Venerdì, 09 Marzo 2018 12:20

Di Benedetto e la via macronista: "Immagino un PD liberale"

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“Serve un commento? Credo proprio di no. La più drammatica delle valutazioni non poteva portare ad un risultato di questo genere. Non voglio dire che ‘l’avevo detto’, non si fa in politica, ma la percezione c’era: il PD poteva mantenere in questa Regione, e nella nostra comunità, un consenso almeno in linea col dato nazionale se avesse mobilitato un po’ tutti e se avesse dato un minimo di parvenza di rinnovamento”.

Americo Di Benedetto si toglie qualche sassolino dalla scarpa, a quattro giorni dalla chiusura delle urne per le elezioni politiche, col tracollo del Partito Democratico sotto la soglia psicologica del 20% a livello nazionale, e il naufragio ancora peggiore dei dem in Abruzzo, oltre 4 punti sotto la media. Con Michele Fina, l’ex presidente della Gran Sasso Acqua – candidato sindaco sconfitto del centrosinistra alle amministrative di giugno – aveva messo sul tavolo la propria candidatura che, era stato spiegato, “può rappresentare un messaggio coerente di rinnovamento e di slancio”.

E’ andata diversamente.

E nove mesi dopo, anche “le elezioni comunali a L’Aquila hanno avuto una certificazione ulteriore di qualità”, ha inteso rivendicare Di Benedetto che, al primo turno, aveva sfiorato la vittoria per una manciata di voti.

In attesa del riconteggio delle schede disposto dal Tar in 11 sezioni, che potrebbe ribaltare gli equilibri in seno al Consiglio comunale – “una manifestazione evidente di obiettività della regolarità della competizione, d’altra parte è oramai pacifica la possibilità che ci sia un sindaco in minoranza e proprio in funzione del voto disgiunto, altrimenti non avrebbe alcun senso” – Di Benedetto ha ribadito come la coalizione di centrosinistra “avrebbe dovuto vincere al primo turno, ero convinto potessimo farcela sebbene ci fossero 7 candidature in campo; il ballottaggio – ha aggiunto – ci ha messo in difficoltà: da una parte, ereditavo dieci anni d’amministrazione che creavano dei problemi, non avendo potuto soddisfare le esigenze di tutti, dall’altra, a differenza del primo turno che vedeva tutti coinvolti in quanto candidati, era subentrata un poco di stanchezza, e il disinteresse di chi, da sinistra, non aveva digerito la mia vittoria alle primarie”.

E’ lì che trova ragione la sconfitta al ballottaggio, nelle primarie, Di Benedetto ne è convinto: “quando metti a confronto una nuova generazione, ad imperare sono coloro i quali hanno un impianto più conservativo”. L’ex sindaco di Acciano non lo dice esplicitamente, ma è chiaro come giudichi un errore la decisione del partito di contrapporgli il consigliere regionale Pierpaolo Pietrucci. Se il competitor fosse stato Giovanni Lolli, il senso del ragionamento, sarebbe andata diversamente: in caso di vittoria del vice presidente della Giunta regionale, padre nobile del PD, Di Benedetto avrebbe accettato senza problemi l’incarico di vice sindaco tenendo insieme la comunità; al contrario, Lolli avrebbe potuto passare la mano serenamente alla nuova generazione in caso di sconfitta, con l’ex presidente della Gsa in Comune e Pietrucci in Consiglio regionale. “Oggi, leggo l’intervista di Pierpaolo su NewsTown [qui] in cui rivendica l’importanza di avere un rappresentante aquilano in Consiglio regionale: al momento di sfidarmi alle primarie, però, si fece passare il messaggio che, in realtà, un consigliere regionale non servisse”, la considerazione amara.

Di Benedetto non mette in dubbio l’impostazione data alla sua candidatura, la sensazione che guardasse più all’elettorato di centrodestra che alla sua sinistra, laddove trova spiegazione anche la vittoria al ballottaggio. Anzi. Pensa sia il modello giusto da esportare a livello nazionale. “Bisogna provare a capire quale futuro potrà avere il Pd; ad oggi, sul tavolo ci sono due proposte: Carlo Calenda e Nicola Zingaretti, fermo restando che a governare il percorso transitorio sarà il vice segretario Maurizio Martina, persona equilibrata con cui ho un ottimo rapporto. L’impostazione di Zingaretti nella campagna elettorale che l’ha riconfermato governatore del Lazio è stata simile alla mia, con una fortuna però: aveva governato bene e si ripresentava con quel bagaglio, e opposto a sé aveva un centrodestra diviso dalla candidatura del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi che ha ottenuto un risultato importante. E lì, non era previsto il ballottaggio. Si è facilmente capito, però, a leggere i dati di consenso di LeU, che il centrosinistra allargato può trovare la sua forza soltanto se è capace di stimolare il civismo. Come accaduto a L’Aquila”.

Di Benedetto lo sottolinea: la sua lista civica ‘Il Passo Possibile’, con molti candidati che provenivano da un’area moderata centrista, se non tendente a destra, “9 mesi fa e non dieci anni fa” è stata la terza più votata, dopo il Pd e ad un soffio da Forza Italia, sopra la Lega. E’ questo il modello che ha in mente, lo ha spiegato ai nostri microfoni: “Col centrodestra spostato oramai su posizioni più radicali di destra, c’è bisogno di un PD liberale, innovativo, non nostalgico, alla Calenda per intenderci, capace di aprire una terza via, macronista, che possa lavorare su una proposta equilibrata, tale da aggredire l’elettorato moderato”.

Tale da aggredire l’elettorato di Forza Italia, aggiungiamo noi, spaventato dalla radicalizzazione della coalizione di centrodestra. “E’ l’elettorato aggredito da Renzi nella sua ascesa, d’altra parte; purtroppo, non ha saputo declinare appieno la sua proposta, che era fortissima. Renzi è partito benissimo, si è affievolito in una fase successiva, anche legittimamente considerato che ha dovuto recuperare il voto dei Parlamentari eletti nel 2013 – ricordate la vicenda di Stefania Pezzopane nell’assemblea nazionale – e non è andato al voto dopo aver ottenuto il 40% alle Europee: a quel punto doveva rimisurarsi, invece ha provato a capitalizzare il risultato non capendo che aveva conquistato il voto dei moderati e che doveva rilanciare su quel fronte, quello liberale. Al contrario, ha cercato di blindare una proposta elettorale decotta: è partito come rinnovatore, è finito conservatore”.

Insomma, per Di Benedetto è arrivato il momento di “guardare oltre”: il Pd a trazione di sinistra “ha già perso con Pier Luigi Bersani, e quando doveva vincere avendo il vento in poppa. Non ce l’ha fatta. Ora, bisogna voltare pagina: il mondo è cambiato, non c’è più quel profilo di difficoltà dove l’esercizio della solidarietà era in capo a chi viveva i problemi; a volte, ho l’impressione che qualcuno faccia operazioni di sinistra con i problemi degli altri. Non è più credibile. Le esigenze sono diverse, oramai: c’è bisogno di un partito che recuperi centralità, capace di dialogare col civismo, con una forte propensione a risolvere i problemi attraverso candidature di qualità, e con la consapevolezza che l’Europa deve essere governata, ma non può essere eliminata. Su queste basi, l’entusiasmo posso trovarlo: altrimenti, la quarta via è la via d’uscita”.

Più chiaro di così.

Ultima modifica il Venerdì, 09 Marzo 2018 12:51

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