La Perdonanza Celestiniana numero 720 è alle porte. Come sempre, è tanta l'attesa all'Aquila per la manifestazione più importante della città. Le polemiche non sono mancate, fin da subito: la disponibilità economica esigua nelle casse del Comitato Perdonanza ha suscitato i consueti dubbi sulla riuscita di un evento che, forse, andrebbe ripensato una volta per tutte. Sarebbe bello, ad esempio, che ci fosse un filo narrativo nell'arco della settimana di eventi, piuttosto che una somma algebrica di tutto quello che le associazioni (non tutte) della città riescono a esprimere in termini di cultura e organizzazione degli eventi stessi.
Quest'anno alcune piazze del centro storico cittadino saranno di fatto autogestite da associazioni che organizzeranno eventi tematici, dando inevitabilmente un'impronta identitaria al luogo e alla socialità che in esso vi si creerà. E' il caso, ad esempio, della ri-scoperta Piazza San Basilio, che esprimerà arte per lo più street, come writing contest e musica hip hop. Oppure del "nuovo" spazio antistante l'Auditorium del Parco del Castello, dove con la "Perdonanza nel Parco" arriveranno band indie di livello nazionale e anche un inedito silent party.
Isole sonore che rimembrano, in qualche modo, l'Isola Sonante protagonista della Perdonanza Celestiniana negli anni '80 e '90. Gli over 35 sicuramente la ricorderanno: piazze, vie e persino cortili privati dei palazzi del centro si riempivano di note, musica e persone. Certo, il rap era già emerso ma, ad esempio, non c'erano smartphone a immortalare ogni momento di convivialità e, soprattutto, il centro storico dell'Aquila era il cuore pulsante di una tranquilla cittadina di provincia che non aveva (per fortuna) ancora conosciuto il terrore di un terremoto e le difficoltà di un post-terremoto. Ad ogni modo, ci sono analogie e differenze tra la Perdonanza che inizierà domani e l'esperienza dell'Isola Sonante.
Anche per questo vi vogliamo raccontare le sensazioni della Perdonanza di ieri e di quella di oggi, attraverso gli occhi di due aquilani di generazioni diverse, e che hanno circa venti anni di differenza tra loro: Ford Prefect e Keso. Per chi legge NewsTown, Ford Prefect è l'autore della rubrica Praticamente Innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma. Descrizioni emotive quanto sarcastiche dei luoghi del capoluogo abruzzese, attraverso le parole di una penna raffinata. Keso, classe 1990, è uno dei fondatori della Zona Rossa Krew, band hip hop nata dopo il terremoto. Ha seguito per NewsTown il Festival di Sanremo, commentandolo in modo originale, come solo un ventenne può fare.
Buona lettura. (m. fo.)
L'Isola Sonante - di Ford Prefect
Lo sentivi nell'aria dalla mattina. Insieme a quell'ultimo caldo dell'estate aquilana che solo con il sole già alto riusciva ad avere ragione dei primi rigori notturni, per poi cedere di nuovo il passo alle prime brezze serali che cominciavano a battere i vicoli nell'ultima decade di agosto. Era come un brusìo, uno strisciante susseguirsi di voci al lavoro, poi un cadere di assi e tubi Innocenti, un transitare di camioncini stracolmi. E poi battere di martelli, tirare di cavi, solo alla fine picchiettare nei microfoni.
La giornata dell'Isola Sonante cominciava presto, con la città che si preparava alla kermesse come un'elegante padrona di casa che fa lustrare l'argenteria per la cena di gala del suo compleanno. Apriva i salotti buoni, la padrona di casa. Da piazze e piazzette, ma anche dai cortili di palazzi istituzionali e privati, sin dal mattino era un lavorìo incessante di squadre intente a montare palchi e impianti.
Lo sentivi nell'aria, ma non era solo rumore. In quelle giornate di agosto, quasi sempre benedette dal bel tempo, la città sembrava incantata, come sospesa un attimo prima di sbocciare in quella serata un po' magica. Sentivi il suo respiro, lo sentivi girare l'angolo dei vicoli, uscire dai portoni, gonfiare le tende dietro le finestre socchiuse del centro.
Erano gli anni delle vacche grasse, quelli grazie ai quali stiamo come stiamo. Corruzione e mala gestio imperversavano per lo stivale, e L'Aquila e la Perdonanza non si risparmiarono la loro parte di fango. Ma come diceva uno che la sapeva lunga, dal letame nascono i fior. I fior, nella fattispecie, si concretizzarono dalle nostre parti in uno degli eventi più particolari e accattivanti della storia recente della città, ossia la serata dell'Isola Sonante, durante la quale l'intero Centro storico si trasformava in un enorme, confuso, dispersivo e magico calderone sonico, riscaldato dalle piazze più grandi agli angoli più misconosciuti e segreti dai suoni di mille musiche, di mille gusti, mille origini, mille qualità.
