Giovedì, 17 Maggio 2018 18:24

CTGS, il brutto pasticcio sulla nomina di de Nardis: è incompatibile. La segretaria generale: "Interverrò". Le possibili conseguenze per l'amministrazione

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Che la nomina del dirigente Domenico de Nardis ad amministratore del Centro turistico del Gran Sasso fosse questione piuttosto spinosa, lo scriviamo da tempo [qui]; stamane è emerso con chiarezza in Commissione ‘Garanzia’, convocata sull’argomento dal presidente Americo Di Benedetto, sebbene l’atteggiamento dei commissari consiglieri di maggioranza - distratti, annoiati, impegnati a disquisire d’altro - non abbia tradito preoccupazione, segno d’indifferenza o, peggio, di mancata consapevolezza.

Ma andiamo con ordine.

Alla metà di ottobre, Pierluigi Biondi ha nominato Domenico de Nardis amministratore del Ctgs [qui], “una nomina pro-tempore, di transizione” sottolineò il primo cittadino; la missione del dirigente - venne spiegato - sarebbe consistita in una ricognizione (quella che in gergo viene definita due diligence) del bilancio e della situazione economico-finanziaria della società. Sarà un ‘commissario’, chiarì l’amministrazione attiva. Se non fosse che la fattispecie non è prevista dalle norme e, dunque, il dirigente comunale ha assunto, a tutti gli effetti, l’incarico di amministratore, e lo mantiene a tutt’oggi, sette mesi dopo.

“Una forzatura”, come riconobbe lo stesso Biondi d’altra parte, audito qualche settimana dopo in Commissione ‘Garanzia’; de Nardis riveste da mesi il ruolo di controllore, da dirigente comunale che, tra l’altro, all’epoca della nomina aveva la delega alle partecipate, e controllato, come amministratore di una società in house. Un’incompatibilità conclamata, evidentissima oltre i tecnicismi e i virtuosismi etimologici.

In doppia veste, de Nardis si presentò in Commissione col sindaco, spiegando che, dal punto di vista civilistico, le attività poste in essere da chi non è "reale rappresentante giuridico" di una società potrebbero essere sconfessate soltanto dal 'falso rappresentato', il Comune dell'Aquila in questo caso. Non solo. La situazione di predicata incompatibilità comportava che la funzione potesse essere assunta ma non conservata in caso di contestazione che avrebbe imposto, e imporrebbe ancora oggi, la decadenza dall'uno o dall'altra carica.

Ma è davvero così?

Stamane, la segretaria generale del Comune dell’Aquila, e responsabile dell’anticorruzione, Alessandra Macrì, ha chiarito di non aver trovato risposta nel codice civile sulla natura giuridica dell’incarico di commissario, ribadendo, in sostanza, che de Nardis, a tutti gli effetti, è amministratore della partecipata; ha assicurato, altresì, che non si esimerà dal compiere “una verifica puntuale sulla vicenda, producendo infine una relazione” che il consigliere Giustino Masciocco ha chiesto venga portata in Commissione entro dieci giorni, così da poterla assumere e discutere, poi, in Consiglio comunale.

Ha aggiunto - parole sue - che a L’Aquila “si fanno sempre le cose ingarbugliate, e non capisco perché”.

Evidente l’imbarazzo.

De Nardis è incompatibile e la sua nomina avrà inevitabili ripercussioni. Tuttavia, la segretaria generale ha spiegato che dovrà valutare, nei prossimi giorni, se la vicenda possa ricadere nella fattispecie prevista dal decreto legislativo 39 del 2013 o, piuttosto, del decreto legislativo 175 del 2016: vale l’una o l’altra, ha tenuto a spiegare. In un caso o nell’altro, le conseguenze sarebbero assai diverse per l’amministrazione attiva.

Inconferibilità o incompatibilità, è questo il punto.

Il decreto 39/2013 Il decreto 39 del 2013 contiene “disposizioni in materia di inconferibilità d’incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico”; all’articolo 9, sancisce che “gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico, sono incompatibili con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o ente pubblico che conferisce l'incarico”.

Più chiaro di così.

