Ne avevamo scritto alcune settimane fa [qui]: oltre le dichiarazioni di 'facciata', le vibranti richieste di tornare alle urne entro la fine dell'anno, è oramai opinione diffusa che l'appuntamento con le Regionali slitterà al 2019, presumibilmente tra febbraio e marzo. Ed in fondo, non dispiace a nessuno.
Ci sono almeno due ordini di problemi. Il primo: la modifica della legge elettorale, approvata a maggioranza dal Consiglio regionale ad inizio agosto; con un emendamento firmato da Giorgio D'Ignazio è stato modificato il punto 4 dell'articolo 2 che recitava: "In caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, le cause di ineleggibilità di cui al comma 1 (per cui sono ineleggibili anche i membri della Corte costituzionale e del Csm, ndr) non hanno effetto se le funzioni esercitate, la carica o l’ufficio ricoperto sono cessati, nelle forme prescritte, entro sette giorni dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento". Il termine per rimuovere le cause di ineleggibilità è stato innalzato a 45 giorni e, dunque, stando ad un parere degli uffici regionali, non si potrebbe votare prima del 19 dicembre 2018.
Lo sapevano le forze di centrodestra che, sabato pomeriggio, hanno manifestato a L'Aquila, innanzi al Consiglio regionale, per chiedere si torni al voto subito; ne è a conoscenza la Lega che, in effetti, a qualche ora dalla protesta, ha inviato una nota parlando di golpe bianco. "Già quando si discuteva della candidatura di D’Alfonso per un seggio parlamentare, il futuro presidente senatore aveva preconizzato - dichiarandolo pubblicamente - che le elezioni regionali si sarebbero tenute nel 2019. All'epoca appariva inverosimile questa fuga in avanti, a fronte di una legge che prevedeva il voto entro 90 giorni dallo scioglimento del Consiglio. Fatto sta che, dopo la sua elezione, ha cominciato un balletto di stop e go - vado a Roma, ma forse rimango in Abruzzo - utile a guadagnare tempo prezioso e soprattutto a dare corpo alla sua dichiarata preveggenza", si legge nel comunicato stampa diffuso dal Carroccio.
"Quando ci si è resi conto che la sceneggiata da sola non bastava, si è passati al piano B: un colpo di coda che, con la modifica della legge elettorale, ha tentato di perfezionare il voluto slittamento delle elezioni". Se fosse vero - "e non lo è", ribadisce la Lega - che lo spostamento rimanderebbe di fatto le consultazioni al 2019, "sarebbe il frutto del combinato disposto della sceneggiata di D’Alfonso, che è rimasto per 6 mesi ubiquitario, e della immediata e successiva legge ad hoc che, a maggioranza, il Consiglio Regionale si è data pochi giorni prima del suo scioglimento, per procrastinare l’esistenza in vita di una assemblea di fatto inattiva e pagata dagli abruzzesi".
C'è un altro problema, come detto, di natura 'economica'. Le Regionali costeranno alle casse dell'Ente tra i 6 e gli 8 milioni di euro: ebbene, al momento i fondi non sono previsti nel bilancio 2018; dunque, non avendo i Comuni liquidità sufficienti per anticipare le spese, il voto potrebbe slittare al 2019 per dare tempo al Consiglio regionale di approvare il bilancio di previsione con le somme stanziate.
Oltre le ragioni "tecniche" sollevate nei giorni scorsi, insomma, ci sono questioni piuttosto rilevanti che rendono difficile credere si possa davvero tornare alle urne in 90 giorni.
D'altra parte, il quadro politico è tutt'altro che delineato. Dal livello nazionale ai livelli locali.
Qui centrodestra Al momento, il centrodestra abruzzese sembra aver ritrovato l'unità, almeno apparentemente. Più o meno definiti i confini della coalizione: i partiti tradizionali - Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia - con Udc e le tre liste 'civiche d'Abruzzo', Azione politica che fa riferimento a Gianluca Zelli, Liberal Abruzzo ispirata da Daniele Toto e Noi l'Abruzzo coordinata da Piergiorgio Schiavo. Fuori l'esperienza civica che stanno mettendo in piedi gli ex assessori regionali Andrea Gerosolimo e Donato Di Matteo, presa di posizione della Lega che, al momento, le altre forze di centrodestra non intendono mettere in discussione.
Come tradizione del centrodestra, la scelta del candidato governatore verrà da Roma; l'abbiamo anticipato su newstown, l'indicazione potrebbe essere lasciata a Forza Italia. In effetti, l'Abruzzo sarebbe stato inserito in una partita più ampia, che riguardava anche le elezioni in Piemonte e Basilicata e le nomine ai vertici delle aziende nazionali. Alla fine, alla Lega dovrebbero andare Piemonte e presidenza Rai mentre a Forza Italia Basilicata e Abruzzo.
