Venerdì, 12 Giugno 2015 16:37

Vermicino: 34 anni dopo, il racconto di Ford Prefect in ricordo di Alfredino

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Il 10 giugno del 1981, e nei giorni succesivi, l’Italia intera restò sveglia per assistere alla sorte di Alfredo Rampi, il bambino caduto in un pozzo a Vermicino, una piccola frazione di campagna vicino Frascati. Ford Prefect ci fa ripercorrere quelle ore nel Bel Paese di inizio anni Ottanta, teso tra logge piduiste ed una ansimante, crescente pressione mediatica sulla vicenda, che rimarrà alla storia come una delle pagine più tristi dell’informazione italiana. [Prossimamente le altre puntate]

"I ventuno minatori smontano in silenzio le attrezzature che sono state strumento del loro ingrato compito nell'ultima settimana. Divisi in tre gruppi, come altrettante squadre di moderni sette nani, gli uomini del buio hanno passato sei giorni nel ventre della terra, sotto quel campo della campagna laziale, impegnati in una strenua quanto paradossale lotta contro il tempo.

Perché non c'era un compagno da salvare o una galleria da mettere in sicurezza. Fare il prima possibile era solo un loro impegno personale, una promessa silenziosa fatta a se stessi e a quella famiglia straziata da un dolore disumano. La promessa di mettere al più presto la parola fine a quell'orrore. Perché la terra potesse chiudersi di nuovo e seppellire nel suo oblio nero l'oscenità di quei giorni d'estate.

10 Giugno 1981 - ore 19:00

L'estate arriva presto nella campagna romana, e le giornate si allungano verso tramonti infiniti. Ferdinando Rampi, quarantunenne dipendente dell'azienda comunale per l'acqua e l'elettricità, in vacanza con la famiglia presso la sua seconda casa di contrada Finocchio in via di Vermicino, esce a fare due passi con un paio di amici e il figlio Alfredo, di sei anni. La serata di Giugno è dolce e l'aria di campagna invoglia ai giochi nei campi, per cui quando il piccolo chiede di poter finire la passeggiata da solo il padre non obietta. Sono le sette e venti e Alfredino dovrà essere a casa per cena.

Ferdinando termina il suo giro e saluta gli amici. Sono quasi le otto e il Tg sta per cominciare. Già si sa quale sarà il piatto forte: da venti giorni i telegiornali non parlano d'altro che dei nomi trovati sulla lista di Gelli, quella dei 962 iscritti alla loggia P2. Un bel casino, perché si tratta di pezzi grossi, tra cui due ministri e cinque sottosegretari in carica, oltre a generali, vertici dei servizi, imprenditori, personaggi televisivi. Il Presidente del Consiglio, Forlani, l'ha resa pubblica il 21 Maggio, e da allora è tutto un rincorrersi di voci, supposizioni, collegamenti.

Quando Rampi rientra, Alfredino non è ancora a casa. Un filo di preoccupazione monta per la spina dorsale. Francesca, sua moglie, si spaventa. Ma Vermicino è un paesone, un ibrido di campagna e città nel quale i bambini girano bradi perdendo la nozione del tempo dietro ai loro giochi. Certo, ci sarà da fare una ramanzina al piccolo quando rientrerà a casa.

La casa si anima delle attività della sera, mentre la tivvù parla ancora della lista. Le notizie dallo schermo distraggono i Rampi per qualche minuto, e intanto il tramonto lascia gli ultimi tocchi di colore in cielo mentre le ombre si allungano sui campi. Di Alfredino neanche l'ombra.

Ormai è quasi buio e l'ansia in casa è palpabile. Tutta la famiglia si sparge nei dintorni chiamando il nome del bambino, senza ricevere risposta. Quando i Rampi si rincontrano, le voci sono incrinate dal pianto. La nonna Veja ha un sospetto, ma può solo sussurrarlo a mezza bocca tanto è agghiacciante il solo pensiero. Purtroppo di lì a poco si saprà che aveva ragione lei. Alle nove e mezza Ferdinando chiama i soccorsi.

All'inizio degli anni Ottanta l'Italia è un Paese spaccato da una lunghissima stagione di sangue che ha colpito nell'intimo chiunque, ovviamente con risultati spesso antitetici. Tra amici del padrone e proletari, tra democristiani e comunisti, tra filoatlantici e filovarsaviani non corre certo buon sangue, e la nostra storia recente (e ancora poco digerita) è costellata di testimonianze di questa profonda dicotomia.

