Terza e ultima puntata con il racconto di Ford Prefect sull'incidente di Vermicino. Le ultime ore di Alfredo Rampi, il bambino caduto nel pozzo a Vermicino, sono seguite da milioni di persone sui canali Rai, a rete unificate. L'Italia tiene il fiato sospeso fino alla fine. Interviene addirittura il presidente Pertini che parla al bambino tramite la sonda microfonata (nella foto). [Qui la prima e la seconda puntata]
La notte sorprende l'Italia ancora incollata allo schermo. Dai lussuosi Saba a colori a otto canali o dai Telefunken grigi in bianco e nero con le antenne regolabili a mano e i manipoloni per la sintonia le immagini continuano a fluire nei tinelli della penisola, dove sessanta milioni di neo-esperti di salvataggi elaborano le loro strategie.
I bambini non vogliono andare a dormire, molti non prenderanno sonno un po' per l'eccitazione per l'evento ma soprattutto per l'ansia mista a compassione ed empatia col piccolo Alfredo.
Le notizie non sono buone per ora, ma i genitori mentono ai loro cuccioli sussurrando parole di speranza. E in cuor loro ringraziano il cielo di poter passare quelle ore davanti ad un tubo catodico e non, come Ferdinando e Francesca, fissando disperati una crepa per terra che ha inghiottito loro figlio.
12 Giugno 1981 - ore 07:30
Come una favola ben scritta, qualcosa sembra migliorare quando la luce cancella le ombre della notte dal campo di Vermicino.
La trivella, che ha ripreso a scavare, è arrivata a fatica a quota meno venticinque metri, poi verso le nove trova finalmente terreno morbido ed accelera. Intanto un ingegnere dei Vigili del Fuoco ricalcola la posizione di Alfredino, che secondo lui non si trova a meno trentasei metri ma a meno trentadue e mezzo. Poco dopo le dieci il pozzo parallelo è già profondo più di trenta metri.
Alfredino piange, terrorizzato dai rumori dello scavo e ormai stremato dalla stanchezza, ma gli animi dei soccorritori si rincuorano, ormai sembra mancare davvero poco. Si passa quindi ad aprire il tunnel di collegamento tra i pozzi, e quando l'apposita perforatrice a pressione si blocca tre vigili continuano a scavare a mano senza sosta. E' una corsa contro il tempo, perché il respiro di Alfredino è sempre più debole, ma sembra che i Nostri stiano per spuntare da dietro la collina sui loro cavalli bianchi. Tutta l'Italia scava a mani nude quegli ultimi metri di terra.
Il telefono squilla più volte nella redazione del Tg1, finché qualcuno non solleva la cornetta.
- Sì.
- Direttore buongiorno, sono Maccanico.
- Segretario ben risentita, a cosa devo il piacere?
- Sto seguendo il servizio da Vermicino. Che tragedia...
- Sì, siamo in diretta da ieri. Il palinsesto è completamente saltato, ma cominceremo a regolarizzare i servizi dal pomeriggio.
- Bene, sì... Per quanto, Direttore, la inviterei a non interrompere proprio ora che sembra che le cose stiano mettendosi al meglio.
- Beh, sì ma...
- Il Presidente è in viaggio verso Vermicino, Direttore. La saluto.
La mano indugia un attimo con la cornetta sospesa a mezz'aria, poi schiaccia il pulsante per riavere la linea e digita il numero di un interno.
- Sono Fede. Chiamate la troupe dell'esterna e dite che continuiamo il collegamento ad oltranza. Sta arrivando Pertini.
12 Giugno 1981 - ore 16:30
Il presidente Sandro Pertini gode di un consenso enorme tra la popolazione. E' indubbiamente un gigante della politica italiana di quegli anni, l'unico in grado di gettare un ponte tra la gente di strada, che lo adora, e le stanze dei palazzi della politica.
Quando arriva a Vermicino, tutta la Nazione sembra davvero stringersi con lui attorno a quel bambino. Pertini gli parla tramite la sonda microfonata, tra noi bambini al tempo si diffuse la leggenda che abbiano cantato insieme la sigla di Ufo Robot, per quanto poco plausibile mi sembri oggi la cosa.