Eh già, perchè non è un mistero che la pianificazione non è proprio il nostro tratto dominante, e che questa caratteristica resiste con pervicacia all'alternarsi dei diversi vessilli nei luoghi istituzionali. Con buona pace degli ottimi propositi degli allora organizzatori, che tentarono di dare dei fili conduttori alle edizioni della Perdonanza degli anni Ottanta e Novanta, le linee guida si fermavano fondamentalmente alle attività di convegni e mostre, lambendo con un po' di fantasia qualche evento musicale principale.
Ma l'Isola Sonante no. L'Isola Sonante era l'equivalente musicale del “tutti contro tutti” calcistico, ognuno per sé e Dio per tutti. E così, lungi da avere un genere di riferimento per l'intera manifestazione, non c'era neanche una programmazione per aree geografiche. Magari il tale palco poteva essere riservato tutta la sera al jazz, ma bastava girare l'angolo per trovare il coro alpino, la banda della Finanza o lo show-cerimonia sciamanica di sedicenti Apache.
Ho un vividissimo ricordo di una delle primissime edizioni. Davanti ai Gesuiti imperversava un rock blues tremendamente sanguigno, le chitarre latravano bending spaccadita e la batteria sembrava tenere il conto alla rovescia per la fine del mondo.
Oltrepassavi sulla sinistra il palco dell'Armageddon, facevi pochi passi transitando davanti al Tropical e nel vicoletto che risuonava delle trombe di Gerico e sembrava pulsare la ritmo del basso si apriva lo scorcio dickensiano di un ragazzo elegantissimo, con una complessa acconciatura di ricci, che apparentemente si esibiva come mimo. In effetti, avvicinandoti, ti accorgevi che il poveretto, dotato di chitarra classica non amplificata, la stava effettivamente suonando con convinzione e rabbia, consapevole che non una singola nota arrivava agli astanti. Era una scena di tale ingiustizia e tristezza che lo avrei abbracciato. Se mi leggi, sappi che ti ho sempre portato nel cuore.
Ma se questa inesistente tematicità poteva essere un limite, era anche affascinantissima. Non sapevi cosa aspettarti, letteralmente. Anche perchè, sempre nel solco della migliore tradizione, il programma veniva normalmente rilasciato poche ore prima dell'inizio.
Sottolineo rilasciato, e non pubblicato, termine che sottintende l'esplicita volontà di dare notizia. Il fogliettino con luoghi e orari dei vari concerti veniva diffuso secondo modalità brigadistiche, pochissime copie in posti casuali, spesso elargite brevi manu in stile volantinaggio sotto i portici da zelanti privati cittadini che ne erano entrati in possesso perchè il figlio del vicino di casa lavorava in Comune.
Una volta preso possesso, o almeno visione, del complesso programma della serata, che comunque manteneva un suo alone di imprevedibilità (sòle su sòle si sono susseguite negli anni a causa di spettacoli annunciati e che poi non hanno avuto luogo o hanno avuto luogo altrove da quanto indicato) ci si trovava davanti al difficilissimo momento della scelta della strategia per la serata.
Tutto, infatti, era raggruppato in due turni principali. Il primo aveva luogo attorno all'ora di cena e si ipotizzava diretto maggiormente alle famiglie e ad un pubblico maturo (bande, cori, pop per tutti i gusti, revaivalone anni sessanta), il secondo iniziava un paio d'ore dopo e occhieggiava ad un pubblico più giovane (rock, musicaccia televisiva di scuola Cecchetto, discoteca che al tempo non si chiamava ancora dj set e non veniva minimamente confusa col concetto di “suonare”).
Questo (con molte licenze e intrecciamenti orari) accadeva per lo più nelle piazze; nei cortili, invece, la musica che noi ignoranti definiamo classica e che chi la sa più lunga distingue in generi e sottogeneri (ma sempre classica è) la faceva da padrona incontrastata per tutta la sera.
Stiamo parlando di decine di eventi, che si sarebbero consumati in quattro ore circa. Come organizzarsi? Compagnie, coppie e famiglie si sono distrutte sugli scogli perigliosi di questo passaggio.
C'era chi, come l'asino di Buridano, andava in tilt, perdeva l'inizio di tutto, si faceva piangendo un'ora di fila al Florida per prendere un cono da mille e alla fine si spiaggiava depresso davanti alla banda dei Carabinieri, maledicendo la sua indecisione mentre la folla in tripudio batteva le mani a tempo sulla Marcia di Radetzky.
