E' 'un centauro': una creatura mezza pubblica e mezza privata. Ha la forma giuridica di una Società per Azioni, ma queste sono detenute per l’80,1% dal ministero del Tesoro e per il restante dalle Fondazioni Bancarie (che a loro volta sono istituti misti pubblici e privati). Il presidente, Franco Bassanini, e l’amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, sono nominati dal ministro dell’Economia, e gestiscono una “banca che non è una banca” con una raccolta di 240 miliardi di euro.
E' la 'Cassa depositi e prestiti', invocata da molti come l'unica soluzione percorribile per una ricostruzione sostenibile del cratere. Oltreché veloce. Per un certo periodo, in effetti, il giochino è funzionato: il Comune approvava il contributo agevolato e la banca versava i soldi alla ditta entro pochi giorni perché i soldi erano già nella disponibilità della Cdp. Poi, con il governo Monti, il meccanismo si è inceppato. Per non creare scompensi nel bilancio dello Stato ed evitare di sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/pil, tanto caro a Bruxelles. Dunque, si è passati al contributo diretto: i rubinetti della Cdp - che fino ad allora avevano erogato 2miliardi di euro - si sono chiusi. E non si è mai capito perché, negli stessi giorni, si riaprivano invece per l'Emilia Romagna che avuto la disponibilità di 12miliardi di euro, 6 per la ricostruzione e altrettanti per la copertura della deroga fiscale.
Ma cos'è la Cdp? Lo scopo della Cassa è gestire il risparmio postale. Si tratta di circa 240 miliardi, soldi investiti dai cittadini italiani in buoni fruttiferi o libretti postali garantiti dallo Stato. Dal sito internet, apprendiamo che la CDP usa queste risorse per "aiutare la crescita del paese".
Il "come" è diviso in due rami diversi.
Il primo si chiama gestione separata ed ha a che fare con la storia secolare della Cdp, nata a Torino nel 1850. Il suo scopo, per quasi un secolo e mezzo, è stato quello di fare prestiti a medio termine agli enti locali per costruire infrastrutture, e questo resta lo scopo della 'gestione separata'. In pratica, raccogliendo il risparmio dei cittadini, Cdp fa prestiti, ad esempio, a un’amministrazione comunale per rifare il lungomare o restaurare un asilo.
La parte veramente interessante della Cdp, però, è l’altra: la cosiddetta gestione ordinaria. In questo ramo di attività non entrano i risparmi postali. Le operazioni e gli investimenti vengono finanziati con risorse proprie – non garantite dallo Stato, insomma – come ad esempio l’emissione di obbligazioni sul mercato o l'investimento in imprese ritenute 'strategiche' o, più spesso, in mano ad amici dei politici. Un po' come l'Iri, tanto tempo fa.
Oltre a investire in imprese strategiche, o ritenute tali, la Cdp è utile anche per un altro tipo di manovre. Essendo formalmente privata dal 2003, uno status che condivide con istituti simili in Europa, come la KFW in Germania e la CDC francese, permette al governo di 'spingere' debiti dello Stato nella Cassa e così farli uscire dal 'perimetro' del debito pubblico. La politica di vendere imprese alla Cdp per fare cassa e l’ampia libertà di investimento concessa ai suoi vertici hanno fatto sì che la cassa sia diventata una vera e propria cassaforte di partecipazioni varie. Possiede il 27% di ENI, il 30% di SNAM (che si occupa della distribuzione del gas) e il 30% di Terna (rete elettrica). Controlla quasi completamente aziende come SIMEST, che offre finanziamenti e assistenza alle aziende italiane impegnate nell’internazionalizzazione, e molti altri fondi e società.
Insomma, la società per azioni partecipata dalle fondazioni bancarie non è più la "banca" degli enti locali: oggi Cdp utilizza i nostri soldi - quelli che formano il risparmio postale dei cittadini italiani - a sostegno di operazioni finanziarie di dubbia utilità (ad esempio l'ingresso nel capitale di una società che si occupa di sviluppo di centri commerciali), di dubbia ragionevolezza politica (sostenendo, ad esempio, la fusione tra due multi-utility quotate in Borsa, nonostante il referendum del 2011) e che rischiano di pregiudicare in modo significativo il territorio (con il finanziamento concesso alla realizzazione di nuove autostrade).
