E' di qualche giorno fa la provocazione del 3e32 che, in una nota stampa, aveva annunciato di aver trovato un accordo con il premier Enrico Letta per dirottare a L'Aquila i fondi stanziati per la costruzione della Tav, la linea ad alta velocità Torino-Lione. Una provocazione accolta immediatamente dal consigliere di Appello per L'Aquila, Ettore Di Cesare, con l'invito in città di una delegazione di sindaci della Val Susa che, nei prossimi giorni, saranno accolti dal primo cittadino, Massimo Cialente.
Nessuno crede che si possano davvero investire i soldi stanziati per la Tav nella ricostruzione dell'Aquila, è evidente. Sarà un momento di confronto però, per discutere delle priorità che dovrebbero essere di un paese che vuol dirsi civile. In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, la vera grande opera dovrebbe essere la ricostruzione di uno dei centri storici più importanti d'Europa e, più in generale, la messa in sicurezza dei territori, il diritto all'educazione e al lavoro, in ultimo alla cittadinanza. Non è così.
Si intendono investire più di 20milioni di euro per la costruzione di un tunnel ferroviario di una cinquantina di km, c'è chi ancora parla di Ponte sullo Stretto, mentre la spesa pubblica in settori nevralgici per la vita dei cittadini - la sanità, l'istruzione - subisce tagli sempre più importanti. Non le spese militari, però. Anzi.
Con la presentazione in Parlamento delle bozze della Legge di Stabilità per il 2014, Altreconomia ha provato ad elaborare una valutazione della spesa pubblica legata al mondo militare. Con una premessa: i dati possono essere ricostruiti solo ancora ad un livello “macro”: si tratta di una prima stesura modificabile dalla discussione parlamentare e – cosa più negativa - non tutti i dettagli necessari ad un'analisi più approfondita sono riportati in questi documenti. Risultato: nessun taglio significativo, in controtendenza con molti altri ministeri e molti altri settori della spesa pubblica. Secondo le stime, nel 2014 la spesa militare brucerà complessivamente almeno 23,6 miliardi di euro. Più di tre volte il necessario per la ricostruzione dell'Aquila. Un dato inferiore di circa 400 milioni rispetto al 2013 ancora in corso (appena l'1,7% di flessione, con dati parzialmente a consuntivo) ma ancora superiore di quasi 700 milioni rispetto al livello del 2012.
Come si arriva a questa cifra? Un primo elemento da sottolineare, ormai purtroppo endemico, è quello riguardante la poca trasparenza. Soldi per il comparto militare non sono presenti solo nel bilancio della Difesa ma sono sparsi anche in altre voci, le più importanti delle quali sono i fondi del Ministero dello Sviluppo Economico e i fondi decisi ad hoc per le missioni militari all'estero. Ovviamente la parte centrale e più cospicua è costituita dal bilancio proprio del Ministero della Difesa, dettagliato in una tabella allegata alla Legge di Bilancio. Questo documento costituisce la base di quella che, in anni passati, era denominata “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa” e che nel 2013 è divenuta il “Documento Programmatico Pluriennale”. In realtà, il testo attualmente messo a disposizione di Parlamento di opinione pubblica non è ancora così completo come le versioni che vengono poi diffuse in primavera. Se da una parte ciò può essere comprensibile, perché si tratta ancora di cifre previsionali, dall'altra va detto che ulteriori ed utili specificazioni sarebbero state possibili fin da oggi, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto degli investimenti di acquisizione di nuovi armamenti. I dettagli relativi li avremo solo più avanti per cui non è possibile oggi, salvo per alcuni casi particolari, sapere quanti soldi siano stati impegnati sul singolo sistema d'arma. E' auspicabile poi che, in sede di Documento Programmatico definitivo, vengano aggiornate a fine 2013 anche le tabelle di spesa a consuntivo che, nei documenti attualmente in discussione, si fermano naturalmente al 31 dicembre 2012. Altrimenti si potrebbe configurare il rischio, come già avvenuto pochi mesi fa, di andare a discutere in Parlamento una programmazione pluriennale futura partendo da dati consolidati vecchi di almeno quindici mesi.