C'era poi chi, organizzatissimo, arrivava in scarponcini da trekking, decideva in tre minuti di ballare il liscio una mezz'ora a Santa Maria Paganica, poi farsi un po' di blues e una birra a San Biagio, correre poi per la cover band degli Anthrax a San Pietro e chiudere col Gioca Jouer alla Prefettura, e finiva a farsi dieci chilometri di buon passo dando un'occhiata ai vari palchi per pochi minuti da dietro la selva di teste, cogliendo sì e no qualche nota.
Poi c'erano gli stanziali, e tra loro le Vecchie con La Sedia, quelle che al cinema all'aperto che comincia alle dieci arrivano alle quattro e un quarto e si piazzano sotto lo schermo con la seggiola portata da casa. Questa categoria sceglieva un palco già dal primo pomeriggio, non degnava di uno sguardo il programma e si piazzava sulla prima sedia che veniva posata (oppure, nel caso delle Vecchie, se la portava da casa). E quindi non era infrequente vedere queste anziane donne, spesso vestite a lutto, osservare da presso un concerto di black metal, con nello sguardo un misto di incomprensione e disprezzo ma anche consapevolezza del proprio diritto ad assistere “gratis” a qualsiasi cosa.
Io, come molti, me ne andavo a zonzo. Mi perdevo quasi tutto, ma mi lasciavo accarezzare dagli archi nei cortili che si aprivano per l'occasione, o seppellire dal muro sonoro dei rockettari normalmente relegati nelle piazze più lontane. Respiravo la città nel suo momento più bello, e tanto mi bastava. Poi aspettavo lo sciamare della gente verso le automobili, mi facevo un'ultima birra in compagnia e me ne tornavo a casa a piedi. Lo scorrere dell'acqua dalla fontanella dell'Annunziata faceva il controcanto al rumore dei tecnici e degli operai che smontavano le loro effimere cattedrali.
Gli invitati se ne erano andati, la padrona di casa davanti allo specchio si toglieva il trucco e si preparava alla notte.
La festa era finita.
Io aspetto la prossima.
Non sarà la solita Perdonanza (per fortuna) - di Andrea Keso Marchetti
Dopo la notizia dei fondi mancanti all'ultimo minuto per la ricorrenza più importante dell'anno, molti si sono chiesti se la 720esima edizione della Perdonanza Celestiniana sarebbe stata su misura per tutti.
Clamorosamente, nonostante tutti i fattori avversi, quest'anno possiamo dire di non avere il solito polpettone trito e ritrito che vedeva partecipe la discotecata all'aperto con la hit commerciale di turno sparata a tutto volume fino all'esasperazione, i "big" in piazza che accontentavano solo gli over 40 con bambini accompagnati e l'immortale Fiorella Mannoia (con rispetto parlando, perchè ha partecipato a più edizioni del sottoscritto).
Quest'anno la Perdonanza - stando ai programmi presentati - si preannuncia un mix scoppiettante adatto veramente a tutti con line up che rilanciano veramente la nostra città, e non solo che promettono di farlo.
Oltre ai vari ospiti in piazza, e qualche sporadica sorpresa qua e là, voglio menzionare il programma presentato per quel che riguarda l'area di Piazza San Basilio che - oltre a fondersi molto bene con le scelte proposte dal panorama circostante - riesce a regalare una varietà strutturata. E' l'unico luogo dove potremmo vedere i talenti locali (eccetto Simona Molinari) come la Zona Rossa Krew, , Devon, i ragazzi di Zero Gravity, il Dabadub Sound System, Stabber, etc. e dove si potrà godere di un sound variegato che andrà dal jazz alla bass music, dal rap al funky, dalla deep house alla breackbeat.
Sabato ci sarà una giornata all'insegna del'hip-hop. Writing, danza e rap si alterneranno dalla mattina alla sera e avranno spazio nei giorni successivi in altre location cittadine. Attraversando la tipica settimana celestiniana, si arriverà al 29 agosto, che vedrà la finale dell'AQ Music Festival, un'iniziativa promossa dall'etichetta aquilana Jamrock Records, che premierà con la produzione di un disco il migliore tra i gruppi in gara. Lo stesso giorno ci sarà anche sound elettronico di Stabber (aquilano che, grazie al suo talento, è riuscito ad entrare nel roster dell'etichetta discografica dei Crookers).
Il romano Coez, rapper in ascesa nella scena italiana, insieme ai bresciani Fratelli Quintale, apriranno le danze la prima sera. Ci saranno anche i Men in skretch e dj Beez con la crew pescarese Yodo. Insomma, che la Perdonanza del parcheggio selvaggio abbia inizio. Finalmente.
Ps.: doverosa pacca sulla spalla a tutti i fan di Fiorella Mannoia, che quest'anno non potranno bearsi dell'esibizione della loro beniamina