Seconda intervista di NewsTown, dopo quella a Pierpaolo Pietrucci pubblicata ieri, ai due esponenti del Pd che si affronteranno alle primarie indette per la scelta del candidato sindaco alle prossime elezioni amministrative.
Lo sfidante di Pietrucci sarà Americo Di Benedetto, già sindaco di Acciano e attuale presidente della Gran Sasso Acqua.
Anche a Di Benedetto abbiamo rivolto alcune domande sulla competizione elettorale che l’attende, sulle questioni da affrontare quale venisse eletto sindaco e sul futuro che immagina per la città.
Di Benedetto, lei è stato tra i primi a chiedere che il centrosinistra celebrasse le primarie e uno dei primi a manifestare chiaramente la volontà di scendere in campo: cosa l'ha spinta a mettersi in gioco?
Mi sono candidato per dare seguito a un percorso iniziato molto tempo fa, per vedere se tutto il lavoro da formica fatto in questi anni ha un senso politico o no. Sono sempre stato a disposizione del Pd inteso come progetto politico condiviso, un progetto nel quale ho potuto portare la mia sensibilità come fattore complementare e di unione. Se sei uno che lavora e lo fa con senso di responsabilità, arriva inevitabilmente un momento in cui nasce la necessità di misurare il tuo potenziale elettorale. Attenzione: non per un ritorno personale ma perché, se hai fatto un percorso di vita e hai ritagliato una parte del tuo tempo per un impegno civico, perché per me la politica questo è, un civismo di parte, arriva il momento in cui devi decidere cosa fare da grande. A meno che tu non stia dentro un meccanismo solo in funzione di un discorso conservativo e in maniera utilitaristica e galleggi perché pensi di trarne prima o poi qualche utilità. Ma non è un discorso che mi appartiene.
Ho chiesto che si facessero le primarie quando si è capito che non ci sarebbe stata una soluzione condivisa sulla candidatura e non si riusciva a fare un percorso che mettesse tutti d’accordo. Siccome noi le primarie le abbiamo sempre fatte, anche quando c’era una soluzione condivisa, l’unica possibilità per tenere insieme il partito valorizzando la dignità politica di tutti era questa. Sarà un confronto ampio, democratico, bello, e lo sarà a maggior ragione perché a misurarsi saranno persone che hanno già avuto la possibilità di ricoprire ruoli istituzionali. A tal proposito, io non ho mai detto che chi aveva altri ruoli non doveva candidarsi. Ho detto invece che, per rispetto degli elettori e in funzione di un percorso ben fermo che avevamo fatto nella precedente campagna elettorale, c’era bisogno di una rivalutazione elettorale. E quale strumento migliore se non le primarie?
Che campagna elettorale sarà, quella delle primarie, che la vedrà contrapposta ad un esponente di peso del suo partito, Pierpaolo Pietrucci?
Per quanto mi riguarda, una campagna condotta nel mio stile. Non faccio campagne contro, men che meno alle primarie. Andrò per la mia strada, con il mio modo di fare, la mia esperienza, il mio bagaglio, i risultati che porto all’attenzione della città, nella consapevolezza che il lavoro da me fatto sta comunque nell’ambito dell’amministrazione uscente. La cosa più sbagliata, secondo me, è dimostrare una voglia di discontinuità quando si è stati parte attiva di un processo. Più che di discontinuità parlerei di un rinnovamento nella continuità. Anche perché nella pubblica amministrazione, e a maggior ragione in quella degli enti locali, è obbligatoria una certa continuità amministrativa. C’è l’esigenza di valorizzare quanto di buono è stato fatto, di verificare dove e come si deve rilanciare. Ma rilanciare, non ripartire da zero, con la conoscenza che appartiene a chi ha amministrato fino a ieri ma senza avere la presunzione di sapere tutto. Il primo passaggio da fare è dar vita a una grande campagna di ascolto per capire quelle che dovranno essere le scelte strategiche per la città.
Teme che primarie così, aperte, vere e davvero contendibili, possano logorare il Partito democratico e, dunque, fiaccare il centrosinistra più che 'lanciarlo' verso le elezioni di giugno?
