Giovedì, 07 Agosto 2014 16:46

Tutela dei beni culturali: la situazione all’Aquila e il caso di Picenze

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Nell’ultimo anno, il processo di ricostruzione all’Aquila e nei comuni del cratere sembra essere finalmente avviato. Nello skyline della città e dei borghi circostanti il numero di gru e di cantieri cresce ogni giorno, ma non mancano grandi difficoltà anche per la conservazione e la valorizzazione di quanto non è stato distrutto dal sisma del 2009.

Sono all’ordine del giorno problemi di comunicazione tra comuni e Soprintendenza, rimpalli di responsabilità, indagini aperte e dirigenti che vanno e vengono, dibattiti con la popolazione alla ricerca di una “partecipazione” a cui, però, non si è poi così preparati. Non da ultimo e ad un raggio più ampio si aggiungono interrogativi su come affrontare dal punto di vista dell’archeologia preventiva grandi lavori come i sottoservizi nel centro storico dell’Aquila, sotto il quale è nota la presenza di cunicoli sotterranei, utilizzati come cantine o ambienti integrativi delle abitazioni, o come il metanodotto Snam che andrebbe ad attraversare nel suo percorso numerose aree archeologiche.

D’altronde, nei precedenti terremoti che hanno interessato l’Italia, probabilmente non ci si è mai trovati ad affrontare danni ingenti su un territorio così esteso e così denso di aree ed edifici sotto vincolo dei beni culturali. E dunque, in questo senso L’Aquila potrebbe rappresentare un vero e proprio laboratorio, un’occasione per sperimentare nuovi metodi d’indagine, ricostruzione e valorizzazione di quanto ad esempio sta venendo fuori nel processo di restauro di chiese e palazzi storici. Perché i racconti di tecnici e restauratori impegnati ogni giorno in questo minuzioso lavoro non mentono, anche se le autorità competenti non lasciano trapelare notizia alcuna né tanto meno consentono alla cittadinanza e ai turisti di visitare i cantieri di restauro: in alcuni edifici civili e religiosi della città stanno venendo fuori soffitti, pavimenti, muri e affreschi anche antecedenti alla data di fondazione dell’Aquila.

Potrebbe sembrare a questo punto che il nostro territorio sia il luogo ideale per chi ha scelto di lavorare nel settore dei beni culturali: archeologi e restauratori in primis. Eppure non è così: pochi eletti riescono a lavorare con la Soprintendenza, che non può assumere altro personale per mancanza di fondi. E senz’altro non basta per l’USRA e l’USRC l’assunzione di soli due archeologi con contratto triennale. Non è sufficiente non solo per un discorso di tutela e valorizzazione, ma anche per una questione di sicurezza.

In proposito, nel mese di maggio, Marianna Bonomo, consigliera di minoranza del comune di Barisciano, aveva esposto alla stampa il problema della frazione di San Martino di Picenze, manifestando la necessità di uno studio sui cunicoli e grotte sotterranee della zona che mettono a rischio la stabilità degli edifici da ricostruire. Dal sisma del 2009 infatti le macerie delle case crollate non sono state rimosse - la macchina di Marianna è ancora sepolta nei vicoli - e chiaramente il loro peso grava in maniera pericolosa sul reticolo di cavità sotterranee, in cui sono stati registrati numerosi crolli, dovuti anche a infiltrazioni indipendenti dal terremoto, che hanno creato ampi spazi vuoti sotto le case mettendone a forte rischio la stabilità.

Da maggio ad oggi non ci sono state grosse novità: da tempo, la cittadina ha presentato il progetto di ricostruzione per il proprio aggregato, non senza aver autonomamente chiesto la consulenza di un geologo, ma ancora niente si è mosso e la cosa non ci stupisce, perché ricostruire le case della frazione - edificate in alcuni casi in terra e pietre - dotandole di nuovi impianti e mettendo in sicurezza anche gli ipogei, è un’operazione che richiede un grosso dispendio economico. Secondo Marianna una soluzione sicura potrebbe essere la temporanea delocalizzazione degli abitanti della frazione, come è stato fatto per i cittadini che hanno trovato sistemazione nei progetti Case e Map, in attesa di riavere le proprie prime case ricostruite.

Tra l’altro anche lì i problemi non mancano: ci sono alcuni Map con grosse lesioni in attesa di essere riparate prima dell’arrivo dell’inverno. Insomma, la situazione della piccola frazione sembra essere grave e molto più statica rispetto invece ai piccoli centri in cui il processo di ricostruzione è ormai partito. L’ennesimo caso in cui i nostri enti pubblici si trovano impreparati ad affrontare situazioni che, in effetti, richiederebbero maggiori risorse umane ed economiche.

Ma qualche studio sulle cavità sotterranee di Picenze in realtà c’è: si tratta di un lavoro di Gianluca Ferrini, Antonio Moretti, Fabio Redi e Alessio Cordisco, geologi e archeologi dell’Università dell’Aquila, appena uscito su una rivista specialistica di archeologia e che ha come tema centrale proprio un insediamento ipogeo nella frazione di S. Martino a Picenze e l’attribuzione al Medioevo della relativa muratura. Il lavoro consta di uno studio geologico, uno studio archeologico e persino una modellazione 3D di un ipogeo il cui obiettivo ultimo sarebbe realizzare un’evoluzione delle fasi costruttive e, partendo da queste, un video/documentario per divulgare e far conoscere il mondo sotterraneo di questa frazione e le attività che vi si svolgevano.

Un piccolo passo dunque, che, se l’università e le amministrazioni locali comunicassero di più, potrebbe rappresentare un esempio per l’elaborazione di un metodo di lavoro che tenga conto della famosa interdisciplinarità di cui tutti amano parlare e che potrebbe realmente dare un contributo significativo al processo di ricostruzione di Picenze come degli altri borghi del territorio aquilano.

Video caricato da Marianna Bonomo il 7 giugno 2009: oggi, cinque anni dopo, la situazione nella piccola frazione di San Martino di Picenze è rimasta invariata.

 

La fotogallery di San Martino di Picenze

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Ultima modifica il Sabato, 09 Agosto 2014 03:31

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