Tuttavia questa strana Nazione era anche allora capace di slanci sinceri di solidarietà unitaria, puntualmente riproposti ogni volta che un fiume esondava, che un terremoto colpiva una regione, che la vita di un bambino era messa a repentaglio. Si era, va detto, lontanissimi da un sistema veramente professionale di reazione alla calamità e all'emergenza, e a Vermicino questa lacuna fu tra i protagonisti principali di quanto accadde.

Una serie di attori, i più animati dalle migliori intenzioni, altri semplicemente compiaciuti di trovarsi al centro dell'azione, altri ancora mossi da freddo e spietato calcolo, dopo aver intuito i risvolti mediatici della situazione, si succedettero su quello strano palcoscenico a cielo aperto. I primi di loro arrivarono quasi subito.

10 Giugno 1981 - ore 21:40

Con un iniziale miracolo di efficienza, in dieci minuti sono tutti lì, Vigili del Fuoco, Polizia e Vigili Urbani. Gli abitanti del posto, attratti dai lampeggianti come falene, scendono in strada per ingannare la serata curiosando. Quando si capisce che è scomparso un bambino, tutti si mettono a cercare insieme, forze dell'ordine con semplici cittadini, in un guazzabuglio di ruoli ufficiali e spontaneismo che marcherà buona parte della vicenda.
Sopraggiungono le unità cinofile che si disperdono per i campi. Presumibilmente, i più pensano ad un rapimento.

Ma nonna Veja no. Che sia stato un semplice collegamento logico o un magico sesto senso ispirato dal legame di sangue, la donna ha capito che la chiave del mistero è il pozzo artesiano che è stato da poco scavato lì vicino, presso un'abitazione appena edificata.

Pozzo artesiano. Abbiamo imparato in quei giorni, noi bambini, cosa fosse un pozzo artesiano. "Un pozzo naturalmente effluente" recita (oggi) Wikipedia, dal quale l'acqua risale senza bisogno di pompaggio. Poco più di una crepa nella terra, larga niente e profonda all'infinito, un imbuto verso l'inferno.

Il pozzo viene raggiunto, ma è chiuso da una lamiera saldamente tenuta a terra da sassi, quindi i soccorritori vanno oltre. Ma quando il brigadiere Giorgio Serranti, che partecipa alla battuta, ne viene a conoscere l'esistenza, pretende che venga aperto. I più sono scettici, perché l'imboccatura sembra sigillata da tempo. Quando poi la lamiera viene sollevata anche i dubbi residui sembrano sparire, perché l'apertura è microscopica e nessuno, neanche un bambino di sei anni, può essere passato di lì.

Ma Serranti è irremovibile e pretende di ispezionare personalmente l'interno, ficcandoci dentro a fatica la testa. E mentre sta lì, come uno struzzo in divisa fuggito da qualche circo di periferia, gli altri soccorritori fanno silenzio e dal fondo del pozzo, dalla pancia della terra, arriva debole ma chiarissimo il lamento di un bambino.

Da Betlemme in poi, i primi che arrivano sono sempre i più semplici. Poi sopraggiungono gli altri, quelli importanti, con oro, incenso e mirra o con i doppiopetti e gli occhiali scuri. Vermicino non fa eccezione. La parola corre di bocca in bocca, l'amico chiama l'amico e comincia la processione dei volontari, che arrivano solo per dare una mano come possono.

Dorme lontano e distratto l'occhio catodico, i doppiopetti riposano negli armadi di attici assopiti nel cuore della Capitale. Gli occhiali scuri languono, in attesa della luce del giorno. Ci fosse la cometa anche su questo strano presepe, illuminerebbe l'andirivieni di gente alla buona che cerca di dare aiuto. I magi dormono ancora tra le calde coltri dei loro letti.

10 Giugno 1981 - ore 22:00

I primi soccorritori arrivati si trovano di fronte a un problema apparentemente insolubile. L'imboccatura del pozzo è larga appena 28 centimetri, e pensare che un adulto possa calarsi da lì è assurdo. Partono comunque le prime ambasciate per contattare gli speleologi del Soccorso Alpino, ma c'è anche chi chiama l'amico fantino, chi l'ex peso piuma che lavora alla palestra all'angolo, chi addirittura contatta i circhi chiedendo la disponibilità dei nani. Ma intanto non si può aspettare stando con le mani in mano, e allora si decide di calare una tavoletta nel buco, sperando di raggiungere il bambino e che poi questi possa aggrapparcisi per lasciarsi tirare su.

