Lunedì, 12 Gennaio 2015 16:26

2014: cosa si lascia alle spalle il Medio Oriente?

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di Jacopo Intini - E' stato un anno di sangue quello che ha segnato il Medio Oriente. Dalla guerra in Siria, - oggi per di più scossa dai massacri perpetrati dai miliziani dello Stato Islamico (in arabo Da’ish) che da mesi si muovono tra Baghdad e Aleppon - alla riapertura dei conflitti in Libia, passando per il tragico bilancio nella Striscia di Gaza a seguito dell’operazione Protective Edge, messa in atto dalle forze di difesa israeliane (Idf) questa estate.

Un anno duro per i principali attori politici occidentali, tra cui Unione Europea e Stati Uniti, le cui debolezze diplomatiche emerse alimentano gli interrogativi su quali debbano essere i fattori decisivi per la risoluzione dei conflitti in corso. Conflitti che continuano a distruggere le economie locali colpendo per la maggior parte la popolazione civile. Dati Onu, diffusi il 15 dicembre scorso, dichiarano che le vittime stimate negli ultimi 10 mesi in Siria ammonterebbero a 200mila persone. Dodici milioni (2,9 milioni in più negli ultimi dieci mesi) sono i siriani che oggi richiedono assistenza, di cui 7,6 sono ancora in Siria e 3 milioni rifugiati nei paesi confinanti.

Un anno tragico anche per i giornalisti. Un drammatico rapporto diffuso dalla Press Emblem Campaign (Pec) attesta che sono 46 i giornalisti inviati in Medio Oriente rimasti uccisi nel 2014, come "target principale" di miliziani o forze del governo: 16 di questi, tra cui Simone Camilli, giovane video reporter italiano, sono morti nella Striscia di Gaza, ritenuta "il luogo più pericoloso dove fare informazione".

In Cisgiordania, intanto, altri numeri. Nel corso del 2014 sono 51 le vittime accertate tra la popolazione civile locale. Il pugno di ferro di Netanyahu continua a stringere i territori palestinesi occupati con una campagna di repressione che, dalla scomparsa dei tre ragazzi ebrei rapiti a giugno nei pressi di Hebron, ha portato ad un numero sempre più crescente di arresti. Dati diffusi dall'agenzia di stampa Ma’an News, attestano che correntemente sono circa 7mila i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Durante l’operazione di luglio e agosto a Gaza, in West Bank sono stati compiuti più di 2mila arresti di cui circa 1266 su minori di 15 anni, come ha affermato Abdel Nasser Farawna, responsabile palestinese degli Affari per i prigionieri dell’Olp (Memo). Tra questi circa 200 sono attualmente rinchiusi nelle carceri israeliane. Farawna ha inoltre aggiunto che i minori arrestati quest’anno sono circa l’87% in più rispetto ai tre anni precedenti.

A Gaza l’economia è al collasso, la popolazione vive con 16 ore di elettricità al giorno e la ricostruzione ritarda, sospesa sull’instabilità della riconciliazione tra le due principali forze politiche palestinesi Fatah e Hamas. Il mercato marittimo ha passato un 2014 da record. Nonostante le 20 miglia nautiche accordate durante gli accordi di Gerico nel 1994, negli ultimi vent’anni i Gazawi hanno perso l’85% delle proprie acque, avendo accesso solo a 3 miglia di quelle concesse. Come previsto dagli accordi raggiunti il 26 agosto scorso al termine della guerra, il diritto di pesca sarebbe stato da estendere alle 6 miglia nautiche e avrebbe dovuto raggiungere gradualmente le 12 miglia entro la fine del 2014. Durante i 18 raids compiuti dalle forze di difesa israeliane durante i mesi di luglio e agosto, 56 pescatori sono stati arrestati, 21 pescherecci e 14 reti confiscati.

I pescatori Gazawi erano soliti pescare circa 4mila tonnellate di pesce, quest’anno il totale è sceso a meno di 1500 tonnellate per una perdita secca per la Striscia di Gaza di circa 9 milioni di dollari (Ma’an). Intanto i disagi dell’inverno danneggiano ulteriormente la popolazione, soprattutto quella sfollata a seguito dell’operazione "margine protettivo" che risulta essere di almeno 110mila persone. La pioggia ha causato allagamenti nella zona di Sheikh Radwan, distretto di Gaza City a tre chilometri dal centro città.

A seguito della firma della Palestina dello Statuto di Roma e della richiesta di adesione alla Corte Penale Internazionale (International Criminal Court- Icc in inglese), Israele blocca il trasferimento di circa 127milioni di dollari, raccolti tramite tasse e imposte dallo stesso Stato ebraico in Cisgiordania e destinate all’Anp, l’attuale organismo politico di governo palestinese, secondo gli accordi di Oslo del 1993. Questa decisione potrebbe comportare il crollo dell’Autorità Nazionale Palestinese in quanto, quest’ultima, potrebbe non riuscire a coprire gli stipendi di dipendenti pubblici e forze di sicurezza.

Netanyahu afferma che i palestinesi debbano temere più l’Icc che Israele stesso. A breve verrà aperta un’inchiesta sui crimini di guerra di Israele, applicazione retroattiva fino al 13 giugno scorso. Il Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman interpreta la richiesta di adesione della Palestina al tribunale per i crimini internazionali come il fallimento degli accordi di Oslo e risponde affermando che “ i palestinesi sono i responsabili dell’omicidio indiscriminato di uomini, donne, bambini e neonati negli ultimi 100 anni”.

Intanto falliscono, il 30 dicembre, i negoziati presso l’Onu per la risoluzione presentata da Abu Mazen, dove determinante è stata l’inaspettata astensione della Nigeria. Lo Stato africano, insieme all’Autorità Nazionale Palestinese, è membro dell’Organizzazione di Cooperazione Islamica. Come riporta Ma’an News Agency, il rappresentante palestinese presso l’Oic, Muhannad al-Akluk, ritiene che l’astensione della Nigeria sulla risoluzione palestinese rappresenta una "chiara contraddizione" e viola numerose risoluzioni approvate durante i summits dell’Organizzazione Islamica in supporto alla Palestina. Tra una settimana il presidente palestinese presenterà una nuova risoluzione al Consiglio di Sicurezza Onu. Intanto i fallimenti dei processi di pace raffreddano nuovamente i rapporti all’interno della coalizione Fatah-Hamas. Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, invita il presidente Abbas a smettere di manipolare i diritti dei palestinesi e le aspirazioni nazionali (Memo).

Ci si aspetta un 2015 decisivo per il futuro del conflitto. La ricostruzione di Gaza, l’apertura delle frontiere e la fine dell’occupazione in Cisgiordania sono strettamente legate al destino dei negoziati e all’alleanza tra Abu Mazen e Hamas. Mentre Israele si prepara alle elezioni previste per Marzo, il permanere dello status quo è il rischio principale.

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