Non credo che esista questo rischio, abbiamo un obiettivo più alto e importante. Certo, ognuno di noi ha un sentimento politico e un percorso suo proprio che deve rappresentare in maniera adeguata. Qui però non ci saranno diverse mozioni a confrontarsi, ce ne sarà una soltanto ed è L’Aquila, il bene della città. Certo, molto dipenderà dall’intelligenza delle persone ma non credo che esista un pericolo logoramento né che le vicende nazionali possano avere strascichi su quelle locali.
Dovesse vincere le primarie, e poi le elezioni amministrative, quali sarebbero le sue priorità da sindaco dell'Aquila?
E’ necessario anzitutto creare un contesto di consapevolezza riguardo la convivenza che dobbiamo instaurare con ciò che, negli ultimi anni, ci ha profondamente segnati e lacerati. C’è l’esigenza di scrollarci di dosso la preoccupazione ma per fare questo non possiamo solo dimenticare, confidando nel trascorrere del tempo. La ricostruzione, seppur con qualche ritardo nelle frazioni e negli edifici pubblici, sta procedendo bene, dobbiamo poter dire alle persone “state tranquilli” perché siamo certi delle strutture che abbiamo, anzitutto di quelle pubbliche, in primis le scuole.
Occorre poi trovare nuovi sistemi di accelerazione per le urgenze. Il dramma è che oggi non si riesce a trovare un sistema derogatorio perché se n’è approfittato troppo in passato. Ma alcune situazioni o le esternalizziamo oppure le subiamo. Ad esempio, per fare le verifiche sul Cotugno ci è voluto tutto questo tempo non per incapacità amministrativa ma perché si è rimasti ingessati nelle pastoie, anche lì dove c’erano delle esigenze evidenti.
Altri impegni sono il rilancio di alcune cose che storicamente sono sempre state le nostre, come la formazione e l’università, e la valorizzazione del nostro apparato pubblico che è la vera certificazione dell’Aquila capoluogo di regione. Una parte della nostra economia è sempre stata la Pubblica Amministrazione, bisogna riportare gli uffici pubblici in centro ma dotando quest’ultimo di servizi, parcheggi e accessi veloci per non ingolfarlo, pedonalizzandolo e assicurando l’ordine e il decoro. Si può iniziare a fare tutto questo subito, chiaramente rispettando lo stato di avanzamento dei lavori.
Altra priorità sarà il lavoro: non bisognerà fermarsi, però, a cercare l’occasione, andranno studiate idee condivise. C’è l’esigenza di una grande apertura della città e del coinvolgimento delle forze economiche e rappresentative delle varie categorie per studiare un progetto, puntando sulle buone pratiche poste in essere dall’Europa e su un sistema incentivante che non sia però mero assistenzialismo. La battaglia sulla no tax area è una battaglia che tutti vorremmo combattere ma che concretezza ha considerando le direttive europee sugli aiuti di Stato? Dobbiamo trovare il giusto elemento di congiunzione, attrarre nuova forza lavoro difendendo naturalmente quella che c’è. Bene, anzi, benissimo l’azione che si sta facendo sui call center ma bisogna guardare oltre.
Alcuni dei temi sul tavolo della discussione pubblica sono lo sviluppo del Gran Sasso, le infrastrutture (variante sud e ponte della Mausonia, tra le altre), la gestione del Progetto Case: come li affronterebbe, fosse eletto sindaco?
Sul Gran Sasso il problema è che è una risorsa che ha i soldi ma non è sviluppata trovandosi in un imbuto tra legittimo sviluppo e legittima tutela dell’ambiente. Il problema lo vedo risolvibile solo con una grande campagna di ascolto. L’errore principale che si è fatto sul Gran Sasso è stato quello di intraprendere un percorso che poi ha incontrato un limite tecnico-amministrativo. Per questo serve programmazione: se programmate nella maniera giusta, le cose si possono fare, anche con aggiustamenti in corso d’opera. Ad esempio, se io voglio realizzare un impianto di depurazione, non è che prima faccio il progetto, poi vado a gara e poi vedo se l’opera è compatibile urbanisticamente. La prima cosa da fare è andare a vedere se lì nel posto in cui voglio farlo c’è un’area tecnologica. Se non c’è, è inutile avviare la procedura, che porterà inevitabilmente a una bocciatura dove verrà scritto che avrei avuto bisogno di una variante urbanistica. Ma per chiedere questa dovrò prima verificare il piano paesaggistico regionale. La programmazione ti permette di fare tutto ma costa lavoro e tempo. Nel caso di specie, quelli che hanno sottoscritto l’uscita dal parco lo hanno fatto non perché non vogliono più starci ma perché sono sfiancati.
