"Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra?", si chiedeva Gaber ventitré anni fa.
Era il 1994, Silvio Berlusconi era appena sceso in campo cambiando linguaggi e modi della politica. In nuce, l'epica della politica liquida. "Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra?" cantava Gaber, abbozzando pure una risposta: "è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché, con la scusa di un contrasto che non c'è".
Profetico.
Ventitré anni dopo, i partiti sono svaniti - nella loro funzione, almeno - le ideologie vengono considerate retaggi fastidiosi del '900; il campo in cui si vince la battaglia politica, oggi, è fatto di spunti culturali aggregatori generali, e non più particolari. Anche così si spiega il fenomeno Macron.
Viviamo l'epoca post-ideologica, sentiamo ripetere spesso.
Eppure, ogni nostro atto è ideologico, ciascun punto di vista; ideologia significa avere e proporre - far parte - di una logica, di un punto di vista sulle cose, mediata da codici culturali di riferimento. E forse, anche così, si spiega l'ascesa di Trump.
Siamo partiti da lontano, è vero; ventitré anni dopo, però, le elezioni amministrative, a L'Aquila e altrove, pongono il tema della destra e della sinistra, delle ideologie, dei codici culturali e persino identitari.
In Italia, il centrodestra è in ascesa. Indiscutibile l'analisi sul ballottaggio dell'Istituto Cattaneo: "il centrosinistra esprimeva il sindaco in 64 comuni su 110, oggi ne controlla 34. In pratica, i comuni con un sindaco di centrosinistra si sono quasi dimezzati". D’altra parte, "sono cresciuti sensibilmente i comuni amministrati dal centrodestra: erano 32 prima delle elezioni, oggi sono 53". Anche le liste civiche fanno un passo in avanti (da 12 a 15). Questo quadro dei ballottaggi - è la sintesi - "mostra chiaramente che l’unica forza politica con un bilancio in perdita è il centrosinistra".
Stando ai ballottaggi, emerge che il centrosinistra ha un tasso di vittoria del 40%: ha perso 30 sfide dirette; il centrodestra, invece, "in coalizione riesce a vincere più di un ballottaggio su due". E nei 25 capoluoghi di provincia, in cui si è votato nel 2017, la sconfitta per il centrosinistra è ancora più scottante: tra primo e secondo turno, passa da 16 a 6 comuni amministrati (Cuneo, Palermo, Padova, Lecce, Lucca, Taranto); speculare il risultato del centrodestra che passa da 6 a 16 capoluoghi in cui esprime il sindaco: Frosinone, Alessandria, Asti, Como, Lodi, Monza,Verona, Genova,La Spezia, Piacenza, Pistoia, Rieti, L’Aquila, Catanzaro, Oristano, Gorizia.
Come si spiega? L'Aquila è stata un laboratorio politico interessante, e può aiutarci a comprendere le dinamiche nazionali.
In città, il voto si è polarizzato - oltre le aspettative - intorno alle coalizioni di centrodestra e centrosinistra, nonostante i 7 candidati alla carica di Sindaco; e questa, è la prima dinamica nazionale da rilevare, col Movimento 5 Stelle che, sebbene passi da 3 ad 8 comuni amministrati (dal 2012 ad oggi), è rimasto ben al di sotto delle aspettative.
Pierluigi Biondi ha vinto interpretando, come meglio non poteva, la particolare fase storica che stiamo vivendo: è stato ideologico, ha saputo, cioé, far sua la logica dell'elettorato di centrodestra, i codici culturali di riferimento di una comunità politica spaesata da 15 anni di frizioni e divisioni, parlando un linguaggio diretto, alla pancia dei cittadini, facendo suoi i temi di battaglia elettorale - pochi ma chiari - dei leader nazionali; il motto "prima gli italiani" per intendersi, il richiamo alla sicurezza, alla rottura dei sistemi di potere clientelari e, più in generale, alla "libertà" tanto cara al fu Cavaliere, fino ad arrivare a dire che il 25 giugno sarebbe stato il giorno della liberazione dell'Aquila. "L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare". Vi ricorda qualcosa? 1994, appunto.