Ebbene, l’allora responsabile del piano anticorruzione – il dirigente Fabrizio Giannangeli – a seguito di segnalazione della Commissione ‘Garanzia’ ha aperto un procedimento chiedendo all’avvocatura comunale, e cioè a Domenico de Nardis, la cui nomina era oggetto dello stesso procedimento, informazioni e controdeduzioni; ricevute, e non avendole ritenute “illuminanti” per definire la vicenda, si è rivolto all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione che, in effetti, dovrebbe vigilare sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al decreto 39, come sancito all’articolo 16.

Al momento, l’Anac non ha ancora risposto nel merito, e la segretaria comunale, stamane, non ha nascosto che avrebbe preferito l’avesse fatto, sottolineando, altresì, come l’Autorità di Raffaele Cantone potrebbe comunque esprimersi sulla nomina contestata. Dovesse farlo, non potrebbe che prendere atto della incompatibilità.

Che succederebbe, a quel punto? “Gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del decreto e i relativi contratti sono nulli”, leggiamo all’articolo 17; in altre parole, la nomina di de Nardis sarebbe nulla e, così, tutti gli atti assunti in questi mesi, con ciò che ne potrebbe conseguire. Non solo. Recita il decreto che “i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli”, in questo caso il sindaco Pierluigi Biondi, “sono responsabili per le conseguenze economiche degli atti adottati”, ne risponderebbe insomma il primo cittadino innanzi alla Corte dei Conti.

In più, il primo cittadino non potrebbe conferire incarichi di sua competenza per tre mesi; il dettato del decreto 39/2013 è stato assunto dalla Giunta comunale dell’Aquila con delibera del 9 giugno 2015. Insomma, dovesse esprimersi l’Anac sarebbe un bel guaio per il primo cittadino che, tra l’altro, non potrebbe procedere con la nomina dei vertici delle partecipate, attesa da tempo, costretto a lasciare l’incombenza al vice Guido Quintino Liris. Pure dovesse muoversi prima, è chiaro che in caso di atto sanzionatorio le nomine potrebbero essere impugnate.

Sta di fatto che la segretaria comunale – a leggere il decreto – potrebbe procedere comunque, con o senza pronunciamento dell'Anac, contestando esistenza della situazione di inconferibilità, e arrivando alla revoca dell’incarico. Scatterebbero le medesime, pesantissime, sanzioni.

Il piano triennale anticorruzione Tra l’altro, il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, approvato il 18 gennaio scorso, chiarisce come “la Struttura preposta all’istruttoria dell’atto di conferimento d’incarico è tenuta a verificare la sussistenza delle eventuali condizioni ostative in capo ai dipendenti e/o a soggetti ai quali l’organo di indirizzo intende conferire l’incarico, dandone atto nel provvedimento finale. Detto accertamento avviene mediante acquisizione di apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione resa dall'interessato nei modi e nei termini di legge, pena in difetto l’efficacia del conferimento in questione. Invero, in caso di violazione delle previsioni in materia di inconferibilità, l'incarico attribuito è nullo ed in capo ai soggetti responsabili si applicano, ricorrendone le condizioni, le sanzioni previste dalla vigente normativa, facendo presente che la situazione di inconferibilità non può essere sanata. Nell'ipotesi in cui le cause di inconferibilità, sebbene esistenti ab origine, non fossero note all'Amministrazione e si appalesassero nel corso del rapporto, il dirigente della Struttura preposta all’istruttoria dell’atto di conferimento di incarico ovvero l’RPC, se in possesso delle informazioni necessarie, sono tenuti ad effettuare la contestazione all’interessato il quale, previo contraddittorio, viene rimosso dall'incarico stesso”.

