Lunedì, 29 Agosto 2016 14:21

Amatrice e valle del Tronto, murature in pietre arenarie più vulnerabili. L'ingegnere: "Tenerne conto nell'alta Valle dell'Aterno"

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"Le case dei nostri centri storici venivano costruite con i materiali a disposizione sul posto, secondo una pratica logica ed economica che appartiene al 'genius loci' dell’area, termine frequentemente utilizzato, ma non altrettanto compreso: venivano quindi usati i materiali facilmente reperibili e disponibili, quali le pietre, la calce ottenuta dalla cottura di quelle pietre, i mattoni ottenuti dall’argilla, il legno dei boschi. Questo naturale e semplice modo di costruire, si è differenziato secondo la natura dei suoli e ha caratterizzato, variegato, qualificato e arricchito il patrimonio insediativo storico del 'Bel Paese', che sotto questo aspetto è stato studiato, pubblicato, valorizzato, ma non dovutamente tutelato".

Lo spiega a NewsTown Piero Tronca, ingegnere, impegnato in alcuni lavori di ricostruzione post-sisma, a L'Aquila e, così, nei centri dell'alto Aterno più vicini all'epicentro del sisma del 24 agosto scorso - Capitignano, Campotosto, Montereale - che vivono ore di angoscia.

"Nei nostri casi specifici - sottolinea Tronca - mentre il territorio dell’aquilano è caratterizzato da una diffusa presenza di rocce calcaree 'bianche', ottime per la costruzione e per ottenere calce purissima, le aree della valle del Tronto - epicentro del sisma, con i comuni più colpiti di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto - e dell’alto Aterno (Capitignano, Campotosto e Montereale, appunto) sono caratterizzate invece da una diffusa presenza di pietre arenarie e marne, molto meno resistenti, ma, soprattutto, povere di carbonato di calcio e quindi capaci di dare solo calce 'povera': da questa calce si otteneva una malta (il legante delle murature) a basso tenore di calce, che nel tempo si degrada più rapidamente in inerte, non legando più le pietre delle murature".

Le murature di quest’area, dunque, sono più deboli?

"Più deboli e particolarmente vulnerabili, di conseguenza, con una vulnerabilità intrinseca interna indipendente dalla loro età di costruzione (questo fino ai primi anni ’50 del ‘900), non visibile, micidiale e sempre sottovalutata anche da chi è preposto alla sicurezza sismica del Paese. Quando poi su quei fabbricati si sono aggiunti, negli ultimi 50-60 anni, tetti pesanti e solai di cemento, cordoli, sopraelevazioni e altri interventi inidonei, la connaturata condizione di altissimo rischio è peggiorata ulteriormente. Non voglio ovviamente sottovalutare l’incidenza del tipo di sottosuolo, della geometria del  fabbricato e altro, ma alla base di tutto c’è e rimane il 'vulnus' delle murature, anche se occultato da intonacature di cemento".

Possibile che nessuno, in questi anni, si sia occupato di quello che stiamo definendo come un 'vulnus' delle murature e, in particolare, in quelle zone già colpite dal sisma del 2009?

"Dopo il terremoto dell’Aquila, anche senza fare verifiche dirette, anche solo leggendo le carte geologiche per capire, oltre la presenza di faglie, la natura del terreno e quindi delle murature, inevitabilmente fatte dei materiali da quel terreno ricavati, era il momento di diagnosticare l'aggiuntiva e grave vulnerabilità sismica dei fabbricati di quell’area e delle altre aventi caratteristiche analoghe. E’ stata fatta una pur semplice mappatura delle aree con caratteristiche geologiche comportanti questa vulnerabilità intrinseca delle murature costruite fino agli anni ’50 del ‘900, cioè fino a quando la calce non si comprava, ma si faceva cuocendo le pietre di marna e arenaria del posto, risultando quindi povera? E’ stata fatta l’addizione 'vulnerabilità sismica intrinseca delle murature' più 'diffusa sostituzione dei tetti in legno con tetti di cemento (e non solo) avvenuta dopo gli anni ’60 del ‘900' uguale 'case destinate a crollare in 10 secondi di scossa sismica'? Se è stato fatto, sicuramente si sarebbe potuto fare di più e comunque, a quello che è stato fatto, non mi sembra sia stato dato il seguito dovuto, se non la concessione di incentivi assolutamente insufficienti, che escludevano peraltro le numerosissime seconde case. Oggi invece, dopo il sisma di Amatrice, c’è un gran parlare di vulnerabilità e prevenzione, ma fino a ieri si vedeva non poca superficialità".