Un piano abbastanza fantasioso, che infatti fallisce miseramente quando la tavoletta si blocca a ventiquattro metri di profondità, circa dodici metri più in alto di dove si trova Alfredino. Qualcuno cerca di tirar fuori l'improvvisato mezzo di soccorso, ma la corda non si muove di un centimetro. I soccorritori si guardano negli occhi smarriti, capiscono di aver aggiunto danno al danno: la tavoletta è incastrata, il pozzo ora è anche bloccato.

L'informazione in quegli anni in Italia seguiva canoni non scritti piuttosto rigidi. La carta stampata era il terreno delle inchieste, degli approfondimenti, il campo di gioco delle grandi firme che discettavano dalle colonne dei rispettivi giornali sui temi caldi del momento. Le televisioni, o meglio i tre canali della televisione di Stato, il cui monopolio non era ancora insidiato dall'informazione televisiva privata, si attenevano a toni da dispaccio d'agenzia, alle tinte sobrie e spesso noiose dell'informazione di servizio, pur covando i germi di quella partigianeria spartitoria che di lì a qualche anno sarebbe esplosa nella grande lottizzazione della Prima Repubblica. Tristi tribune elettorali impastoiate in un politichese impenetrabile costituivano la gran parte dell'approfondimento.

Un protocollo tacitamente accettato serbava il più dignitoso riserbo video su temi scottanti o argomenti tabù. E quindi la cronaca nera era in larga parte resoconto dai tribunali, agli antipodi dall'odierno presidio fisico delle scene del crimine. Non erano usuali le dirette dalla villa del delitto, non si entrava con la telecamera nella tana del lupo. Plastici, manco a parlarne.

Ma tra i mostri che sono scaturiti dalla terra di Vermicino, il Golem mediatico fu il primo a lasciarsi evocare, già nel cuore della notte, per poi svegliare col suo grido di bestia affamata tutta l'Italia alla luce del nuovo giorno.

11 Giugno 1981 - ore 01:00

All'inizio fu solo una telecamera posata ai margini del campo. Quasi l'iniziativa personale di alcuni tecnici della Rai che qualcuno aveva avvisato. Una cosa piuttosto anomala, perché la televisione di Stato non era attrezzata per le dirette in esterna. I tecnici, tra l'altro, cercano anche di dare una mano. Per permettere a genitori e soccorritori di parlare col bambino calano una sonda microfonata nel pozzo fino a trentasei metri di profondità. C'è emozione e si risveglia la speranza tra i presenti quando il piccolo parla nel microfono. Sembra lucido e ancora piuttosto arzillo, evidentemente sta bene, la caduta non deve averlo danneggiato più di tanto.

Forse non ha capito bene dove si trova, nel cuore della terra dentro un cunicolo largo qualche decina di centimetri, incastrato circa cinquanta metri al di sopra del fondo del pozzo. Nel corso delle seguenti ore, dirà: "Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia!". Forse è lì che pensa di essere, e questo, almeno, lo tiene tranquillo per le prime fasi delle operazioni.

Mentre la telecamera Rai sonnecchia in attesa dell'alba, le televisioni locali si mettono in moto. Dato che sembra impossibile calare qualcuno da quell'imboccatura, si cerca qualche macchinario per perforare un pozzo parallelo, scendere all'altezza di Alfredino e poi aprire un cunicolo di collegamento. La richiesta viene diffusa dalle emittenti private.

Il giornalista del Tg2 Pierluigi Pini sente la notizia dalle televisioni locali e mette a disposizione la sua trivella, che arriverà sul luogo delle operazioni alle sei del mattino. Di questa parte del racconto non ho mai capito se mi stupisce di più il fatto che un giornalista della Rai apprenda una notizia del genere da una piccola televisione privata o che lo stesso possegga una trivella. Ma tant'è.

Intanto, alle quattro del mattino, arriva la squadra degli speleologi del Soccorso Alpino. Il caposquadra Tullio Bernabei, ventidue anni, magro come uno scricciolo, si cala per primo in quella fessura minuscola sfidando le leggi della fisica. Scende a fatica fino alla strozzatura che ha bloccato la tavoletta. Ma per magro che sia, Bernabei è un po' più largo di quel pezzo di legno, e si ferma troppo presto. A soli due metri dalla tavoletta. Ci prova ancora, ma alla fine deve lasciarsi tirare su, perché non lo possono lasciare troppo tempo in verticale con la testa in basso. Un altro membro della sua squadra scende dopo di lui, col medesimo esito.

Si capisce che la faccenda andrà per le lunghe, e allora i Vigili cominciano a pompare ossigeno nel pozzo per evitare problemi respiratori ad Alfredino e ai suoi soccorritori".

[segue]

 

Ultima modifica il Venerdì, 12 Giugno 2015 17:57

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