Lunedì, 24 Novembre 2014 15:53

“Noi no” Un tifoso del Savona racconta i retroscena dello striscione che ha commosso L’Aquila

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E' arrivato dritto al cuore degli sportivi aquilani lo striscione srotolato domenica dai tifosi del Savona. Due città lontane che anche calcisticamente finora non si conoscevano, eppure capaci di provare solidarietà se non addirittura empatia, oltre quello che ci si può aspettare.

Miracoli del calcio, miracoli di un'Italia che forse non c'è quasi più, sbiadita dai diritti televisivi e dalla tessera del tifoso.

Il gesto dei tifosi bianco blu è stato apprezzato moltissimo dagli aquilani prima di tutto perché il pubblico locale semplicemente non se l'aspettava (l'anno scorso un precedente ci fu con i tifosi Pisani). Dopo più di cinque anni dal terremoto del 6/4 gli aquilani sono piuttosto abituati a lottare contro muri di gomma, a soffrire, quando non a disperarsi. Spesso da soli, spesso contro sé stessi.

Invece all'improvviso è arrivata la solidarietà, schietta e gratuita proveniente da un'altra città di provincia situata a più di 600Km di distanza, con quel messaggio così forte e limpido come il cielo della domenica mattina, capace di filtrare nell'anima squarciata dei cittadini del capoluogo .

E' interessante allora conoscere il retroscena di quel gesto, il punto di vista e lo sguardo per niente banale di chi arrivando da lontano, in poco tempo, è stato in grado di capire molto, dimostrando una forte sensibilità. Non a caso anche nel territorio di Savona si sono verificate nelle utime settimane pesanti alluvioni. 

Sul sito Savonaclub.it un tifoso ha raccontato con le parole che riportiamo qui sotto la giornata prima di entrare allo stadio. Eccole:

"Ieri questo striscione ha scatenato un uragano di applausi da parte dello stadio ed è stato immediatamente ripreso da tutti gli organi di informazione locali, con commenti che hanno lasciato stupefatti persino i suoi ideatori. Perché questo gesto di solidarietà ha avuto tanta risonanza? Per un motivo temporale e uno morale.

Non ci vuole molto per capire di essere arrivati a destinazione: dall'autostrada si vede in lontananza una foresta di gru da edilizia, con una densità e in un numero tali da renderle indistinguibili.

Per gli Europei il centro storico rappresenta l'essenza stessa della città, non per niente in tutto il Vecchio Continente le principali manifestazioni vengono organizzate in quello che viene considerato il cuore della località. Anche gli stadi venivano costruiti nelle vicinanze del centro e solo in epoche più recenti, per far fronte ad esigenze di mobilità, accessibilità e anche sicurezza, si è cominciato a spostarli in zone più periferiche o meno densamente popolate. A L'Aquila lo stadio risale agli inizi degli anni '30, per cui è normale che sia posizionato a ridosso della città vecchia, in attesa del nuovo che dovrebbe essere terminato il prossimo anno.

Al "Fattori" i tifosi savonesi si sono presentati al termine di una settimana non semplice per quelli locali: la sentenza della Corte d'Appello sulla Commissione Grandi Rischi (tutti assolti gli imputati) non è stata accolta favorevolmente dalla popolazione aquilana, che proprio per ieri pomeriggio aveva indetto una manifestazione di protesta. Ma da queste parti nessuno sapeva che nel comitato organizzatore c'erano anche i tifosi organizzati del capoluogo abruzzese, così come nessuno aveva idea di quello che avrebbe visto al termine del lungo viaggio di trasferimento da Savona.

Descrivere lo scenario che si presenta agli occhi del visitatore nel centro storico de L'Aquila non è per nulla semplice: anche se ormai sono passati 5 anni dal sisma, la devastazione è ancora agghiacciante. I palazzi risanati spiccano come fiori in una landa desolata, si capisce che sono stati ultimati da poco se non da pochissimo e guardandosi intorno si comprende il tempo che richiederà la conclusione dell'opera.

Favorita dalla giornata festiva la desolazione è totale, assoluta: girando per strade e piazze non si scorgono segni di vita, a parte qualche fugace esercizio commerciale (per lo più bar o ristoranti) che riesce a radunare intorno a sé un rado capannello di persone. Per il resto, il nulla più assoluto. Una città fantasma in cui il senso di disagio aumenta quando, ma ci vuole un po' per capirlo, ci si rende conto che mancano le quintessenze della vita stessa: ad esempio, non si vedono panni stesi; non si sentono radio o televisori accesi; lo sguardo non incontra una pianta, un vaso di fiori, un uccello, un gatto. Cani sì, rigorosamente randagi ma non pericolosi: fanno branco ma non si sottraggono alla carezza, anzi la sollecitano con l'atteggiamento e nessuno gliela rifiuta nonostante (o forse proprio a causa) la sporcizia e le menomazioni; nei loro occhi si legge la mestizia di una vita grama, ma indissolubilmente legata a quei luoghi spettrali nei quali si aggirano.

Durante una guerra spettacoli del genere sono purtroppo all'ordine del giorno e nessuno ci fa particolare caso, ma nel 2015 saranno 70 anni che l'Italia non vede un conflitto sul proprio territorio, quindi a varcare il confine fra la città nuova e quella vecchia è come essere catapultati all'indietro di parecchie decine di anni. I palazzi, a parte i pochi risanati, sono tutti tenuti assieme da travi e putrelle di ferro che fanno sì che non si sbriciolino uno dopo l'altro.

All'interno degli appartamenti non esistono più porte, finestre e persiane, perché i tiranti attraversano le case da un lato all'altro per dare la necessaria stabilità ai rinforzi esterni. E poi le chiese a cui mancano tutte le parti alte, quindi più deboli: tetti e tratti terminali di campanili, sostituiti da impalcature in ferro sotto cui si vede la faticosa opera di ricostruzione; la pavimentazione sbrecciata, spaccata dalle scosse; il tendone bianco del posto primo soccorso ancora lì, a 5 anni di distanza, in piazza Duomo. Ovunque crepe, steccati, cantieri.

Associando queste immagini a quelle delle fotografie che sono state appese lungo il corso principale e che ritraggono persone avvolte in coperte in mezzo alle macerie a disastro appena avvenuto, ci si rende conto di come la forza della natura possa sconvolgere la vita degli esseri umani nel giro di qualche istante; il dolore interiore che deve provare chi passa e vede i luoghi nei quali abitava o lavorava che adesso sono ancora lì, ma vuoti e devastati. Ricollegandosi a quanto successo recentemente dalle nostre parti, non si può non pensare che chi ha la fortuna di vivere in una zona non sismica dovrebbe rispettare l'ambiente circostante e non violentarlo per esigenze speculative.

Più di ogni parola sulla caducità delle ricchezze terrene, sulla provvisorietà delle opere umane, sul legame fra uomo e natura, gli scritti filosofici, le conferenze degli scienziati, le omelie papali... per capire il vero senso di tutto ciò, sarebbe necessaria una visita a L'Aquila: la scolaresca che abbiamo incrociato nel nostro peregrinare fra i vicoli (complimenti agli insegnanti che hanno organizzato la gita) era la più seria che ci sia mai capitato di vedere, colpita nel profondo nonostante la giovane età.

"Perché non hai fatto delle foto?" è stata la domanda. "Non me la sono sentita" l'unica risposta possibile.

 

Ultima modifica il Lunedì, 24 Novembre 2014 17:28

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