“Soltanto un vecchio amico mi chiama dottore, e c’è un signore, a L’Aquila, uno solo, che mi chiama ancora onorevole: ovunque vada, mi chiamano sindaco”.
Sindaco emerito, potremmo definirlo: sta di fatto che Massimo Cialente, è vero, viene chiamato ancora sindaco, ovunque, sebbene abbia lasciato Palazzo Fibbioni quasi due anni fa. E’ il 'sindaco del terremoto', d’altra parte, l’uomo che ha guidato la città negli anni più difficili della sua storia contemporanea. E il decennale non poteva che rappresentare la chiusura di un cerchio, il momento dei bilanci con lo sguardo, però, rivolto al futuro.
E' stato presentato sabato pomeriggio, all’Auditorium dell’Ance, il libro ‘L’Aquila 2009: una lezione mancata’, la prima fatica letteraria di Massimo Cialente, e c’è da scommetterci che potrebbe non restare l’unica. Accanto all’ex sindaco, la curatrice Antonella Calcagni e Pietro D’Amore della Castelvecchi Editore: parteciperanno gli ex assessori comunali Pietro Di Stefano e Alfredo Moroni, la deputata Stefania Pezzopane, l’ex presidente vicario di Regione Abruzzo Giovanni Lolli, il consigliere regionale Giovanni Legnini, già sottosegretario con delega alla ricostruzione, l’ingegner Elio Masciovecchio, componente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici oltre a Fabrizio Curcio, già capo della Protezione civile. Modera l'evento il direttore di laQtv Luca Bergamotto.
“Sento intorno a me tanto affetto. E’ il risvolto bello della vita di provincia, quando arrivi ad una certa età ti ritagli uno stato e un ruolo sociale: ecco il motivo per cui il lavoro è importante, altro che reddito di cittadinanza. Oggi sono una persona serena: le uniche preoccupazioni che ho attengono al futuro del paese e della città. D’altra parte, sono malato di politica”, riconosce Cialente.
Il libro nasce alla fine del 2016, al tramonto della seconda ed ultima legislatura. “Diversi giornalisti mi chiedevano interviste per fare un bilancio dei 10 anni di governo: Antonella Calcagni insistette e, una domenica pomeriggio, la incontrai a casa sua e cominciammo a registrare. Parlai per quasi tre ore. Ad un certo punto, il marito di Antonella ci interruppe: ‘stasera non si cena?’, chiese. Da lì, venne l’idea del libro: iniziammo a vederci regolarmente, raccogliendo moltissimo materiale. Intanto, Salvatore Santangelo mi accompagnò a parlare con Castelvecchi Editore che si mostrò interessato al progetto editoriale. Il libro si chiudeva con la vicenda di Amatrice, con la testimonianza di ciò che accadde quella mattina: con Pietro Di Stefano e il mio autista Innocenzo fummo tra i primi ad arrivare e Curcio, nei giorni scorsi, mi ha ricordato che fui il primo a chiamarlo. Sta di fatto che decisi di non pubblicare il libro: non mi piaceva la piega che stava prendendo la discussione verso le elezioni amministrative e non volevo mettere altra carne sul fuoco; dunque, chiusi il materiale in un cassetto. Dopo gli eventi sismici del gennaio 2017, però, l’editore tornò ad insistere affinché il libro venisse pubblicato e Antonella Calcagni mi convinse dicendomi che era un dovere civile finire il lavoro. E dunque, alla metà di ottobre abbiamo ripreso in mano le bozze; in questi mesi, abbiamo faticato come bestie”.
Cialente non nasconde la sofferenza vissuta nel ripercorrere gli anni del post terremoto: “sono stati 2 mesi e mezzo difficili. Per scrivere il libro, ordinando il materiale che avevamo sotto forma di intervista, ho dovuto rileggere la stampa dell’epoca, ripercorrendo i drammi che abbiamo vissuto e, così, leggendo ciò che scrivevano di me e della mia Giunta, articoli che non avevo avuto modo di sfogliare all’epoca. E’ stato un percorso di sofferenza, pagato anche dalla mia famiglia; è stato come rivivere quei momenti, e ci sono stato male fino all’ultima correzione”.
