Lunedì, 25 Marzo 2013 23:22

Il futuro dell'edilizia pubblica: intervista a Merli

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A sentire Piergiorgio Merli, avvocato e amministratore unico dell'Ater, agenzia territoriale per l'edilizia residenziale, "nella ricostruzione dell'Aquila manca ragionevolezza"

Con lui vogliamo iniziare un viaggio nella realtà dell'edilizia pubblica che ci aiuti a fare il punto sulla ricostruzione e offra possibili scenari futuri, in considerazione degli oltre 5mila nuovi appartamenti costruiti per far fronte all'emergenza abitativa dell'immediato post terremoto:

Quando la ricostruzione sarà finita in questa città ci troveremo un numero sproporzionato di case rispetto al numero di cittadini

Effettivamente questo è un grosso problema, c'è da porsi adesso una serie di domande su come vogliamo la nostra città, quali sono gli scopi, gli obiettivi, come la vogliamo sviluppare, per tutta una serie di motivi. Sono persuaso che non tutti quelli che all'indomani del terremoto si sono ritrovati decentrati un giorno decideranno di tornare a vivere il centro città. In altri terremoti, come quello dell'Umbria, quando è stato recuperato il centro storico, diverse famiglie che ormai si erano create dei nuovi piccoli microcosmi, hanno deciso, anche data l'età, di non rientrare nei centri storici. Prendo me come caso esemplare: ammesso che il centro tornerà a disposizione tra 15 anni, non penso che a 68 anni mi metterò a fare un nuovo trasloco per tornare in centro. Penso che sarò uno di quelli che mancherà all'appello. L'interrogativo che poni è giusto e le risposte vanno date sotto diversi punti di vista, urbanistici e di servizi ad esempio. Il dato di fatto è che sono stati creati quartieri nuovi. Possiamo discutere se sia stata una scelta giusta o meno, ma esistono e adesso bisogna puntare a portare lì i servizi. Visto che il costo di un eventuale smantellamento del progetto C.A.S.E. sarebbe enorme, forse non affrontabile, bisogna puntare a trasformare questi luoghi dormitorio da realtà estremamente alienanti a quartieri veri.

A quanto ammonta il patrimonio ATER (nel cratere) e quanto è stato ricostruito?

I dati sono consultabili sul nostro sito www.ateraq.it. E' piuttosto aggiornato, fino a gennaio 2013. Tutto quello che attiene le case A, B, C è ultimato, manca solo qualche B con ritardi per varianti ai piani di lavoro determinati da problemi emersi in un secondo momento, ma siamo in chiusura di questo capitolo. Ora dobbiamo affrontare le E, per le quali tutti i progetti sono pronti e validati, tranne che per la zona di Valle Pretara dove pareva ci fosse un progetto di più ampio respiro (il progetto Valencia) poi sparito, motivo per il quale abbiamo ripreso la vecchia progettazione. Spero di poter dare per l'inizio di aprile notizia ufficiale di un primo stanziamento di fondi ufficialmente assegnati che ci permetteranno di fare i bandi di gara. Qui sorgerà il problema: che priorità dare? A chi? Perché? Ogni famiglia rivendicherà legittimamente la propria e dover decidere crea angoscia. Come si fa a dire "tu si, tu dopo?" Faremo un "sorteggino"? Mi crea imbarazzo la scelta, ma un modo va trovato.

L'Ater non usufruisce dei neo assunti del concorsone per lo smaltimento delle pratiche?

No, attualmente dispongo di 35 dipendenti e avremo tre pensionamenti nell'arco del 2013. Mi auguro di poter lanciare un concorso a tempo determinato per poter assumere qualcuno.

Appena dopo il terremoto i comitati spontanei fecero pressione perché invece di costruire una o più new-town, venisse sfruttato l'esistente, se necessario con la requisizione di case sfitte agibili o intervenendo subito nelle strutture poco danneggiate.

Uno dei commissari della prima ora, Gaetano Fontana (commissario della struttura tecnica di missione), propose anche di recuperare le case abbandonate dei paesi dell'aquilano, investendo i grossi capitali che si sono resi necessari per la costruzione delle new-town nella ricostruzione. Tutta quella fase però non è appartenuta a me o alla politica locale ma alla Protezione civile e al Governo. Da parte mia ritengo che magari un numero X di abitazioni era giusto farle, ma non il grande numero costruito. Sulla collocazione territoriale ho grandissimi dubbi personali, fatto sta che ormai adesso ci ritroviamo con un tessuto urbanistico completamente da rivedere. Credo che nessuno di noi era preparato ad affrontare la dimensione assolutamente straordinaria di questo terremoto che ha congelato la vita politica, amministrativa ed economica di un capoluogo di regione. Si sono create eccezionalità che si sono affrontate per la prima volta. Pur essendo il piano C.A.S.E. un progetto contestatissimo e da contestare, bisogna ammettere che sono stati fatti più di 5mila appartamenti in circa 8 mesi. Poi, magari, andrebbe considerato anche come sono stati fatti ma l' eccezionalità sta nel fatto, lo dico da amministratore ATER, che normalmente per fare 10 appartamenti impieghiamo 10 anni. Questo dimostra che siamo una nazione in grado di fare cose straordinarie quando vuole.

Ma allora perché si è fermato tutto lì? Perché adesso nel cratere le imprese edili falliscono? Perché non si ricostruisce?

Rispondo con un pensiero del tutto personale. L'economia edile era in crisi già prima del terremoto e gli eventi aquilani sono stati percepiti come una boccata di ossigeno, salvo poi che il mercato si è un po' chiuso su sé stesso. Stando così le cose quali politici E di quali territori hanno interesse perché L'Aquila venga ricostruita? So che sarò arso vivo per questo, ma la presentazione dI Barca IL 21 marzo sembrava, parafrasando Ettore Petrolini, la celebrazione di "uno che muore in salute". Tanto è stato fatto e tanto c'è da fare, noi dobbiamo avere le risorse vere per impiantare un progetto ragionevole. Quello che manca adesso, infatti, è la ragionevolezza della ricostruzione. L'idea che io torni a passeggiare per il centro con il catetere e il treppiede non mi attira per niente ma il rischio per un cinquantenne di oggi è proprio questo. Ci stiamo adattando ad una vita che, vista da fuori, pare follia. 

Ultima modifica il Martedì, 26 Marzo 2013 00:12

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