In altre parole, a livello locale c'è stato un riconoscimento insufficiente dell’importante rischio sismico delle costruzioni antecedenti agli anni ’50 in aree geologicamente ricche di marne e arenarie, come quella dei comuni di Capitignano, Campotosto e Montereale, fortemente penalizzate cioè dalla vulnerabilità dei materiali costitutivi delle murature?

"Nella scheda parametrica (MIC) redatta dall’USRC per i comuni del cratere sismico dell’Aquila dopo il terremoto del 2009, quei paesi vengono trattati come tutti gli altri, in base a criteri di vulnerabilità che, pur includendo in primis la 'qualità della muratura', finiscono poi per far pesare la quantità di danno e la quantità di lesioni visibili, assumendo come riferimento anche il danno riportato sulle schede di rilevamento di primo livello (aedes) redatte subito dopo il sisma dell’Aquila dalla protezione civile".

In quei comuni, più distanti dall’epicentro del sisma del 2009, i danni visibili sono tuttavia più limitati che nell’aquilano.

"Esattamente, e dunque l’entità degli interventi attribuita dalla compilazione della MIC risulta molto più contenuta, tanto da rendere quasi sempre impossibile la realizzazione di tutte le opere realmente necessarie a intervenire adeguatamente sulla grave vulnerabilità delle murature. Nelle schede di rilevamento di primo livello (che si vuole fare utilizzare oggi ad Amatrice) quella vulnerabilità intrinseca delle murature non è assolutamente considerata in modo adeguato, ma da esse viene attribuito l’esito di agibilità dei fabbricati, predeterminandone il grado dell’intervento di ristrutturazione. Conseguentemente le ripetute, pressanti e vane richieste di tenerne invece adeguatamente conto fatte da tecnici, proprietari, imprese si sono sempre trovate di fronte un muro invalicabile fatto di 'non è previsto, non si può fare'. Mi sembra quindi necessario che quelle schede di primo rilevamento del danno (sicuramente ottime per il loro scopo di base) se usate ad Amatrice, siano adeguate attribuendo il giusto peso alla vulnerabilità specifica delle murature. Mi sembra parimenti necessario anche che i parametri di vulnerabilità della MIC (sia chiaro, risultata fondamentalmente utile per la ricostruzione) per i comuni di Capitignano, Campotosto e Montereale siano adeguati alle basse caratteristiche meccaniche delle murature e alla loro conseguente vulnerabilità. Solo oggi, dopo il terremoto, i più notano come quelle pietre crollate nell’area di Amatrice siano tondeggianti e pulite, senza calce. Le pietre dilavate, consumate e modellate dal tempo, diffuse sulle facciate dei fabbricati della valle del Tronto e dell’alto Aterno, sono le pietre di marna e arenaria che si 'sciolgono' secondo il loro processo di degrado naturale e dalle quali si fa poca e povera calce".

Come si sarebbe potuto operare per prevenire ciò che è successo ad Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto e nei paesi vicini?

"Su quest'area e sulle altre analoghe, circoscritte e qualificate, oltre che in base al rischio sismico 'tradizionale', anche in base alla vulnerabilità implicita delle murature dovuta alla povertà dei materiali offerti dalla geologia del territorio, sarebbe stato possibile attivare un piano di prevenzione nazionale finanziariamente sostenibile perché esteso a limitate aree di intervento. Nel caso dell’area di Amatrice, con centri storici per la maggior parte di modeste dimensioni, si sarebbe potuto attivare un piano di prevenzione anche e soprattutto a favore dei privati, finalizzato a ridurre il rischio sismico delle loro case (prime e seconde case, che crollano indistintamente) attraverso interventi essenziali di prevenzione, come ad esempio catene, iniezioni murarie, eliminazione dei tetti in cemento, sul modello di quanto fatto da Zamberletti in molti comuni della provincia dell’Aquila dopo il sisma di Pescasseroli del 1984, salvandoli dal sisma del 2009; con costi modesti si sarebbe impedito o limitato il disastro di oggi, salvando centinaia di vite e riducendo l’altissimo costo della ricostruzione e lo sconquassamento sociale".

"Un’ultima annotazione", aggiunge l'ingegner Tronca a fine intervista: "auspico che ad Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto e in tutti i comuni colpiti non si prescrivano piani di ricostruzione come a L’Aquila e nei comuni del cratere aquilano; hanno ritardato di due - tre anni la ricostruzione, sono costati molto e sono risultati praticamente inutili, visto che quel poco che di essi viene utilizzato avrebbero potuto essere attuato anche attraverso semplici atti amministrativi comunali".

Ultima modifica il Martedì, 30 Agosto 2016 22:36

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