Già dal titolo, il libro svela il suo messaggio: la tragedia dell’Aquila, per il paese, ha rappresentato una lezione mancata, e per due motivi sottolinea Cialente: “i terremoti sono eventi naturali periodici; la nostra città ne ha vissuti cinque di distruttivi, dal 1254 ad oggi. Se ne verificheranno altri, in altre zone d’Italia, persino laddove si ritiene non ci sia rischio sismico. Insomma, le priorità sono la prevenzione e la messa in sicurezza del paese e, finalmente, una legge quadro sulle emergenze. In questo senso, la nostra tragedia non ha insegnato nulla”.
E’ una questione che torna ciclicamente, quella della messa in sicurezza e di una legge quadro per le emergenze. Eppure, i diversi Governi che si sono succeduti non hanno ritenuto di intervenire in questo senso. “Per fare una legge – sostiene l’ex sindaco dell’Aquila – è necessario si tolga di mezzo la lettura di parte di ciò che è avvenuto qui: la nostra tragedia non è stata raccontata nella sua oggettività. Da una parte, avevamo il Tg1 di Augusto Minzolini, Porta a Porta, Libero che celebravano l’azione del governo; dall’altra Il Fatto Quotidiano, Sabrina Guzzanti e altri che la demonizzavano. Può essere che nessuno abbia mai evidenziato, oggettivamente, ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato? Si potrebbe partire da qui”.
Nel libro, Cialente si dice convinto che abbia funzionato il progetto Case e, così, la decisione di non trasferire altrove gli uffici pubblici, e il suo ricordo corre alla famosa notte del 5 maggio 2009, allorquando - l’ex sindaco l’ha raccontato spesso - “venni a sapere di una ordinanza della Presidenza del Consiglio che, di fatto, avrebbe spogliato L'Aquila delle sue funzioni: mi opposi e, così, abbiamo salvato la città. Certo, abbiamo costretto gli aquilani a enormi sacrifici: d’altra parte, nel 1703 il commissario Garofalo, inviato dal Viceré di Napoli, mise le palizzate alle porte della città. Io non potevo farlo, ma bisognava fare in modo che la città sopravvivesse anche a costo di sacrifici. Abbiamo sofferto, abbiamo sofferto tutti. Ma quando si è fatto il censimento nel 2011, l’8 di ottobre, avevamo 66.700 abitanti, 700 in meno rispetto al 2001”.
E dove si è sbagliato, invece? “Ho perso la battaglia per avere regole più ferree nella ricostruzione privata: mi sono speso, non ce l’ho fatta e, ancora oggi, paghiamo i fallimenti di alcune imprese che hanno fatto incetta di incarichi per poi lasciare i lavori a metà, e così le difficoltà dei subappaltatori. D’altra parte, si partiva in 10 per far la guerra e, poi, restavo da solo, mollato anche dalla mia parte politica in alcuni casi. La sconfitta più grande, però, è la ricostruzione pubblica che sta gravando anche sulla rinascita del centro storico”.
In queste settimane, è la grande preoccupazione di Cialente che non ha mancato di far sentire la sua voce: “E sì, per il centro storico mi sto dannando l'anima. Se non riparte il centro storico, salta l’intero comprensorio. Quando una imprenditrice decide di andare via [il riferimento è a Marzia Buzzanca], di chiudere la sua attività e di lasciare la città, è un problema: date un’occhiata ai social, le sono state rivolte parole pesantissime. Alcuni le hanno scritto, ‘io amo L’Aquila e resto qui’: mi verrebbe da dirgli, 'fai qualcosa per L’Aquila, allora'. Purtroppo, e lo dico in aquilano, è calata l’aspettativa: la città è ripiegata su sé stessa. Anche per una certa soffocante trasversalità, si è assopita, pare rassegnata. Mancano voci critiche. Con me, c’era dibattito: anzi, a volte ero io stesso a stimolarlo con alcune uscite sui social. Oggi, c’è un silenzio assordante: penso all’Urban center, la nuova dirigenza compie 8 o 9 mesi: quando l’abbiamo pensato, con Fabio Pelini e Betty Leone, l’avevamo immaginato come una voce critica e libera della città. Non è andata così. Eppure, c’è bisogno di interlocuzione continua, ne ha bisogno chi governa soprattutto. Tornando al centro storico, se si intende davvero riportare gli uffici, ed è una priorità, servono parcheggi: lunedì mattina, alle 7, ero a fare le riprese al terminal di Collemaggio per dimostrare che il progetto dell’ascensore di collegamento con viale Rendina non crea alcun problema alle mura urbiche. Biondi ha detto che la Soprintendenza è contraria al progetto? Sapeste quante volte mi hanno detto di no: va messo in campo un lavoro di concertazione. D’altra parte, a Perugia hanno realizzato le scale mobili dentro la rocca: davvero qui non si riesce a progettare un ascensore che colleghi il mega parcheggio col camminamento?”.
