lo più si concentra il progetto dei presidi di slow food?
Certo. Slow Food si occupa, tra l’altro, della conservazione della biodiversità alimentare e crede fortemente nella necessità di ristrutturare il sistema agroalimentare nella UE sulla base delle produzioni sostenibili di piccola e media scala ed intende suggerire azioni concrete per supportare le economie locali ed attribuire un ruolo centrale ai soggetti più penalizzati della filiera agroalimentare – piccoli produttori e consumatori – affinché acquisiscano una forza maggiore.
La biodiversità che significato ha quindi?
La biodiversità è una ricchezza, è la nostra assicurazione sul futuro, perché permette alle piante e agli animali di adattarsi ai cambiamenti climatici, agli attacchi di parassiti e malattie, agli imprevisti. Pandemia e cambiamento climatico dovrebbero insegnare. Nell’ultimo secolo la biodiversità si sta riducendo. Insieme alle piante e agli animali selvatici, scompaiono le piante e le razze animali selezionate dall’uomo. E scompare – insieme alla biodiversità vegetale e animale – un patrimonio economico, sociale e culturale straordinario fatto di formaggi, salumi, pani, dolci… Un nuovo modello di agricoltura, basata sulla qualità, sul recupero dei saperi e delle tecniche produttive tradizionali, sul rispetto delle stagioni, sul benessere animale è possibile e necessario.
Cosa rappresenta il motto “Buono, Pulito e Giusto”?
Prodotti buoni, ovvero di alta qualità e radicati nella cultura del territorio; prodotti puliti, ovvero ottenuti che tecniche sostenibili e nel rispetto del territorio; prodotti giusti, ovvero realizzati in condizioni di lavoro rispettose delle persone, dei loro diritti, della loro cultura, e che garantiscono una remunerazione dignitosa. Così si rafforzano le economie locali e si favorisce la costituzione di un’alleanza forte tra chi produce e chi consuma. Questo è il progetto che in Italia raccoglie piu di 300 prodotti. Sulle confezioni portano il contrassegno “Presidio Slow Food”, che li identifica e garantisce che i produttori hanno sottoscritto un disciplinare improntato al rispetto della tradizione e della sostenibilità ambientale.