Un'altra pesante tegola rischia di abbattersi sull'industria aquilana. Lo stabilimento dell'ex Otefal, che appena un anno fa era stato rilevato dai siriani della Madar, rischia di chiudere definitivamente se entro giugno non verrà trovato un compratore disposto a investire per rilanciare la produzione.
L'azienda è sotto procedura fallimentare - indetta dal commissario Omero Martella - ma la prima gara per la vendita dello stabilimento è andata deserta. Un'altra ce ne sarà tra meno di un mese. A giugno scadranno i contratti dei dipendenti, attualmente tutti in cassa integrazione a zero ore. Quella che si profila è una corsa contro il tempo per salvare 180 posti di lavoro. Un eventuale fallimento sarebbe un colpo durissimo per il già disastrato tessuto socio-economico del territorio.
“La Madar” ricorda il segretario provinciale della Fim-Cisl Gino Mattuccilli “era subentrata poco più di un anno fa prendendo in affitto il capannone, che era in concordato preventivo dopo l’uscita di scena della vecchia proprietà, la Pozzoli di Bergamo. L’affitto del ramo d’azienda, secondo le intenzioni manifestate inizialmente dal gruppo, avrebbe dovuto rappresentare il primo passo verso l’acquisto definitivo dell’immobile”. Cosa che, però, non è avvenuta.
Per spiegare le cause di questo fallimento non basta invocare la crisi economica e la diminuzione delle commesse. Secondo Mattuccilli, alla base di tutto ci sarebbe anche una serie di errori manageriali. L'ex Otefal produce infatti lastre di alluminio destinate prevalentemente alla produzione di tapparelle e avvolgibili. Il primo errore commesso dal gruppo siriano è stato quello di aver usato i macchinari presenti all'interno dello stabilimento, tarati per fabbricare lamine dello spessore di 3 millimetri, per produrre lastre dallo spessore ancor più sottile (0,3 millimetri). Obiettivo impossibile da raggiungere utilizzando le medesime apparecchiature.
Inoltre, sempre secondo Mattuccilli, l'azienda avrebbe scontato anche delle differenze culturali e dei gap in termini di conoscenza e di esperienza industriale. La Madar, infatti, ha stabilimenti diffusi soprattutto in Turchia, Asia Minore e Nord Africa. Paesi e contesti territoriali molto diversi dall'Italia e dall'Europa, nei quali vigono norme sulla sicurezza, sull'organizzazione del lavoro e sulla gestione aziendale molto distanti dalle nostre.
Come se tutto ciò non bastasse, infine, è arrivata, qualche mese fa, anche una sanzione da 4 milioni di euro comminata in seguito ad alcuni accertamenti fatti della Guardia di Finanza, in seguito ai quali è emerso che l'azienda avrebbe evaso l'Iva per centinaia di migliaia di euro.