In questo quadro, il nome più credibile per la candidatura a presidente pare quello di Umberto Di Primio, sindaco di Chieti, sebbene gli 'azzurri' stanno pensando ad un sondaggio, per misurare le potenzialità di Di Primio, della sindaca di Pratola Peligna Antonella Di Nino, del consigliere regionale uscente e già assessore Paolo Gatti e del collega Mauro Febbo.
Il condizionale è d'obbligo, però. E' evidente come il livello nazionale potrebbe influire sulle dinamiche che si stanno costruendo sui tavoli romani. In particolare, si dovrebbe guardare con particolare attenzione alla Lega: la recente sentenza del Riesame che, di fatto, ha bloccato i conti del Carroccio, potrebbe costringere la segreteria del movimento a rivolgersi alla Corte Europea della Giustizia. Non è da escludersi, però, che Matteo Salvini decida davvero di cambiare nome al partito, come anticipato dal fedelissimo Giancarlo Giorgetti. A quel punto, il progetto di un partito 'allargato' di destra, capace di aggregare gli ex AN e l'ala meno moderata di Forza Italia, potrebbe davvero realizzarsi. Con ripercussioni difficili da prevedere. D'altra parte, si affaccia all'orizzone la manovra economica che rappresenterà il primo, vero, test per il governo giallo verde chiamato a tenere in ordine i conti mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale. Un equilibrismo impossibile. Dovesse rompersi il fronte con il Movimento 5 Stelle - d'altra parte, i programmi economici dei due soci di Governo paiono inconciliabili - Salvini potrebbe decidere di andare all'incasso sull'onda dei sondaggi, tentando la scalata a Palazzo Chigi con la Lega rinnovata in un'ottica di 'sovranismo europeo'.
Tornando in Abruzzo, si dovesse davvero votare in marzo non è affatto detto che il centrodestra si presenterebbe all'appuntamento così come lo conosciamo oggi.
Qui Movimento 5 Stelle Più definita la situazione del Movimento 5 Stelle che si presenterà alle elezioni con una lista unica: nei giorni scorsi si sono celebrate le 'Regionarie' che, di fatto, hanno incoronato Sara Marcozzi: sarà l'avvocata chietina, già candidata presidente nel 2014, a tentare di prendersi la Regione.
Anche il Movimento, tuttavia, potrebbe risentire delle turbolenze nazionali: le continue 'sparate' di Salvini, infatti, hanno irrigidito l'ala più movimentista dei pentastellati che si sta raccogliendo intorno al Presidente della Camera Roberto Fico. Dovesse essere ancora la Lega a dettare l'agenda del governo, sebbene da 'socio di minoranza' dell'esecutivo, non è detto che l'apparente tranquillità mostrata in questi mesi dal Movimento non possa subire qualche 'scossone'.
E anche per Luigi Di Maio incombe il banco di prova della manovra economica, con i simpatizzanti del Movimento che non prenderebbe affatto bene eventuali passi indietro sul 'reddito di cittadinanza'.
Qui centrosinistra Ovviamente, il centrosinistra abruzzese si augura di 'tirare' fino a marzo, per riorganizzarsi dopo la batosta non ancora digerita del 4 marzo e sperando, così, di recuperare un poco di consensi.
Il candidato è stato individuato: si lavorerà alla discesa in campo di Giovanni Legnini che, il 24 settembre prossimo, concluderà il suo mandato al Consiglio superiore della Magistratura. E' chiaro che lo slittamento del voto permetterebbe anche di animare una campagna elettorale che, fino ai primi giorni di ottobre, non potrà essere avviata per evidenti ragioni di educazione istituzionale.
Legnini pare aver sciolto le riserve, accogliendo la sfida; in realtà, il vice presidente del Csm avrebbe posto una sola condizione: presentarsi a capo di una lista civica, supportata ovviamente dal centrosinistra allargato. Il modello è Teramo, per intendersi. Richiesta che sarebbe stata accolta favorevolmente dal PD. Dovesse andare così, insomma, il perimetro del centrosinistra potrebbe andare da Liberi e Uguali ai centristi, se si dovessero ricucire le fratture con Gerosolimo e Di Matteo.
Anche qui, però, incombe il livello nazionale, con la sfida congressuale tra l'area culturale che si sta riconoscendo intorno alla candidatura a segretario del governatore di Regione Lazio Nicola Zingaretti e i 'renziani' che non hanno ancora sciolto i nodi sul loro candidato. La solita, mai risolta, sfida tra la doppia anima di un partito che non ha ancora ritrovato la rotta e che, nei prossimi mesi, potrebbe arrivare al 'redde rationem'.