Mercoledì, 18 Dicembre 2013 14:01

Pepino con NewsTown per presentare "Grammatica dell'indignazione"

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Livio Pepino è un ex magistrato. Fino al 2010, è stato sostituto procuratore, giudice minorile e consigliere della Corte di Cassazione. Già presidente di Magistratura democratica e componente del Consiglio superiore della magistratura, è oggi direttore della rivista Questione giustizia, presidente dell’Associazione studi giuridici Giuseppe Borrè e responsabile delle Edizioni Gruppo Abele.

Proprio per la casa editrice legata a Libera, la rete di associazioni che si battono contro le mafie fondata da Don Luigi Ciotti, ha curato, insieme a Marco Revelli, il libro Grammatica dell'indignazione, volume collettaneo che raccoglie oltre venti contributi di giuristi ed esperti di varie discipline, da Stefano Rodotà a Salvatore Settis, da Luciano Gallino a Nando Dalla Chiesa, da Ugo Mattei a Gaetano Azzariti.

Insieme a Luca Giunti, autore, nel libro, di un saggio sul Tav, Pepino sarà all'Aquila venerdì 20 dicembre alla festa di NewsTown Sostieni la tua voce! per parlare di legalità, giustizia, politica, cultura, libera informazione.

“C’è, nel Paese" scrivono Pepino e Revelli nell’introduzione del libro "un’anomalia da interpretare e sciogliere. L’indignazione è maggioranza, schiacciante maggioranza. Basta vedere l’andamento del voto nelle ultime tornate elettorali o sfogliare i sondaggi di tutti gli istituti di ricerca. Ancor più, è sufficiente passeggiare in un mercato e viaggiare su tram o treni (..) Eppure quell’indignazione, almeno ad oggi, non conta nulla a livello istituzionale. Oppure veicola movimenti populisti e pieni di contraddizioni: di contenuti soprattutto, ché le incongruenze tattiche sono, a ben guardare, poca cosa. Così cresce il rischio che l’indignazione si chiuda in se stessa e produca sfiducia e rassegnazione anziché resistenza e progettualità. Sciogliere l’anomalia, superarla, è la sfida (ineludibile) dei prossimi mesi, non anni, ché la misura è colma. Per farlo serve mettere ordine nelle ragioni dell’indignazione e predisporre, settore per settore, una cassetta degli attrezzi utile a guidare il cambiamento (o il rilancio di ciò che va mantenuto e che molti vorrebbero cancellare, dalla Costituzione al welfare). Serve una grammatica, sospesa tra analisi e proposta.”

Dott. Pepino, in questi giorni, con le proteste del cosiddetto movimento dei Forconi, sembra proprio che si stia verifcando il peggiore degli scenari paventati nel libro, e cioè l'incanalarsi dell'indignazione in una retorica distruttiva, da "fine della Repubblica di Weimar", come scrivete lei e Revelli. E' d'accordo?

"Certamente la situazione è complicata. Gli sbocchi dell'indignazione, non solo oggi ma nella storia, possono essere molto diversi, dall'indifferenza all'allontanamento della politica, all'esplodere dei populismi e di forme di egoismi nazionali. Oppure possono evolvere in un cambiamento positivo. Le proteste di questi giorni confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l'insoddisfazione e l'indignazione sono elevatissime ma anche che tardano a crescere e a manifestarsi prospettive diverse. Io credo che la soluzione, forse, sia nelle realtà locali: occorre ripartire dal territorio, dai bisogni delle persone, cercare di costruire dei nuovi rapporti tra gli individui, dei nuovi modi di fare politica. Purtroppo qui si scontrano due problemi: uno, che questo processo richiede del tempo; l'altro, che sarebbe necessario intervenire subito. Il problema, dunque, è come fare una sintesi di questi due punti".

In questo momento manca anche qualcuno in grado di interpretare questo malessere e al tempo stesso di trovare delle soluzioni, offrire delle alternative. Lei e Revelli siete molto pessimisti sulla possibilità che a fare tutto questo possano essere ancora i partiti, così come li abbiamo conosciuti finora.

"E' vero, su questo io e Revelli siamo piuttosto pessimisti e lo dico senza nessun piacere, perché la mia generazione ha vissuto i momenti alti dei partiti. Credo, però, che la parabola di questo tipo di partiti sia definitvamente terminata. Bisogna capire che questo sistema è finito per poterne costruire uno nuovo. Ovviamente, anche in nuovo sistema saranno necessarie forme organizzate, non è che si possa pensare che uno spontaneismo che prescinde da ogni forma di organizzazione possa essere la bacchetta magica. Questi partiti - per come funzionano, per i meccanismi di selezione interna che li caratterizzano, per il rapporto che hanno l'opinione pubblica, con il denaro e con il potere - ormai hanno raggiunto un tale livello di incapacità nel rappresentare il Paese che è impensabile che possano rinnovarsi".

Sembra, però, che alla forma partito non ci siano alternative valide. Tutte le altre modalità di organizzazione sperimentate finora, soprattutto quando si è trattato di competere a livello elettorale, si sono sciolte come neve al sole.

"A livello locale credo che, da un estremo all'altro del Paese, da Lampedusa alla Val susa, ci siano delle esperienze profondamente innovative in tal senso. Purtroppo queste stesse esperienze non riescono a fondersi in un movimento capace di dare rappresentanza nazionale. Almeno, questo è quello che abbiamo visto. Credo, dunque, che lo sforzo di cui c'è bisogno da parte di tutti sia proprio quello di riuscire a trovare nuove modalità di organizzazione".

Il vostro obiettivo, dunque, è anche quello di "armare" l’indignazione di una cultura politica basilare per consentirle di trasformarsi in azione?

"Sì. Il lavoro che io e Revelli stiamo portando avanti non è tanto la promozione del libro quanto un'operazione culturale e politica di ragionamento, con la quale stiamo cercando di recepire delle indicazioni. Devo dire che stiamo trovando delle grandi difficoltà, in giro c'è grande frustrazione e demotivazione. La situazione, come ho detto, non è semplice ma credo che non si possa che ripartire da qui, il che vuol dire anche sforzarsi di cogliere da movimenti come quello dei forconi, una volontà, magari detta in modo sbagliato, che però è quella che una parte di popolazione sta esprimendo. Il fatto che a Torino, la città in cui vivo, ci sia stata una partecipazione così elevata alla protesta del Froconi, al netto di tutte le infiltrazioni di cui ha parlato la stampa, vuol dire che il movimento ha intercettato una quantità di persone assolutamente incredibile, che nessuno probabilmente si aspettava. E' stata una lezione, rivelatrice che un bisogno e un disagio profondo esistono. Bisogna cercare delle forme per canalizzarlo in modo positivo e non darlo in pasto a chi vuole semplicemente che tutto cambi affinché nulla cambi davvero".

Quale potrebbe essere un buon punto di partenza?

"Sono convinto che la Costutuzione possa essere uno degli elementi su cui costruire quel rinnovamento di cui ci sarebbe bisogno. Il problema della nostra Carta è che è stata attuata solo in parte; se fosse attuata in toto, avremmo certamente un sistema diverso".

Ultima modifica il Mercoledì, 18 Dicembre 2013 14:46

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