Non si è limitato a questo, però. Il sindaco dell'Aquila ha saputo fare suoi alcuni spunti culturali aggregatori generali, si pensi al concetto di cambiamento, di rinnovamento, pur avendo raccolto intorno a sé alcuni dei protagonisti del governo decennale di Biagio Tempesta. E l'ha fatto stando tra la gente, nelle aree più periferiche, usando vecchi megafoni e mangiando panini con la porchetta; utilizzando, così, un altro aggregatore che fa presa: la vicinanza all'elettorato, l'annullamento delle distanze tra il 'palazzo' e la gente. Ricordate le maniche di camicia del primo Renzi rottamatore?
E' così che, a L'Aquila come altrove, il centrodestra è tornato vincente alle elezioni amministrative. Con parole chiave, temi politici definiti, un linguaggio populista e una ritrovata dimensione popolare. E' chiaro che alle politiche si aprirà la difficile partita della leadership e, dunque, il progetto politico rinnovato potrebbe naufragare. Intanto, però, il centrodestra si sta riprendendo le città.
D'altra parte, il Partito Democratico è fuori rotta dal 4 dicembre: Matteo Renzi non si è ancora ripreso dallo schiaffo del referendum, ha voluto rilanciare la sfida portando il PD ad un congresso velenoso che, in piena campagna elettorale per le amministrative, ha finito per spaccare il partito. "Oggi, il Partito Democratico non è più la forza innovativa e di sinistra che avevamo immaginato", ha riconosciuto Walter Veltroni, a dieci anni dal discorso al Lingotto che, per molti versi, ha rappresentato l'atto fondativo del Partito. Piuttosto, "è una prosecuzione della Margherita"; il partito è spaccato, Renzi da una parte, quel che resta della cultura socialdemocratica e della componente cattolico sociale dall'altra. "Stiamo perdendo contatto coi ceti sociali che sono da sempre la base del nostro consenso", l'affondo di Dario Franceschini.
Renzi ha perseguito la vocazione maggioritaria democrat, declinandola, però, nel senso dell'autosufficienza, con l'ambizione di costruire un forte partito centrista, liberale, moderato e borghese, una versione riveduta e corretta di Forza Italia che - torniamo ancora al 1994 - era nata per attrarre i voti degli orfani del pentapartito. Da mesi si discute di una possibile alleanza con Berlusconi, piuttosto che di 'ricostruzione' di un fronte ulivista di centrosinistra. Così, il Partito ha perso la sua identità e le forze a sinistra dei Democratici si sono frantumate, come risposta all'orientamento del Pd più che per autodeterminazione politica, e il caso di Articolo 1 è piuttosto emblematico, in questo senso.
A L'Aquila, il cortocircuito è stato evidente. Alle primarie, ha vinto il candidato che meglio incarnava il Partito immaginato da Renzi [leggi l'analisi del voto] sebbene la segreteria cittadina e alcuni tra i maggiorenti democrat, che avevano sostenuto la discesa in campo di Pierpaolo Pietrucci, fossero orientati alla costruzione di una coalizione radicata a sinistra. Si è lavorato di compromessi: la candidatura di Americo Di Benedetto, però, è stata subita più che condivisa, è stato malcelato il senso di diffidenza tra il candidato e le forze progressiste che ha spinto l'ex sindaco di Acciano a costruire una lista civica che facesse da contrappeso. Con i risultati che abbiamo provato ad abbozzare [leggi l'analisi qui], e che spiegano la sconfitta - clamorosa - del centrosinistra. A dire che Renzi ha dato una sterzata al Partito che non è stata ancora digerita, ai livelli locali soprattutto, dove permangono, come a L'Aquila, esperienze e sensibilità che vengono da altri percorsi. Eccolo, il cortocircuito.
Una spaccatura che, di nuovo, riproduce dinamiche che stanno esplodendo in queste ore. Renzi, infatti, è convinto che l'esito delle elezioni comunali abbia definitivamente indicato la strada da intraprendere: "Ora, mi trovo sul banco degli imputati e non si capisce il motivo visto che la coalizione in queste amministrative è stata fatta proprio come volevano loro, mettendo insieme tutti" avrebbe confidato ai fedelissimi, dove per loro il leader del Pd faceva riferimento agli Orlando, Bersani, alla sinistra in genere. "Lo schema di Pisapia, di Prodi e di tanti altri era chiaro: facciamo una coalizione larga e con quella vinciamo. Ma non ha funzionato. Genova e L'Aquila stanno lì a dimostrarlo".