NewsTown vi propone l'introduzione al libro.
Sono passati dieci anni esatti dalla “rivoluzione” che ha investito la Cassa depositi e prestiti, la storica banca degli enti locali italiani, che gestisce il risparmio postale dei cittadini, depositato come si usa dire “in Posta”. Era l’autunno del 2003, infatti, quando il secondo governo Berlusconi, decise di trasformare Cdp - l’acronimo con cui è conosciuta e con cui la chiameremo qui - in una società per azioni. Ed è più o meno da allora che la Cassa ha iniziato a guardare alla società italiana con una prospettiva molto diversa, che analizzeremo nel dettaglio in queste pagine.
Per questo è tempo di aprire la “cassaforte degli italiani”, quella che raccoglie i risparmi di 24 milioni di cittadini, ovvero oltre 230 miliardi di euro, e di osservare con estrema attenzione che cosa c’è dentro: ovvero gli intrecci azionari, la mole di interessi - e i conflitti d’interesse - che si celano dietro la sigla Cdp.
Ma che cosa ha cambiato l’articolo 5 del decreto-legge numero 269 del 2003, “collegato” alla legge finanziaria 2004 e convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003? Sul lato - diciamo così - dell’avere, tutto è rimasto pressoché come prima: noi cittadini restiamo “una manna dal cielo” per la Cassa. I soliti fiduciosi risparmiatori, tante formichine che, di fronte alla crisi degli istituti di credito e alla contrazione dei tassi d’interesse, fanno incetta di Buoni fruttiferi postali (che sono garantiti dallo Stato) e depositano quanto possono sui libretti di risparmio*. In totale, abbiamo affidato alla Cassa circa il 14% del risparmio nazionale.
È invece dall’altro lato, quello del dare, che è cambiato tutto: la Cassa è oggi una holding che lavora “al servizio della crescita”, il “catalizzatore dello sviluppo delle infrastrutture del Paese”, per citare due tra gli slogan che campeggiano sulla home page del suo sito. Il suo carniere è pieno di prede importanti, tra cui importanti società quotate - da Eni a Terna, passando per Snam - le cui azioni sono state trasferite alla Cassa dal ministero del Tesoro. Così oggi il suo bilancio non è sociale né ambientale, ma è un “bilancio consolidato” - come quello di tante altre società -, e l’obiettivo di ogni scelta del management, come in altre società, è il profitto.
Un obiettivo che il “Gruppo Cassa depositi e prestiti” pare capace di perseguire più e meglio di ogni altra azienda: nel terribile 2012, che ha visto la disoccupazione toccare il 10,7%, più di 100mila società fallire e oltre 10 Comuni vicini al default, l’utile netto della Cassa ha fatto un balzo del 77%, toccando quota 2,85 miliardi di euro. Per la gioia degli azionisti, a cui Cdp ha distribuito circa un miliardo in dividendi.
In ogni caso quando leggete la parola “azionisti”, per la Cdp non dovete pensare ai classici “speculatori senza scrupoli”: è il ministero del Tesoro - infatti - a detenere oltre l’80% delle azioni. È lo Stato a prendere le decisioni, a scegliere come investire quanto depositato da 24 milioni di cittadini italiani. È alle porte del ministero del Tesoro, quindi, che deve andare a bussare chi dovesse giudicare poco opportune le mosse di Cassa depositi e prestiti sullo scacchiere dell’economia italiana. Con la consapevolezza che in questa partita può recitare un ruolo diverso dall’umile pedone, e anzi - come ogni cittadino italiano - ha il diritto di far sentire la propria voce.
Per farlo, è opportuno conoscere in modo dettagliato “la Cassa e le sue sorelle”, cioè le società per azioni, le società di gestione del risparmio e i fondi d’investimento che - dopo il 2003 - hanno arricchito l’architettura istituzionale di Cdp, ma anche tutte le possibile alternative per le quali la società civile si batte, sia per quanto riguarda gli investimenti sia per la stessa governance della società. Questo libro è una sorta di radiografia della Cassa, e vuole essere uno strumento al servizio di una partecipazione attiva e consapevole. Perché i soldi ci sono, e la “posta in gioco” è il futuro del Paese.