In una delle campagne elettorali più soporifere e povere di contenuti che si ricordino, sta tenendo banco, da qualche giorno, un botta e risposta (reiterato) tra il candidato sindaco del centrosinistra, Americo Di Benedetto, e candidati - consiglieri e sindaci - di altre coalizioni, che accusano il primo di essere portatore di conflitti di interesse e di avere inopportuni “sponsor” elettorali.
Di Benedetto, com’è noto, è il presidente della Gran Sasso Acqua, l’azienda pubblica che gestisce il ciclo idrico integrato di una trentina di comuni della provincia dell’Aquila e che è anche la stazione appaltante della più grande opera pubblica della ricostruzione, quella dei sottoservizi del centro storico (80 milioni di euro).
A norma di legge, Di Benedetto non è ineleggibile ma il centrodestra e la Coalizione sociale di Carla Cimoroni ne hanno comunque chiesto le dimissioni.
Lui, Di Benedetto, considera la questione un falso problema e ha tagliato corto respingendo al mittente le richieste di dimissioni: “L’azienda ha bisogno di me, non me ne vado”.
Ma a suscitare polemiche è stato anche un recente appuntamento elettorale tenuto dal candidato di centrosinistra nella frazione di Arischia.
Incontro durante il quale è intervenuto, per annunciare il suo appoggio, Gianni Frattale, ex presidente provinciale Ance e proprietario della Edilfrair, una delle tre aziende che si sono aggiudicate il primo lotto di lavori dell’appalto dei sottoservizi.
“Di Benedetto sta facendo campagna elettorale a braccetto con Frattale” ha affermato il consigliere comunale, candidato con Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale, Alessandro Piccinini.
“Di Benedetto sta superando tutti i limiti" ha commentato, rincarando la dose, un altro consigliere comunale uscente, Ettore Di Cesare, candidato con Coalizione sociale): “La Gran Sasso Acqua è il controllore delle aziende che stanno lavorando ai sottoservizi; Frattale quindi, con la sua Edilfrair che lavora ai sottoservizi, dovrebbe essere il controllato. Ma come è mai possibile che il controllato possa fare campagna elettorale esplicitamente per il controllore?”.
Anche in questo caso Di Benedetto ha minimizzato: “Non sapevo che Frattale fosse lì e non conoscevo i motivi della sua presenza” ha risposto nella conferenza stampa di presentazione della lista civica Il passo possibile “E’ la mia storia che parla per me, io devo rispondere solo alla mia coscienza”.
Ora, a parte che non è la prima volta che Frattale si fa trovare a una delle iniziative elettorali di Di Benedetto (lo aveva fatto anche nell’incontro conclusivo della campagna per le primarie), a nostro avviso non è possibile derubricare tutto, come fa l'ex sindaco di Acciano, a fatti privi di importanza o ad attacchi “ineleganti” sferrati da avversari politici con il dente avvelenato.
Entrambe le questioni – i conflitti di interessi, potenziali e reali, di un candidato sindaco e i suoi rapporti con imprenditori titolari di commesse pubbliche – sono concrete e ineludibili e non possono essere liquidate superficialmente con un’alzata di spalle, come fossero oziose discussioni da bar.
Né si può svilire tutto a un fatto di coscienza, perché in democrazia, se una persona si candida a ricoprire una carica elettiva, deve rendere conto - di quel che è, fa e dice – anche e soprattutto all’opinione pubblica.
E’ perfettamente legittimo, pertanto, chiedere conto a Di Benedetto delle sue relazioni con gli imprenditori locali - specie se questi ultimi hanno interessi in appalti gestiti dalla società di cui lo stesso Di Benedetto è presidente - senza doversi sentirsi dare risposte piccate.
Così come è altrettanto legittimo affermare che non è politicamente opportuno (anche se la legge lo consente) fare campagna elettorale per la poltrona di sindaco da presidente in carica di una partecipata del comune.
In tempi in cui la credibilità dei partiti e della politica è ridotta ai minimi termini, un candidato ha il dovere di essere, su questi temi, il più possibile trasparente e privo di ambiguità. Non basta dire: “E’ la mia storia che parla per me”.
L’impressione è che Di Benedetto si senta già la vittoria in tasca e giudichi tali questioni perdite di tempo. Ma in politica è buona cosa non dare mai nulla per scontato.
Ciò detto, fa un po’ specie, anzi fa un po’ ridere, che a sollevare il caso del conflitto di interessi del candidato sindaco del centrosinistra sia il centrodestra. Quel centrodestra che per oltre un ventennio ha rimosso o ignorato il macroscopico conflitto di interessi del suo leader, Silvio Berlusconi, un imprenditore titolare di concessioni statali passato senza soluzione di continuità dalle sue attività private al governo di uno stato, caso unico in tutto l’occidente.
Che sia una campagna elettorale povera di programmi e di concretezza lo certifica anche un altro leitmotiv usato insistentemente dal centrodestra in questi giorni, ossia la rievocazione nostalgica dell’era Berlusconi, “l’unico presidente del Consiglio ad aver trovato i soldi per l’Aquila”.
A quasi dieci anni dal terremoto, è lecito forse aspettarsi, dai candidati, progetti e programmi sul futuro e non i dossier/pamphlet di Brunetta sui “miracoli” compiuti da Berlusconi nel 2009.
Altrettanto speciosi appaiono, poi, altri due argomenti ripetuti come un mantra sempre dal centrodestra, ovvero il confronto tra il “modello L’Aquila” e il “modello Amatrice-Centro Italia” e il problema della sicurezza delle scuole.
Riguardo queste ultime, se le responsabilità dell’amministrazione uscente sui ritardi e l’assenza di programmazione sono evidenti e inconfutabili (pur concedendo tutte le attenuanti del caso), è altrettanto vero che, in cinque anni di opposizione, il centrodestra, mentre si lanciava in improbabili crociate a favore del crocefisso, su questo punto è rimasto totalmente inerte, non sollevando mai il caso né rendendolo il perno di una battaglia politica ad ampio raggio, sia dentro che fuori il consiglio comunale. E poi non si dovrebbe dimenticare che, nel 2009, la decisione di ristrutturare le scuole senza adeguarle sismicamente fu della Protezione civile, cioè di Bertolaso.
Anche i raffronti tra il “modello L’Aquila” e il “modello Amatrice” appaiono, in questo momento, inconsistenti. A parte il fatto che i paragoni tra catastrofi naturali sono metodologicamente sbagliati, non si dovrebbe dimenticare che all’Aquila, se 15 mila persone trovarono ricovero nelle Case e nei Map, furono almeno altrettante quelle costrette a ricorrere ad altre soluzioni abitative (affitto concordato, autonoma sistemazione) perché non c’erano abbastanza alloggi per tutti gli sfollati. Né si possono sottacere i costi - sociali, economici, ambientali - che quel tipo di modello (non concertato con la popolazione ma calato dall’alto) ha scaricato sulla città.
Costi che continueranno a pesare anche nei decenni a venire, se non saranno trovate soluzioni sostenibili.