Sfogliare ‘L’Aquila 2009: una lezione mancata’ significa ripercorrere gli anni difficilissimi che ci siamo lasciati alle spalle anche attraverso alcuni aneddoti, raccontati da Cialente con la solita ironia. Tra gli altri, la visita a L’Aquila di Papa Ratzinger subito dopo il terremoto. “Provate a immaginare la confusione, in quelle ore: dietro queste visite c’è un protocollo rigidissimo ed erano giornate convulse. Mi spiegano che avrei dovuto tenere un intervento di 7-8 minuti. Figuratevi: chiamo Fabrizio Caporale [capo ufficio stampa del Comune, ndr] e detto il mio discorso a braccio chiedendogli di tenerlo dentro i 7 minuti. Il Papa era atteso ad Onna, poi alla Basilica Collemaggio e, infine, avrebbe dovuto raggiungerci alla Guardia di Finanza. I tempi, però, si allungano: mi avvertono che avrei avuto al massimo 4 minuti. Non avevo modo di rivedere il discorso: andai a braccio e parlai col cuore. In quei momenti, mi accorsi che Benedetto XVI mi guardava con dolcezza: quando andai a salutarlo, lo sentii così vicino che gli misi una mano sulla spalla. E non si può fare! Ebbe parole bellissime per gli aquilani. Sapevo che si era fermato in preghiera a Collemaggio, questo era il motivo del ritardo: dunque, gli chiesi di promettermi che sarebbe tornato in occasione della riapertura della Basilica. Mi fissò e mi disse: ‘se ci saremo ancora’. Ora, per una battuta mi faccio tagliare il mignolo: ‘e che è sto pessimismo, guardi che sarò veloce eh…’ risposi. Il Papa sorrise e ripeté di nuovo: ‘se ci saremo ancora’. Tempo dopo ero seduto alla mia scrivania, chiama mia moglie e mi dice: ‘si è dimesso il Papa’. In quel momento, ho compreso il senso delle sue parole. Benedetto XVI aveva pregato a lungo sul mausoleo di Celestino V, lasciò persino il suo pallio: fu un gesto fortissimo. Pensate che Giovanni Paolo II, quando visitò la Basilica, non si avvicinò neanche al mausoleo di Celestino. Immagino il suo tormento, come si sarà sentito lacerato in quel momento. Ai primi di luglio 2009, tra l’altro, Ratzinger visitò Sulmona, in una delle giornate più calde che ricordi: nell’omelia, parlò proprio di Celestino. A dire di come quella visita lo aveva segnato profondamente”.
Un aneddoto che lascia un’ultima riflessione a Cialente: “se hai una coscienza, innanzi a difficoltà terribili non puoi che chiederti: ‘sono io l’uomo giusto? Sto sbagliando?’. Nel mio piccolo, è capitato anche a me: la cosa più terribile è la solitudine di chi deve prendere le decisioni; se decidi in tempo di pace, è un conto: decidere in tempo di guerra, però, è devastante. Vorrei vivere altri vent’anni per capire se alcune decisioni che ho preso quasi da solo si riveleranno utili oppure no: potrà dircelo soltanto la storia”.