Il ministero della Difesa. Il totale a disposizione del Dicastero di Mario Mauro per il prossimo anno sarà di 20 miliardi e 227 milioni di euro. Facendo riferimento al Pil previsionale si arriva ad un rapporto dell'1,26% (in calo rispetto allo scorso anno quando il rapporto era poco sopra l'1,3% e non l'1,33% come stranamente riportato nella nota da poco diffusa). Questa flessione deriva da un calo nella disponibilità complessiva di 475 milioni di euro, praticamente già definita in sede di Bilancio 2013 alla fine dello scorso anno. Non si tratta quindi di un “sacrificio” imprevisto ma il solo mantenimento di una precedente indicazione, e dopo che la Difesa era riuscita ad assorbire gli effetti combinati delle spending review di Tremonti e Monti con un balzo miliardario proprio tra il 2012 e il 2013. La suddivisione interna del bilancio, vista nella ripartizione classica, vede una Funzione Difesa (le tre Forze Armate) in calo di circa 350 milioni ma comunque sopra i 14 miliardi, ed una Funzione Sicurezza Territorio (in pratica, i Carabinieri) in minima flessione a 5,6 miliardi complessivi. Le funzioni esterne si prendono le briciole (meno di 100 milioni) mentre continua ad essere rilevante con 450 milioni l'impatto dell'ausiliaria, cioè l'indennità pagata a ufficiali “a riposo” come premio per il loro rimanere “a disposizione” del Governo. Come ultima porzione del bilancio della Difesa, l'Investimento (cioè in grossa parte l'acquisizione di nuovi sistemi d'arma) sembra subire una diminuzione di circa 180 milioni di euro, per un totale comunque di circa 3,3 miliardi, ma ciò viene ampiamente compensato dall'aumento dei fondi provenienti dal Ministero per lo Sviluppo Economico. Di quest'ultima parte, come già accennato, non siamo di ricavare alcun ulteriore dettaglio poiché nei documenti attualmente in discussione mancano completamente i dettagli relativi alla ripartizione delle cifre sui singoli sistemi d'arma. In pratica, il Governo sta chiedendo un voto parlamentare di conferma di un bilancio che non dice dove i soldi vengano messi e che tipo di armamenti si andranno ad acquisire (o a continuarne l'acquisto).
Il ministero per lo Sviluppo economico. Lo stesso si può dire per quanto riguarda i fondi del Ministero per lo Sviluppo Economico messi a disposizione della Difesa per la “Partecipazione al Patto Atlantico e ai programmi europei aeronautici, navali, aerospaziali e di elettronica professionale”. Soldi che si devono considerare a tutti gli effetti parte della spesa militare perché è il Ministero di via XX Settembre a deciderne la destinazione, a condizioni peraltro sfavorevoli per lo Stato e molto vantaggiose per l'industria che li riceve. L'ammontare previsto è di poco superiore ai 2,6 miliardi con una crescita di circa 330 milioni (il 14% in più) rispetto allo scorso anno. Da qui vengono recuperati abbondantemente i tagli nella quota di Investimento prevista nel Bilancio proprio della Difesa: nel 2014 sono perciò 5865 i milioni impiegati dall'Italia per “acquisti armati". I fondi, come già in passato, serviranno alla realizzazione del programma pluriennale del caccia Eurofighter (la cui ipotesi di spesa complessiva è stata aumentata di 3 miliardi proprio nel 2013), alla costruzione di concerto con la Francia delle fregate multi-missione FREMM ed infine alla realizzazione di un Veicolo Blindato Medio 8x8 “Freccia” per l'esercito. Tutti programmi considerati “di particolare valenza industriale per l'impegno e l'innovazione tecnologica (…) e il consolidamento della competitività dell'industria aerospaziale ed elettronica”. Il meccanismo dei contributi pluriennali continua poi a dispiegarsi in tutta la propria valenza (anche di opacità) pur con la Legge di Stabilità in corso di approvazione. Nell'articolo dedicato alle “risorse per lo sviluppo” si prevede che a partire dal prossimo anno “Al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi della sicurezza nazionale e nel quadro di una politica comune europea, consolidando strategicamente