Il grande piano mediatico sembra all’apice del climax, Alfredino sembra a un passo e il Nonno nazionale è lì a tendergli la mano. Quando, alle sette della sera, cade l'ultimo diaframma del cunicolo di raccordo che unisce i due pozzi, sembra fatta.
Ma Bernabei, richiamato da Pastorelli, si affaccia dal pertugio nel pozzo artesiano e Alfredino non c'è. Lo speleologo cala allora una torcia appesa ad un cavo per localizzare il piccolo. La luce scende, inghiottita dal buio della terra, finché non trova Alfredino.
Trenta metri più in basso. Probabilmente per le vibrazioni delle trivelle, il piccolo è scivolato dove ormai solo un miracolo può permettere ai soccorritori di raggiungerlo in tempo utile.
L'Italia, in un silenzio di tomba, capisce forse adesso che questa è la fine della storia.
Nelle stanze chiuse di palazzi lontani si cominciano a tirare le somme. E' andata male, la grande vittoria dello Stato non verrà celebrata. Però. Però, a conti fatti, l'effetto è stato ottenuto. Quando, la sera di Venerdì 12, il Primo Canale interrompe la diretta per trasmettere una tribuna elettorale con Pietro Longo, i centralini della RAI quasi esplodono per le proteste.
Non c'è il lieto fine, indubbiamente, ma in fondo serviva?
Gli italiani per qualche giorno se ne fregano di logge massoniche e diatribe politiche. Se c'è un momento, nella storia della comunicazione italiana, in cui nasce il concetto di distrazione di massa, è questo. Si spengono le luci nei palazzi, si può andare a casa. Il resto, succedesse pure.
Notte tra il 12 e il 13 Giugno 1981
Alcuni angeli volano, altri scendono sottoterra. Ne mancano ancora tre all'appello, e sono quelli che legano il loro nome all'ultimo, disperato tentativo di salvare il piccolo Alfredo.
Il primo è Claudio Aprile, che tenta di scendere nel pozzo artesiano dal cunicolo di collegamento ma deve desistere perché non riesce a passarci.
Poi è la volta di Angelo Licheri, un minuscolo facchino di origine sarda, che riesce addirittura a raggiungere il bambino.
Ma nel tentativo di imbracarlo nel ristretto spazio a disposizione le fettucce utilizzate si slacciano più volte e alla fine Licheri, per impedire ad Alfredino che sta scivolando di scomparire ancora più in basso, lo afferra per un polso spezzandoglielo senza riuscire a trattenerlo.
Quando esce, è una maschera di dolore e angoscia. E' straziato di ferite, perché attraversare il pozzo appena perforato è come buttarsi correndo tra i rovi. Ma sembra non sentire il dolore fisico, né la stanchezza per quei tre quarti d'ora a testa in giù. Nei suoi occhi la disperazione assoluta, la totale assenza di luce. Portato a braccia dai soccorsi, sembra una Pietà Rondanini postmoderna, squassata dall'assurdità del dolore insensato che ha visto in quel pozzo. Un pozzo da cui una parte del suo cuore non uscirà mai più.
Per ultimo, verso le cinque del mattino, viene fatto scendere lo speleologo Donato Caruso. Anche lui riesce ad arrivare al bambino, prova a imbracarlo con le fettucce come Licheri e, non riuscendoci, tenta addirittura di legarlo a sé con delle manette, mettendo ad ulteriore rischio la sua vita, perché a quel punto un qualsiasi altro inconveniente l'avrebbe bloccato laggiù.
Tuttavia c'è poco da fare. Caruso risale mestamente e, quando esce, è chiarissimo. Secondo lui Alfredino è morto.
La partecipazione e l'emozione fanno presto a diventare voyerismo, e da lì al processo di piazza la strada è breve. Ormai lo sappiamo, non c'è fatto efferato che riempia le pagine dei giornali o gli schermi delle nostre televisioni su cui, volenti o nolenti, non arriviamo ad elaborare le nostre teorie, come tanti piccoli Poirot improvvisati.
