Sabato, 10 Marzo 2018 18:14

La modernità e il ritorno del fascismo

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Diversi anni or sono, ai tempi degli sbarchi dall’Adriatico di cittadini albanesi, durante una riunione tra docenti universitari un professore della Facoltà di Ingegneria, poco a conoscenza del suo mondo emotivo, raccontò un sogno: si trovava su una montagna, iniziò a rotolare giù e finì su un barcone pieno di albanesi che lo portò non in Italia ma in Albania. Si svegliò spaventato e spaesato.

L’ingegnere diede la responsabilità di questo strano prodotto onirico alla costolette di maiale mangiate la sera precedente, gli psicoanalisti presenti in sala invece non faticarono a riconoscere i temi archetipici del sogno. Il sogno diceva al professore che nuove parti psichiche, frammenti scissi di personalità, stavano emergendo. Venivano rappresentate nel sogno dall’arrivo dei diversi, degli sconosciuti, gli albanesi e dall’essere scaraventato in una terra vissuta nell’immaginario collettivo come ostile, l’Albania.

Lo straniero da sempre rappresenta l’Ombra della società in cui arriva, il potenziale destabilizzatore. L’epoca ipermoderna, tuttavia, dell’arrivo dei diversi, dell’apertura al mondo, della globalizzazione ne ha fatto la sua base, a condizione però che viaggino le merci, i capiali e i flussi bancari non le persone, in quel caso la globalizzazione smette di essere una promessa e diventa una minaccia. In realtà, in tempi di turbocapitalismo le promesse sono per pochi e i guai per tanti, tantissimi.

I primi a vivere i guasti della globalizzazione che l’Occidente ha imposto esportando la sua cultura e i suoi stili di vita al resto del Mondo, per amore o per forza, con la promessa del benessere illimitato o con la guerra, sono proprio i migranti, gli abitanti del Sud del mondo. Libici, iracheni, afgani, curdi, siriani, palestinesi, tutti costretti a fuggire dalle guerra causate, in qualche modo, dall’Occidente. Nigeriani e subsahariani in fuga dalla miseria e dalle predazioni che il Nord del mondo svolge sulla loro Terra. Quella dei migranti è una dannazione, in fuga dalle bombe e dalla miseria, accompagnati dalla morte sempre, passo dopo passo, a disposizione di orribili mercanti di uomini, torturati, stuprati, uccisi, annegati, questo è il destino di quelli che Fanon avrebbe chiamato e chiamò i Dannati della Terra.

Toccato il suolo di un Paese d’Occidente, l’Italia, che fino a prima dell’arrivo dell’agente Minniti li salvava in mare mentre ora li lascia nelle mani degli aguzzini libici, si rendono subito conto che la Dannazione non è finita, infatti sul loro destino si gioca una sporca partita politica. La retorica fascitoide della Destra italiana afferma che la nostra comunità è formata da italiani e stranieri e che i guai dei primi sono causati prevalentemente dai secondi.

Entrambi gli assunti sono falsi.

La comunità è formata da chi la costituisce, la vive, la trasforma, la anima, la costruisce, per questo la Comunità è qualcosa di più della somma delle singole individualità, non un insieme di monadi ma un tutto. La frammentazione di questo Insieme, non certo provocata dai migranti, è la causa di tanti mali della società contemporanea. Il secondo assunto risulta essere se possibile ancora più falso, l’impoverimento della nostra società con il suo portato di disoccupazione e precarietà, i guasti della sanità, istruzione, giustizia, i dissesti del territorio e la distruzione ambientale, non sono certo responsabilità di chi è arrivato ieri ma da chi ha vissuto e governato l’Italia almeno negli ultimi ventenni.

La discriminazione si nutre sempre del razzismo, cioè dell’idea che un popolo (una razza, come si diceva nel ventennio, tra l’altro quest’anno ricorre il tragico ottantesimo anniversario della promulgazione della legge sulla Difesa della Razza), sia inferiore ed un altro superiore. In una recente conversazione, un assessore di Destra mi diceva che quello che infastidisce il “suo popolo” è vedere questi “neri, ben vestiti con il cellulare che ridono e scherzano”, dunque se il migrante si spacca la schiena sui nostri campi o nei nostri cantieri e a fine giornata di lavoro sparisce dalla nostra vista, allora può essere tollerato, ma se telefona come noi, veste come noi, ride e scherza come noi, allora no, non va bene.

Questa credo sia la radice più profonda del razzismo: se tu sei al mio servizio ti posso tollerare ma se tu vuoi essere come me, allora no, perché tu sei diverso, inferiore.

Su questa discriminazione di fondo poi cresce l’opportunismo elettorale (l’assessore di cui sopra mi raccontava dei tanti voti che questo sentire razzista muove e per questo lui lo cavalca), la violenza nazista (basta leggere i post sui social che parlano di puzza dovuta al colore della pelle, uomini primitivi e quanto altro), lo sfruttamento ( un straniero non lo puoi remunerare come un italiano) e tutti gli altri atteggiamenti sociali mossi da rabbia e risentimento male indirizzati, indirizzati verso chi sta peggio.

La guerra tra poveri d’altronde è uno dei meccanismi che da sempre garantisce le classi dominanti. Possiamo concludere che gli italiani sono razzisti? Sicuramente un numero significativo di italiani lo sono. Possiamo concludere che gli italiani hanno un’attrazione per il fascismo? Le masse desiderano il fascismo, scriveva Reich, soprattutto nei momenti critici e questo lo è. Il fascismo come promessa di ordine e chiarezza, delegando tutto ad un capo carismatico; dimenticando però che il fascismo e il razzismo, il fascismo e la violenza, la violenza e il razzismo sono coppie inscindibili che generano mostri. L’istruzione di massa aveva lo scopo in principio di rendere il popolo consapevole e libero, con l’avanzare del capitalismo e dell’età della tecnica il sapere è divenuto al servizio di qualcosa o qualcuno e quando bisogna servire è preferibile non rendere liberi e consapevoli i servitori. La Modernità così concepita finisce per partorire colui che per nascere aveva ucciso: il fascismo, cioè quell’idea di governo della collettività basata su violenza, discriminazione e razzismo, odio per il sapere.

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