Da Ascoli Piceno fino a L’Aquila, percorrendo la Salaria, lo scenario meraviglioso degli Appennini è punteggiato di distruzione; Acquasanta Terme, Arquata del Tronto con le sue frazioni, Grisciano, Accumoli, lasciandosi a sinistra l’incrocio di Amatrice e salendo a Torrita, Scai e giù fino a Montereale, è un susseguirsi di borghi devastati dalla furia del terremoto dell’agosto 2016, di piccole luci che rompono il buio, di televisori accesi oltre le finestre delle Sae, le soluzioni abitative in emergenza realizzate per dare un tetto agli sfollati che hanno deciso di restare, di non andare via. Di gru, non se ne vede neanche una: la ricostruzione è praticamente ferma.
Eppure siamo nel cuore d’Italia, un territorio che è scrigno di tradizioni e cultura al confine tra quattro regioni: Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo.
Abbiamo deciso di tornare in quei luoghi dimenticati e, nelle prossime settimane, li percorreremo per raccontare ciò che sta accadendo lontano dai riflettori; abbiamo pensato di partire da piazza Arringo, ad Ascoli, dal magnifico palazzo vescovile che affaccia sul Duomo dove siamo stati ricevuti dal Vescovo della diocesi di Ascoli (tra le province più colpite dagli eventi dell’agosto di tre anni fa), monsignor Giovanni D’Ercole, che ha vissuto il terremoto dell’Aquila - è stato ausiliario dal novembre 2009 e fino ad aprile 2014 - e poi gli eventi che si sono succeduti in centro Italia.
“Sono arrivato all’Aquila dopo il terremoto e, dunque, ho vissuto il post sisma, la prima fase del grande entusiasmo, della grande solidarietà e la seconda fase, quella che definisco un secondo terremoto, che ha iniziato a spaccare i cuori della gente”, ricorda D'Ercole ai nostri microfoni; “è stato un momento difficilissimo, segnato da polemiche, divisioni, profonde sofferenze; per me ha rappresentato una grande fatica ma anche una importante esperienza umana. Ad Ascoli, invece, ho vissuto la scossa di terremoto in prima persona: forte dell’esperienza aquilana ho cercato di stare da subito sul pezzo, in mezzo alla gente sin dai primi momenti. Col senno di poi, le dinamiche sono state più o meno le stesse, la reazione, forse, è stata leggermente diversa; a L’Aquila, dopo qualche mese la gente si era già un poco ripresa. Qui, ho visto le comunità smarrite: nei Comuni di Arquata, Montegallo, Acquasanta, quelli colpiti quasi a morte dal terremoto, man mano che il tempo passa la gente perde la speranza, si chiude in se stessa. I ragazzi scappano, i vecchi si lasciano morire. Il compito mio, di un Vescovo, è di provare a restituire speranza, favorire la ricostruzione materiale certo, dei beni ecclesiastici, ma soprattutto quella morale, spirituale e sociale su cui abbiamo investito tantissimo, più di 1 milione di euro per aiutare le persone, le famiglie a ripartire”.
D’Ercole racconta che i giovani stanno lasciando i borghi dell’ascolano: “le persone che restano sono quasi tutte anziane, fanno di necessità virtù; al momento della costruzione dei Sae, a differenza di quanto accaduto a L’Aquila – ricordo che negli insediamenti del progetto Case non erano stati previsti dei luoghi d’aggregazione: al mio arrivo mi battei per questo, per evitare che i complessi restassero dei dormitori lontani dalla città – ci siamo preoccupati di allestire una Chiesa in ogni villaggio, per non far sentire abbandonati gli sfollati. In questo senso, ho fatto venire una comunità di suore che vivono con loro, dalla mattina alla sera, passano di casa in casa, percepiscono le problematiche, parlano e confortano gli anziani, in particolare. La gente viene aiutata a riprendere coraggio”.
Parliamo di comunità poco numerose, di Comuni che, già prima del terremoto, avevano pochi residenti. “E’ vero, qui vivono poche persone: da un punto di vista elettorale questi territori contano poco. Sarebbe sbagliato, però, si ragionasse in questi termini: se si lasceranno spopolare questi Comuni, si perderà una ricchezza culturale e storica che rimpiangeremo amaramente. Piuttosto, punterei con decisione a ridare vita a queste zone: la gran parte delle abitazioni erano di romani che il fine settimana venivano qui, seconde case certo ma in realtà abitazioni vissute da famiglie che vi trascorrevano gran parte del tempo libero. Ecco, se si guardasse con lungimiranza al futuro di questi borghi si capirebbe che stante il rapporto con Roma, la posizione geografica a cavallo tra quattro regioni, potrebbero avere un grande sviluppo dal punto di vista turistico: si tratta di posti stupendi che nulla hanno da invidiare ad altre zone d’Italia ben più conosciute. Lo ripeto: se si dovessero spopolare, sarebbe difficilissimo poi ripopolarle”.
