Con questo articolo diamo inizio alla pubblicazione di una serie di approfondimenti, curati dalla docente e studiosa Anna Lucia Bonanni, dedicati alla figura di Sabatino Ciuffini, poeta aquilano morto nel 2003. Alla riscoperta di questa straordinaria figura di uomo e intellettuale, "tanto grande quanto sconosciuto", NewsTown ha già dedicato un articolo uscito lo scorso 21 giugno (disponibile qui).
di Anna Lucia Bonanni* - Dodici anni fa, il 27 luglio 2003, si spegneva all'Aquila Sabatino Ciuffini, straordinaria figura di uomo e di intellettuale, e soprattutto poeta, tanto grande quanto sconosciuto.
Dopo una vita trascorsa a Roma, un singolare destino ha fatto sì che la morte lo trovasse - durante una delle periodiche visite alla famiglia - nella città e nella frazione, Coppito, dove era nato nel 1920 e dalla quale era voluto a suo tempo fuggire, anche per cercare altrove uno sbocco adeguato alle sue aspirazioni.
All'Aquila riposa, sepolto accanto alla moglie Mary, in una tomba commovente nella sua semplicità: una pietra bianca, senza simboli religiosi, né foto, né vasi per deporre fiori. Solo, come volle Beppe Fenoglio, altro scrittore dalla fama postuma (“a me basterà il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano”), accanto al suo nome e alle date, l’unica qualifica che per lui contava: poeta. Sabatino Ciuffini, poeta.
Della sua vita, dai duri anni di immigrato nella Roma del dopoguerra, alla fortunata carriera di sceneggiatore cinematografico, all’amicizia con artisti e intellettuali (Fellini, Rossellini, Lattuada, Flaiano e importanti esponenti della pittura contemporanea) abbiamo dato un primo resoconto nell'articolo che trovate qui, dove è pure brevemente presentata la sua raccolta più importante, il prosimetro Sfregazzi, e due poesie.
Iniziamo con la pubblicazione di oggi una serie di articoli che delineano un percorso di lettura attraverso una selezione di suoi testi, riuniti di volta in volta per blocchi tematici.
Una presentazione della sua opera, pur se di taglio divulgativo, ci pare un necessario primo passo perché possiamo raccogliere, anzitutto come suoi concittadini, la straordinaria eredità morale, intellettuale ed artistica che ci ha lasciato.
E’ veramente sorprendente, potremmo dire con il glottologo Mario Alinei, suo amico ed estimatore, che una poesia di così grande valore come quella di Sabatino Ciuffini sia, a oltre vent’anni dalla pubblicazione, ancora praticamente sconosciuta.
Come spiegarlo?
Forse credeva, con Nietzsche, che alcuni autori nascono postumi; e forse è quello che inconsciamente ha voluto, benché – in maniera apparentemente contraddittoria - l’essere poco conosciuto come poeta fosse uno suo dei suoi crucci più grandi. Ma che tale volesse essere riconosciuto - anche post mortem - è un fatto certo. Ce lo testimonia, con una richiesta inequivocabile, la struggente e bellissima poesia Il penultimo desiderio, una sorta di testamento spirituale e l’unica, tra tutte le sue liriche, in cui Ciuffini si definisce 'poeta'.
Il penultimo desiderio
Quando saprete che Sabatino,
poeta che inutilmente amaste,
fu Sabatino;
al vento alla terra dei vermi,
amici, datelo subito in pasto.
Poi presto da qualche parte,
magari in un vicolo cieco,
fategli vi prego un monumento.
Perché girando e rigirando insieme
col firmamento, nell’angosciosa
altalena di tenebra e luce,
possa in eterno
lo stridìo delle stelle rallegrare
i suoi timpani ottusi.
Ci chiede dunque un monumento Sabatino, una traccia tangibile di memoria. Magari, con la discrezione che ha accompagnato tutta la sua vita, in un vicolo cieco, un luogo appartato.
Il corpo non conta nulla, è materia che riprende il suo eterno ciclo. Cibo per i vermi, come dice l’amato Shakespeare. Ma la memoria dell’uomo conta, eccome. Lo ripete più volte nelle sue prose: “Di ognuno di noi resta (se resta) il racconto: un segno più o meno marcato nella memoria di pochi o di molti.”
“Credere al futuro significa considerarci antichi, e cioè morti, già mentre viviamo. Siamo dunque e saremo solo nella memoria, vale a dire nel discorso della memoria futura.”
Perciò, anche se è difficile stabile un nesso strettamente logico tra il monumento che ci chiede e lo stridìo di stelle che s’immagina possa rallegrarlo per l’eternità, appare evidente che può essere solo il ricordo, di cui il monumento è simbolo, a provocare quello stridìo di stelle.
Uno stridìo, si badi bene; non un suono propriamente dolce, non il tenero pigolìo di stelle di pascoliana memoria, ma un rumore, come di un congegno meccanico cigolante. Del resto, la visionaria e quasi inquietante immagine conclusiva della lirica ci pone di fronte a un’idea di eternità niente affatto rassicurante: un moto perpetuo del firmamento in cui si ripete l’angosciosa / altalena di tenebra e luce, cioè quell’eterno ciclo vita-morte, che per l’essere umano è fonte di sofferenza e di angoscia; perché è difficile persuadersi che in questo meccanismo, quasi un gioco perverso (altalena), in cui la distruzione e il dolore sono necessari quanto la vita e il piacere, ci sia qualcosa di buono.
Eppure, nonostante tutto, Sabatino crede che l’essere ricordato, e ricordato come poeta, (perché, vale la pena ripeterlo, non può essere casuale che questa sia l’unica poesia in cui si definisce in questo modo) abbia il potere di rallegrarlo per l’eternità.
Dunque, evochiamolo il ricordo di Sabatino, cosicché quel monumento possiamo iniziare a costruirlo, prima che materialmente, di quella sostanza immateriale di cui sono fatti i pensieri, l'ammirazione e l'affetto: dalla prossima puntata di quella che sarà una rubrica con cadenza settimanale, cominceremo a conoscere questo straordinario poeta per come lui stesso si rappresenta nei testi che ci restituiscono i suoi "autoritratti".
Le poesie citate nell'articolo sono tratte da "Sfregazzi - Dispositivo poetico di emergenza" Guido Guidotti editore, Roma 1988.
*aquilana, docente di lettere