Per settimane, a volte mesi se non anni le voci su presunti colpevoli, fatti tenuti nascosti, testimoni a sorpresa riempiono i giornali e gli schermi dei nostri televisori finché il rumore di fondo diventa talmente assordante da rendere indistinguibili i fatti dalle più fantasiose illazioni.
Vermicino non fa eccezione. Ben presto si fece avanti il partito del complotto.
Perché l'imboccatura del pozzo era stata trovata chiusa? Come mai le imbracature trovate intorno al corpo di Alfredino non erano quelle in dotazione a Licheri e Caruso? Perché il bambino credeva di trovarsi in una stanza buia?
Ce n'era di che far campare Vespa per un paio d'anni, ma per fortuna Porta a Porta ancora non anestetizzava le menti di tanti milioni di Italiani.
A complotto si sommò complotto, e quindi alcuni cominciarono a sostenere che l'ipotesi del dolo nella vicenda di Vermicino veniva fatta circolare ad arte dai Vigili del Fuoco per stornare l'attenzione dalle loro gravissime responsabilità in termini di inadeguatezza e superficialità.
Il mare di fango che si sollevò contribuì a riempire una metà dei palinsesti, mentre l'altra metà era intasata dalla giostra mediatica delle interviste ai protagonisti.
A me sembra ragionevole la conclusione a cui giunse Tullio Bernabei, uno dei soccorritori: "L'imbracatura trovata sul corpo del bambino era il frutto dei nostri tentativi di salvataggio, in particolare quello di Licheri. Purtroppo quella di Vermicino è una storia abbastanza semplice". Ma se dolo non ci fu, ci fu sicuramente un indegno sfruttamento della vicenda per indirizzare l'attenzione generale in una direzione comoda a qualcuno. Una lezione appresa ad arte da chi di dovere, e che oggi si reitera con regolarità e tecnica raffinatissima. E questo, insieme al corpo inerte di un bambino, è quello che ci lascia questa triste storia.
11 Luglio 1981 - pomeriggio
I ventuno minatori hanno smontato l'attrezzatura con cui, dopo sei giorni di lavoro ininterrotto, hanno estratto il corpo di Alfredino dal pozzo, nel quale era stato congelato con l'azoto liquido per evitarne la corruzione.
Con gli occhi lucidi si avviano a riprendere la strada di casa, spegnendo definitivamente i riflettori sul campo di Vermicino.
Un giornalista si avvicina, il microfono in mano, cercando di raccogliere l'ultima stilla di dolore ed eroismo da questa vicenda.
Ma gli uomini neanche si fermano, non dicono una parola e partono, fendendo l'etere saturo delle interviste dei protagonisti della vicenda.
I loro nomi sono Italico Neri, Floriano Matteini, Leonello Lupi, Renato Bianchi, Ledo Mancini, Sirio Mengozzi, Giovanni Anedda, Mario Balatresi, Franco Montanari, Lauro Tognoni, Alberto Torresi, Spartaco Stacchini, Rino Paradisi, Silvano Monaci, Alberto Brachini, Renzo Galdi, Mario Zanaboni, Mario Deidda, Aldo Tommasselli, Pellegrino Falconi e Torello Martinozzi.
Titoli di coda
Qualche mese dopo i fatti la madre di Alfredino, che ha fondato il "Centro Alfredo Rampi" che si occuperò di formazione alla prevenzione e di educazione al rischio ambientale, incontra Pertini. Il Presidente, anche in seguito a questo colloquio, decide di spendersi per la costituzione della Protezione Civile, che nasce di lì a poco come apposito Ministero con a capo Giuseppe Zamberletti.
Elveno Pastorelli ne diventa il primo direttore generale. Tredici anni più tardi, la tessera numero 1816 della loggia massonica P2, di cui evidentemente la gente di strada poco ricorda, diventa Presidente del Consiglio.