Evidentemente, l'impasse nella ricostruzione dei borghi colpiti dagli eventi sismici dell’agosto 2016, e dei luoghi sconvolti dai terremoti che si sono susseguiti fino al gennaio 2017, attiene alla mancata risposta del sistema Paese che, per l’ennesima volta, dinanzi ad una tragedia di questo tipo, ha ricominciato sostanzialmente da capo, incapace di dotarsi di una normativa quadro facendo tesoro delle migliori pratiche sperimentate nella gestione di altre calamità e correggendo gli errori commessi in passato.
“L’Aquila ha avuto una grande fortuna, di avere un commissario come Guido Bertolaso che non è stato capito”, sottolinea D’Ercole; “qui, è andata diversamente. Il primo anno abbiamo avuto un ottimo commissario, poi c’è stato soltanto silenzio; nell’immediatezza, Vasco Errani - che aveva vissuto l’esperienza del terremoto in Emilia Romagna - è stato di grande aiuto: di giorno e di notte lo potevi raggiungere, era sul campo. A differenza di Bertolaso però, che aveva ampi poteri decisionali, qui la gestione dell’emergenza è stata eccessivamente burocratizzata, sin dai primissimi momenti. La farraginosità dei processi, legata anche al succedersi di tre commissari diversi in tre anni, ha finito per ingessare la ricostruzione. Tanto è vero che siamo ancora fermi. La ricostruzione privata procede piano piano, quella pubblica non è stata ancora avviata: parlando delle Chiese danneggiate, abbiamo potuto realizzare delle messe in sicurezza soltanto grazie ad Errani: poi, non si è fatto più nulla”.
A L’Aquila, D’Ercole era stato tra coloro che più si era speso per fare in modo che la Curia potesse essere soggetto attuatore degli interventi sui beni ecclesiastici; ricorderete il lungo braccio di ferro, che creò un clima di acceso confronto, meglio dire di scontro tra la Chiesa e le amministrazioni locali. “Mi battei per diventare soggetto attuatore ma avevo il Comune contro, che si oppose nettamente imponendo che i Beni culturali assumessero l’impegno” ricorda D’Ercole, ancora convinto delle sue ragioni: “oggi a L’Aquila la ricostruzione delle Chiese è al palo, non è un caso. La stessa cosa si voleva riproporre qui: tenuto conto dell’esperienza aquilana, però, abbiamo agito con decisione sull’allora commissario Errani che ha compreso le nostre ragioni, rendendo soggetti attuatori la Diocesi, le parrocchie. Da questo punto di vista, siamo un passo avanti; purtroppo le turbolenze politiche, il succedersi di diversi governi, tiene fermi i processi. Al momento, gli interventi sono stati suddivisi in sotto soglia e sopra soglia, significa che fino a 700 mila euro si può procedere con procedura privata, oltre con procedura negoziata; tuttavia, non sono ancora arrivate le linee guida per avviare la ricostruzione. E’ un problema burocratico: aspettiamo che la vicenda si sblocchi, poi si potranno finalmente aprire i cantieri”.
D’Ercole è convinto si dovesse guardare al passato: “se avessero adottato la procedura del terremoto del 1997, sarebbe andata diversamente. Il problema in Italia è proprio questo: non è stata ancora istruita una norma quadro che, sulla base delle esperienze maturate, possa essere calata sui territori colpiti da calamità naturali per velocizzare le procedure. Ogni volta si ricomincia da capo, con incognite, scontri, discussioni che, di fatto, tengono fermi i processi”.
E D’Ercole, in questo senso, ha accumulato una certa esperienza, considerato il ruolo che sta giocando da Vescovo di Ascoli e il lavoro fatto a L’Aquila, come ausiliario inviato in città per dare sostegno all’allora Vescovo Giuseppe Molinari proprio sulla ricostruzione materiale dei beni ecclesiastici danneggiati; una attività, la sua, che oltre agli scontri con le amministrazioni dell’epoca lo ha reso protagonista di una spinosa vicenda giudiziaria, conclusa con l’assoluzione da ogni addebito, in merito alla gestione dei così detti fondi Giovanardi, con D’Ercole che fu processato con l’accusa di aver rivelato segreti sulle indagini che stavano conducendo gli inquirenti.
Una vicenda, racconta oggi, “che mi ha lasciato un profondo senso di tristezza: abbiamo perso tempo e risorse, sprecando energie inutilmente e sciupando enormi possibilità. Ho visto una cattiveria inutile, un modo di guardare alle cose negativo, sospettoso; tuttavia, conservo dentro di me un grande affetto per L’Aquila. Nei momenti più difficili, ho sentito vicina la gente in un modo straordinario: non potrò mai dimenticarlo. Voi aquilani avete una grande ricchezza d’animo”.