Giovedì, 12 Novembre 2020 18:56

Jane’s Walk L’Aquila su NewsTown: l'intervista a Silvia de Paulis (Slow Food)

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Di Quirino Crosta - Per la nuova puntata della nostra rubrica, siamo andati a Paganica, dove troviamo l’ultimo presidio Slow Food: il fagiolo di Paganica.

Salutiamo Silvia de Paulis, del Comitato Esecutivo Slow Food Italia.

Grazie a voi e bentrovati e bentrovate a tutte! Mi permetto di portare il saluto della mia Associazione, Slow Food, che in questi ultimi mesi si sta interrogando in modo forte e deciso su una visione di futuro, sulla centralità del cibo, buono, pulito, giusto e sano, su un uso corretto e consapevole dei beni comuni, sull’importanza e il ruolo delle aree interne, sull’agroecologia, sui cambiamenti climatici.

Slow Food International ha messo in chiaro questi punti?

Nel congresso internazionale di Chengdu (Dichiarazione di Chengdu, 1 ottobre 2017, ndr), in Cina, si era alzata forte la voce di agire insieme, di fare Comunità. E l’insieme delle Associazioni che hanno aderito a questa bellissima iniziativa, è rappresentativo di una Comunità vivace e attiva. E questo fa ben sperare per il futuro che ci aspetta. Ma per tornare alla nostra passeggiata, riprendo per dire che siamo giunti alla settima e ultima tappa, siamo a Paganica.

Una frazione che conosci molto bene, possiamo dire.

Abbastanza! Paganica è una frazione dell’Aquila che, con l’urbanizzazione è ormai diventata un unicum con il capoluogo, pur mantenendo una sua identità forte e marcata.

Cosa sta succedendo oggi qui a Paganica?

Nel centro storico è evidente una ricostruzione in spaventoso ritardo, mentre le aree agricole sono state purtroppo occupate prima dal Nucleo Industriale, poi dalle New Towns, oltre a una miriade di abitazioni provvisorie. Una politica scellerata ha quindi modificato non solo il paesaggio agrario, ma anche un’economia familiare di piccola scala, che da sempre ha caratterizzato questa frazione.

Cosa rende unico questo angolo di territorio?

Grazie ai suoli freschi e profondi, di natura alluvionale, e alla presenza di corsi d’acqua, in particolare del fiume Vera, le cui sorgenti sgorgano dalle falde del Gran Sasso, ha trovato il suo habitat ottimale la coltivazione di fagioli, che hanno preso il nome della frazione e da qualche anno sono diventati Presidio Slow Food.

Come possiamo riconoscerli?  

Con fiore bianco, rampicanti, possono raggiungere i due metri di altezza se vengono sostenuti da appositi pali di legno di salice, del fagiolo di Paganica esistono due ecotipi, entrambi vengono coltivati con un ciclo che va dai 160 ai 180 giorni. L’unica differenza è il colore del seme: il fagiolo a pane (o “ad olio”), ha un colore compreso tra il beige, l’avana, il nocciola, ed ha un occhio centrale; mentre il fagiolo bianco (anche definito “a pisello”), è di colore bianco avorio ed è leggermente più tondo del primo.

Cosa puoi raccontarci ancora?

Quella dei fagioli è una coltura piuttosto laboriosa. Richiede molta manodopera e un’irrigazione frequente, che i contadini si assicurano sfruttando ancora oggi un sistema idraulico a scorrimento risalente all’epoca romana. Tra fine aprile e inizio maggio avviene la semina, seguita dalla sarchiatura per eliminare le erbacce e dalla rincalzatura. Dieci giorni dopo la sarchiatura si tirano su le “capanne”: sostegni realizzati con quattro pali di salice, piantati nei solchi e legati insieme. Il legno per i pali viene lavorato in inverno, proprio come si faceva in passato, unendo al lavoro agricolo la cura per il territorio.

Sta venendo su il racconto di una tradizione, un brano di civilità rurale. Come si raccolgono?

Anche la raccolta avviene a mano, seguendo i metodi tradizionali e facendo attenzione a lasciare sul posto le radici, ricche di azoto e utili come concime naturale. In ottobre le piante mature vengono tagliate e stese al sole per un paio di giorni, quindi battute con le forche per separare i baccelli. Bucce e piante sono immagazzinate per l’alimentazione delle pecore, mentre i fagioli, dopo una seconda essiccazione al sole, vengono “capati”, cioè selezionati uno per uno proprio come si deve fare, nello stesso periodo, con i fiori di zafferano.

Cosa rappresenta questo presidio?

Fino agli anni Cinquanta i legumi non hanno rappresentato solo la cosiddetta “carne dei poveri”, ma la fonte di reddito più importante per i contadini paganichesi. Il boom economico, però, ha dirottato buona parte della popolazione verso gli uffici del capoluogo. Abbandono dei campi e perdita dei vecchi mestieri si saldano agli errori di programmazione della politica.

Chi si occupa oggi di questo prodotto?

Il futuro di questa coltivazione è legato, per fortuna, a un piccolo ma motivato gruppo di giovani coltivatori che hanno creduto nella produzione dei fagioli di Paganica sia come fonte di reddito sia come volano per la rinascita sociale del territorio, impegnandosi a recuperare la semente dai coltivatori più anziani e a gestire la coltivazione in modo eco-sostenibile. E nella lavorazione tradizionale, è alle donne (nonne, mamma, zie, sorelle) sono affidate le operazioni manuali successive alla raccolta. E sono loro vicine al gruppo di giovani agricoltori. A loro va il nostro incoraggiamento.

Come concludiamo quest’ultima tappa?

Questo breve racconto ha voluto trattare, anche se a brevi cenni, l’importanza della Biodiversità agricola, il passaggio di saperi tra diverse generazioni, Educazione, ma soprattutto ha voluto mettere al centro come delle scelte politiche errate hanno sottratto terreno fertile e rischiano di allontanare i pochi rimasti. Ora più che mai deve alzarsi forte la voce delle associazioni, dei cittadini tutti, affinché chi governa assicuri una politica seria a tutela dei beni comuni, accompagnata da azioni concrete che aiutino giovani donne e giovani uomini a coltivare la terra, ad allevare bestiame, a trasformare tutto ciò in cibo buono, pulito, giusto e sano per tutti.

 

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