Lo stesso approccio dovrà esserci anche su altre questioni. Il lavoro fatto finora è comunque utile, va solo corretto un po’ il tiro. Deve essere chiaro, tuttavia, che l’assunzione di responsabilità è un elemento indispensabile nel governo di una città: a un certo punto bisogna decidere perché tanto non è possibile mettere tutti d’accordo. E la decisione finale deve essere quella che alla fine del dibattito conterrà la soluzione maggiormente condivisa.
Per la gestione del Progetto Case non abbiamo bisogno di creare altre società partecipate. C’è già un soggetto che gestisce un patrimonio immobiliare ed è l’Ater. Io valuterei più un percorso del genere. Il guadagno che il Comune avrà dal Progetto Case sarà non rimetterci. Ma non dovrà guadagnarci.
Non è affatto semplice, per una coalizione, confermarsi dopo 10 anni di governo di una città, figurarsi a L'aquila. Come si segna la necessaria discontinuità senza disconoscere il lavoro fatto fino ad oggi?
La prima discontinuità sarà l’assenza di Cialente, un sindaco particolare, dotato di forza politica e di una grande determinazione. Senza di lui cambierà inevitabilmente un metodo: non perché quello usato da Cialente sia stato sbagliato ma perché non sarà più riproponibile venendo a mancare chi lo ha personificato. Discontinuità, del resto, non vuol dire cacciare tutti per dimostrare di voler rompere con il passato. Bisognerà raccogliere le critiche, correggere l’azione lì dove sarà necessario, prendere il bagaglio che hai ereditato e rilanciarlo. Questa è la vera discontinuità, un’elevazione del dibattito politico. La contestazione politica è solo una possibilità, per chi la esercita, di trovare un momento di dignità e visibilità. Poi però bisogna trovare le soluzioni ai problemi. Questo è un ragionamento che può fare chi non governa ma chi governa non può permetterselo. È un atteggiamento utilitaristico mentre io cerco condivisione, ampliamento del dibattito.
Il piano regolatore, è la sfida che attende il prossimo sindaco nei primi mesi di mandato?
Il Prg è già in una fase avanzata di studio e condivisione. Sicuramente è una cosa che va fatta a inizio mandato, perché senza non si possono dare risposte alla collettività. Dovrà puntare sulla qualità urbanistica con le deroghe del caso, per essere calato all’interno del contesto venutosi a creare in seguito al terremoto. Penso a delle deroghe per l’edificazione normata che non può esser sanata ma può essere resa compatibile in funzione di una qualità e di una situazione che viviamo in questo momento, che è quella della paura. Va studiato un percorso affinché quello che ha valorizzato determinate zone possa rimanere, con qualche aggiustamento.
Come si immagina L’Aquila tra dieci anni?
Come una città dove si sarà portato a compimento il lavoro iniziato. Immagino una città culturalmente metropolitana, una città accogliente, una città territorio, in grado di dare dignità e decoro alle frazioni, ognuna delle quali è un centro di aggregazione che bisogna valorizzare con il decentramento e non con l’accentramento. Mi piacerebbe una città dove ognuno potrà trvare gratificazione nell’esercizio del proprio lavoro facendo ciò che desidera fare. Il lavoro più bello è quello che ti permette di vedere la giornata passata in uno schiocco di dita, di non soffrire la fatica perché stai facendo quello che ti piace. Vorrei vedere un ritorno a un fermento universitario e a una crescita delle relazioni. Immagino una città a dimensione umana, dove c’è tutto e in cui avremo la certezza che la nostra vita potrà essere vissuta in un ambiente insostituibile. Non perché ci sei nato ma perché hai scelto di viverci.