l’industria navalmeccanica ad alta tecnologia, sono autorizzati contributi ventennali (…) di 80 milioni di euro a decorrere dall’esercizio 2014, di 120 milioni di euro a decorrere dall’esercizio 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dal 2016 sullo stato di previsione del Ministero per lo Sviluppo Economico”. Per cui dal prossimo anno avremo un'ulteriore crescita dei fondi “armati” presenti in questo dicastero equivalenti, a regime, a 340 milioni all'anno. Questa operazione, che è stata chiamata a gran voce nei mesi e settimane scorse dal Capo di Stato Maggiore della Marina Amm. De Giorgi, prevede un totale di esborso da qui al 2036 di 6,8 miliardi. Si arriva infine alla valutazione dei fondi che, annualmente e con decreti convertiti, vengono messi a disposizione della Difesa per l'espletamento delle missioni all'estero. In linea di principio è ovvio che si debba trattare di fondi “extra bilancio” e legati a particolari attività o compiti derivanti dall'indirizzo politico e dalle scelte di intesa internazionale. Ma i dati sull'uso squilibrato dei fondi base di bilancio che abbiamo visto in precedenza dimostrano come le Forze Armate ormai non possano più fare a meno di questa entrata per coprire rilevanti attività di addestramento ed esercizio. La parte militare dei fondi delle missioni all'estero (cui si accompagna una più ridotta quota in cooperazione) deve essere per tali motivi pienamente considerata all'interno della spesa militare italiana ed è su tale numero che vanno fatti i confronti con il PIL, il che conduce ad un rapporto dell'1,47%. La valutazione sul 2014 però è del tutto presunta poiché si tratta di provvedimenti autorizzati nel corso dell'anno e per i quali in questo caso, e diversamente dallo scorso anno, il Ministero dell'Economia non ha nemmeno previsto una posta ipotetica (l'anno scorso valutata in poco più di un miliardo come effettivamente accaduto). Considerando quindi che il 2014 dovrebbe vedere il ritiro dall'Afghanistan delle nostre truppe, o quantomeno l'inizio del processo, e che proprio questa è la missione di maggiore impatto monetario si può stimare che la spesa per il prossimo anno sarà in qualche modo inferiore (ma non troppo, visto che i nostri soldati sono ancora ben presenti in giro per il mondo). L'ipotesi avanzata da Altreconomia è quella di un costo complessivo annuale di 800 milioni di euro, ma se alla fine il livello dovesse essere comunque quello del 2013 (1 miliardo, come detto) ciò servirebbe solo a rendere ancora minore la già esigua flessione della spesa militare italiana portandola sotto l'1% su base annua.
Cifre davvero importanti, insomma. E intanto, non solo non ci sono i soldi per la ricostruzione dell'Aquila, ma a Napoli sessantamila alunni delle elementari vanno a scuola senza libri di testo, i libri-base, il sussidiario. I libri per imparare a leggere, scrivere, far di conto, cioè quelli primari per stare al mondo non da analfabeti. Come è possibile? Semplice, è slittata l'approvazione del bilancio comunale per via del "caso Imu". Conseguenza: la gara per stampare le cedole con le quali i genitori ritirano i testi scolastici è stata spostata a fine settembre. Non è tutto: da due anni a Napoli è sospesa la consegna alle fasce deboli (cioè ai ragazzi di famiglie con scarsissime possibilità economiche) delle cedole per i libri in omaggio nelle medie e nelle superiori. E la Regione, non ricevendo dal governo due milioni di euro da destinare a tale fine a causa dei tagli agli enti locali né riuscendo a farli venir fuori dal proprio bilancio, non può trasferirli ai Comuni. Non stupisce affatto, se è vero che nell'ultimo rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno si parla di "desertificazione industriale", "fuga di cervelli e di energie fresche", "2,7 milioni di persone emigrate dal Sud in vent'anni", "disoccupazione reale superiore al 28%".
Siamo davvero sicuri che non sia davvero il caso di tornare a parlare di priorità?
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