Da ultimo, nel Piano si riportano i contenuti di cui all'art. 1, comma 2, lett. h), del D.Lgs. 39/2013, in base al quale “dalla situazione di incompatibilità discende l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla PA che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico. In questi casi non sussiste quindi una preclusione assoluta all'assunzione dell'incarico, in quanto l'interessato può esercitare un diritto di opzione che tende a rimuovere la situazione favorevole per lo sviluppo di fenomeni di corruzione, ma si tende ad evitare la coincidenza in capo allo stesso soggetto di ruoli di vigilanza e di gestione della medesima attività. Qualora la situazione di incompatibilità emerga nel corso del rapporto, il RPC provvede a contestare la circostanza all'interessato ai sensi degli artt. 15 e 19 del ridetto D.Lgs. n. 39/2013 e ciò ai fini dell’attivazione delle conseguenti misure ivi previste. Anche nel caso di verifica di incompatibilità, l'accertamento avviene mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione resa dall'interessato nei termini ed alle condizioni di cui all'art. 46 del D.P.R. 445/2000 smi. Nel corso dell’espletamento dell'incarico ed entro il 31 gennaio di ciascun anno, l'interessato presenta una dichiarazione sull'insussistenza delle cause di incompatibilità. Tutte le dichiarazioni rese dai Dirigenti ex D.P.R. 445/2000, potranno essere oggetto di verifica da parte del RPC”.

Insomma, persino il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione approvato dall'amministrazione attiva non più tardi di quattro mesi fa sembra proprio parlare chiaro.

Le dichiarazioni di de Nardis E d’altra parte, si pone una questione di non poco conto in capo al dirigente Domenico de Nardis che, il 18 gennaio scorso [qui], all’atto della riorganizzazione della macchina amministrativa con la rotazione degli incarichi dirigenziali voluta dal sindaco, sebbene fosse a capo del Ctgs ha messo nero su bianco – con l’autodichiarazione d’insussistenza di cause di inconferibilità o incompatibilità ai sensi del decreto 39 - di “non aver svolto incarichi e ricoperto cariche in Enti di diritto privato regolati o finanziati dal Comune”.

Stando al decreto, dovrebbe aver sottoscritto una stessa autodichiarazione anche al momento di assumere l’incarico di amministratore del Ctgs.

Con la conseguenza che potremmo essere dinanzi a dichiarazioni mendaci, a dirlo con termini giuridici. E comunque, non è chiaro come il dirigente potrà presentare una dichiarazione sull’insussistenza delle cause di incompatibilità in futuro, a dire che la sua posizione potrebbe farsi davvero delicata.

Lo ribadiamo: la vicenda è assai spinosa, e davvero si fa fatica a credere che l’amministrazione si sia cacciata su di un sentiero così scivoloso.

Il decreto 175/2016 Come detto, la segretaria comunale ha chiarito di non aver ancora valutato se la vicenda possa ricadere nella fattispecie prevista dal decreto legislativo 39 che abbiamo sviscerato o, piuttosto, nel dettato del decreto legislativo 175 del 2016, il testo unico in materia di società partecipate; anche in questo caso, la norma sembra parlare chiarissimo: all’articolo 11, comma 8, si legge che “gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti”.

Pure nel merito del d.lgs 175 l’allora responsabile dell’anticorruzione ha interrogato l’Anac che, sul punto, ha risposto [qui], sebbene indirettamente, sottolineando di non avere espressa competenza in ordine alle violazioni; serve – ha sottolineato l’Autorità – un intervento diretto del Governo o del Parlamento “affinché sia individuato l’organismo competente alla verifica delle incompatibilità previste e siano stabilite le sanzioni per eventuali violazioni, visto che nemmeno queste sono state disciplinate dal decreto”. Pertanto, in assenza di una modifica normativa, l’Autorità ha deciso di “rimettere alle singole amministrazioni controllanti eventuali ipotesi di incompatibilità che dovessero emergere nella propria attività di vigilanza o consultiva”; insomma, dovrebbe essere la segretaria generale – nella sua veste di responsabile dell’anticorruzione – a procedere con la diffida affinché l’incompatibilità acclarata venga risolta.

Lo dicevamo: il decreto 175 non prevede sanzioni; tuttavia, in caso di ricorso al Tar da parte di soggetti con interesse diretto sugli atti istruiti dall’amministratore, stante l’incompatibilità, questi potrebbero essere considerati nulli e, comunque, resterebbe in capo al dirigente la responsabilità delle dichiarazioni rilasciate, sebbene riferibili al decreto 39. E’ chiaro, però, che le conseguenze sarebbero ben diverse, si procedesse in questo senso.

Ultima modifica il Giovedì, 17 Maggio 2018 18:55

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