Venerdì, 31 Luglio 2015 17:11

Alla [ri]scoperta del poeta e sceneggiatore aquilano Sabatino Ciuffini. Autoritratti: prima parte

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Di Anna Lucia Bonanni* - "Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo” dice Orazio in un sua celebre Ode. Quel monumento è la sua poesia, grazie alla quale sa che non morirà del tutto, anzi, crescerà rinnovato dalla lode dei posteri.

Quella che in Orazio è una certezza affermata in modo così superbo e solenne, nel nostro Sabatino Ciuffini è una preghiera rivolta con umiltà e discrezione nella struggente lirica Il penultimo desiderio. In questa poesia (proposta nel primo degli articoli di questo percorso di letture dedicate al poeta aquilano) ci chiede infatti un monumento, un simbolo della traccia lasciata nella nostra memoria.

Ma per questo è necessario che esca dalla ristretta cerchia di amici ed estimatori che finora l’ha potuto apprezzare. Cominciamo dunque a conoscere questo straordinario poeta e vediamo come lui stesso si rappresenta nei testi che ci restituiscono i suoi “autoritratti”.

Non possiamo che partire da Commatteru, una poesia che evoca già col termine dialettale del titolo l’origine aquilana dell’autore e la sua indole di ragazzino discolo, estremamente vivace, molto portato al gioco.
 

COMMATTERU

Niente altro da segare se non l’erba
pazza, nelle sue terre; niente altro
che sassi. Il sangue lo pompava dal cuore
di castagne e di pannocchie; il coraggio
(perché potesse nel futuro soffiare
sul fumo dei prepotenti)
dal gioco dei briganti e della guerra.
Uscito sano dalle sassaiole,
per caso, e da palle di ferro e da ruote,
sbandierando tra i denti
l’anima come un balocco, Sabatino
settanta volte sette commatteru,
sfida il cielo, incosciente, e se ne vanta.

Questa lirica densa di ricordi e significati, scandisce con rapidi e mirabili tratti le fasi salienti della vita di Sabatino, che ne hanno forgiato l’indole e formato il pensiero.

Si accampa in esordio il paesaggio ruvido (l’erba pazza e i sassi) della sua infanzia contadina (nutrita dal cibo ‘povero’ di castagne e pannocchie), teatro di giochi irruenti, che gli guadagnano l’appellativo, ancora oggi conosciuto dalle sue parti, di ‘commatteru’, "bambino portato molto al gioco".

Il gioco della guerra lascia drammaticamente il posto a quella vera, con i bombardamenti alleati prima e l’occupazione tedesca poi, ai cui bandi di arruolamento Sabatino, allora ventitreenne, sfugge nascondesi anche in una grotta. I sassi dei giochi infantili sono diventati proiettili ben più pericolosi, palle di ferro, mentre le ruote richiamano forse, come in “Uomo del mio tempo” di Quasimodo, gli strumenti di tortura dei feroci occupanti.

Il Sabatino uscito indenne da tutto questo - così come dalle difficoltà terribili del dopoguerra a Roma - ha rafforzato il suo carattere e rinsaldato il suo coraggio. Ora è in grado di “soffiare sul fumo dei prepotenti”, i ‘padroni’ che governano il mondo; ma soprattutto, di lanciare la sua sfida al cielo, rinunciando a qualunque filosofia e mitologia illusoria o consolatoria, a cominciare da quella religiosa.

Che sia anzitutto questo il senso di quella sfida, ce lo conferma la citazione evangelica, quel “settanta volte sette”, la risposta di Cristo alla domanda di Pietro se sia fino a sette volte che bisogna perdonare il fratello: la celebre iperbole qui ripresa assume il valore di un richiamo beffardo a un sistema di pensiero e a una fede che ora non gli appartengono più. C’è stata infatti una fase religiosa nella sua giovinezza, forse anche di pratica di vita, certamente di studi filosofici e teologici, fase che ci è testimoniata in varie poesie, dalla Preghiera che compare nella raccolta “Lettere Romane” (1946-49), ai numerosi riferimenti di volta in volta polemici, sarcastici o sdegnati, di testi successivi.

Ma Ciuffini ha abbandonato la visione offerta dal cristianesimo e chi ne predica i valori senza attuarli, facendone anzi strumento di oppressione. In più, la sfida al cielo rientra nell’atteggiamento mentale di Sabatino che concepisce la vita proprio come provocazione e sfida: “Perché tutto è misterioso e terribile, e solo sfidandolo, attaccandolo, con le nostre idee innanzitutto, possiamo fronteggiarlo in concreto e qualche volta, in parte, dominarlo”.

La forza del pensiero è enorme: ci si può “catturare il mondo intero, perfino/l’indefinito cielo”, dice in un’altra poesia, Un colpo maestro. E’ dunque alla potenza e all’indipendenza del suo pensiero che ora si affida, incosciente, forse, ma orgoglioso della conquistata libertà. E tutto ciò, “sbandierando l’anima tra i denti”, con la consapevolezza cioè di essere un “animale imparentato col cielo”, commistione di bisogni e istinti ferini – i denti – e di spiritualità e razionalità – l’anima; quell’anima esibita come un balocco, un giocattolo, in virtù della sua indole da ‘commatteru’ ora esaltata al più alto grado.

(continua)

aquilana, docente di lettere

** La foto è tratta da un articolo redatto da Sonia Ciuffetelli per Provincia Oggi in occasione della presentazione dell'opera di Ciuffini avvenuta il 12 giugno 1993 alla biblioteca provinciale dell'Aquila. Il poeta è in prima fila con la giacca scura. Si riconosce anche l'avvocato Attilio Cecchini, amico di gioventù del poeta (qui il suo ricordo).


Ultima modifica il Sabato, 08 Agosto 2015 10:57

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