Dunque, l'idea del segretario è di tornare allo spirito iniziatico di rottamazione, dando al partito un profilo finalmente netto. Autosufficienza, en marche a là Macron. Anche a costo di nuove uscite verso sinistra. Ecco perché, ora, è in bilico persino la candidatura di Stefania Pezzopane alla Camera, come capolista almeno: Renzi è convinto che la rivoluzione debba partire dal centro Sud, laddove il Partito è ancora legato a sistemi di potere che vengono da lontano. Appunto. E se fosse proprio Di Benedetto, il candidato? Al momento, è una suggestione.
Sta di fatto che è in corso un braccio di ferro senza precedenti tra il segretario e i padri fondatori del Pd; come andrà a finire, difficile immaginarlo: la verità è che il Pd, al momento, è una scatola vuota, un simbolo di marketing più che un partito, incapace di raccontare una logica, un punto di vista sulle cose, privo di codici culturali di riferimento, di un progetto politico chiaro, delineato, capace di dare senso e significato al voto esprimendo un universo valoriale condiviso. Anche così, soprattutto così, si spiegano le sconfitte alle amministrative. Il Pd è incapace di parlare all'elettorato di riferimento; anzi, non ha più chiaro, in testa, quale sia l'elettorato di riferimento. Per questo, non ci si rende conto che primarie partecipate da oltre 10mila persone, in una città come L'Aquila, raccontano - paradossalmente - la perdita di una identità politica, la fine di una comunità. E in un contesto del genere, i candidati a sindaco - troppo spesso - non riescono ad interpretare neppure i più semplici aggregatori culturali generali, finiscono piuttosto per essere divisivi invece che inclusivi. Si pensi a Di Benedetto, di nuovo.
In questo quadro, le sensibilità di sinistra, progressiste, oltre il Partito Democratico, continuano a ragionare di geometrie politiche, coalizioni e percorsi unitari, discutendo, ancora, di simboli e leadership; non hanno capito che, innanzitutto, va ritrovato un rapporto diretto, non mediato, con un elettorato diffuso e senza più rappresentanza. Lo insegna il centrodestra, paradossalmente: sebbene non ci sia un progetto politico nazionale unitario, sui territori le forze d'area sono tornate a parlare un linguaggio comune, toccando le corde del popolo di riferimento con poche, semplici, proposte che, tuttavia, hanno restituito appartenenza e identità ad una comunità. Torni a farlo anche la sinistra; nelle diverse forme che va assumendo, cercando un percorso nazionale, riallacci un filo con la gente, riprendendosi i suoi argomenti: il diritto al lavoro, ad una remunerazione equa o ad un reddito di dignità, il diritto alla salute, alla casa, all’istruzione, alla equità fiscale, ad un modello economico sostenibile, non basato sul profitto. Riassuma, infine, un'anima popolare, tornando nei circoli, tra la gente.
Di nuovo, L'Aquila è esemplificativa, in questo senso: in campagna elettorale, e soltanto per fare un esempio, non si è parlato abbastanza di lavoro, delle vertenze aperte in una provincia più povera di ieri, dei licenziamenti collettivi alla Intecs e alla Tensiter; si è parlato del comparto dei call center, avendo assunto, le vicende Transcom e E-care, una rilevanza nel dibattito pubblico: non si è fatto cenno, però, alle condizioni di un lavoro sempre più precario, alla dimensione sempre più volatile di una occupazione di scarsa qualità. Non si è discusso della qualità del vivere, per dirne un'altra. Non se ne è parlato, e non si è fatto niente per tornare a guardare negli occhi chi, i problemi, li affronta quotidianamente: non c'è stata un'iniziativa del centrosinistra innanzi ai cancelli dell'ex polo elettronico, non c'è stata un'iniziativa nei quartieri dei progetti Case, non c'è stata un'iniziativa sotto gli alloggi d'edilizia popolare non ricostruiti. Potremmo scriverne per ore.
E sia chiaro, vale per le forze di sinistra che hanno sostenuto la coalizione civico progressista e, così, per la Coalizione sociale che - ecco l'altro, l'ultimo paradosso - ha preso voti a L'Aquila centro, non nelle frazioni, nelle periferie, tra i ceti più deboli e in difficoltà.
"Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra?", bisognerebbe rispondere a questa domanda, prima d'altri ragionamenti. A meno di non volersi arrendere alla profezia di Gaber.