Giovedì, 11 Aprile 2019 13:55

Consiglio comunale, approvate le nuove norme tecniche d'attuazione in variante al Prg: ecco come cambia la ricostruzione dei centri storici delle frazioni

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Con i 16 voti a favore della maggioranza di centrodestra, il Consiglio comunale ha approvato le nuove norme tecniche d'attuazione, in variante al piano regolatore generale, per i centri storici del Comune dell'Aquila. La variante, in particolare, introduce nella disciplina edilizia per gli interventi nei centri storici del capoluogo e delle frazioni alcune misure di flessibilità nel riutilizzo degli edifici, al fine, come si legge nell'atto deliberativo, di "rivitalizzare la funzione propria di tali aree di primario centro di interesse ed attrazione. L'intervento viene ricavato attraverso l'ammissibilità di diversi tipi di attività, comprese quelle commerciali, con l'esclusione della media e grande distribuzione, e artigianali, con esclusione delle attività nocive e moleste".

"Profonda soddisfazione" è stata espressa dall'assessore alle Politiche urbanistiche del Comune dell'Aquila, Daniele Ferella. "Ora, sarà più agevole un cambio di destinazione d'uso verso il commerciale e l'artigianale negli edifici dei centri storici della città e delle frazioni – ha spiegato Ferella – ovviamente, con i ben precisi limiti disposti dalla deliberazione stessa. Tra questi, l'applicabilità del provvedimento solo ai piani terra nel centro storico dell'Aquila e ai fabbricati cielo-terra nei centri storici delle frazioni. Noi siamo per andare incontro alle necessità del territorio, non certo per deregolamentare".

Ferella ha inoltre sottolineato che, con la delibera varata dall'Aula, "si riporta l'articolo 46 delle stesse norme tecniche di attuazione alla conformazione antecedente al dicembre 2012, quando la passata amministrazione obbligò all'utilizzo delle procedure di restauro e risanamento conservativo per la ricostruzione dei centri storici. Questa situazione ha causato tanti problemi nella redazione dei progetti di ricostruzione, perché, nei limiti del contributo concesso, era molto difficile garantire dapprima il miglioramento e oggi l'adeguamento sismico degli edifici. Quanto stabilito oggi dal Consiglio – ha aggiunto l'assessore - consentirà ai proprietari una ricostruzione o ristrutturazione degli stabili più funzionale alle varie esigenze, soprattutto in materia di sicurezza. Anche in questo caso, comunque, permarranno le prescrizioni generali delle norme per i centri storici. Resterà inoltre garantita la maggiorazione del contributo, nel caso in cui il progetto preveda il recupero degli elementi di pregio".

Sta di fatto che il provvedimento rischia di stravolgere i centri storici delle frazioni. 

Un passo indietro.

Con delibera 109 adottata dal Consiglio comunale nel dicembre 2016, l'assise si era proposta di salvaguardare, nei processi di ricostruzione, gli edifici d'interesse storico, pochi a dire il vero, ma meritevoli di un intervento più attento; quel provvedimento, inoltre, eliminava il premio di cubatura previsto dal PRG nei centri storici di frazione, già devastati da indici di edificabilità inadeguati al tessuto dei piccoli borghi. Ed ancora, rendeva 'regolamento' le famose Prescrizioni per gli interventi nei centri storici allegate al Piano di Ricostruzione: in cambio, prevedeva incrementi del contributo di ricostruzione per eseguire interventi più accurati, laddove richiesti, consentiva di abbassare le quote di pavimento ai piani terra, ammetteva in ogni caso il ricorso a tecnologie costruttive più moderne in caso di gravi condizioni di danno o di edifici già rimaneggiati nel tempo, liberava gli usi.

La proposta originaria aveva già subìto una prima modifica in sede di approvazione delle controdeduzioni, con delibera di Consiglio comunale del febbraio 2018. Con un emendamento proposto dall'allora consigliere Ferella (all'epoca capogruppo della Lega) e dal collega di opposizione Paolo Romano (capogruppo de Il Passo Possibile), si era ridotto il numero di edifici da attenzionare facendo retrocedere dal 1930 al 1860 il termine di costruzione entro cui obbligare al restauro conservativo degli edifici definiti storici, quelli che, per epoca di costruzione, dimensioni, sagoma, caratteristiche strutturali e costruttive erano, in sostanza, rappresentativi del contesto urbano di riferimento e delle tradizioni costruttive locali.

Con l'approvazione della delibera giunta in aula stamane, però, si è messo di nuovo mano al provvedimento, in modo ancor più radicale, facendo sparire, in sostanza, l'obbligo di restaurare edifici riconosciuti di pregio, con la cancellazione del termine temporale del 1860 - si potrà procedere con la ristrutturazione edilizia anche per gli edifici con vincolo diretto - e reintroducendo il premio di cubatura. La norma originaria, in effetti, prevedeva si potesse utilizzare il premio "una tantum" in ragione di alcuni parametri: 35% del volume esistente per edifici con volumetria inferiore a 600 mc; 0% per edifici con volumetria da 2.500 mc in su; per i valori intermedi, invece, era previsto si potesse operare "per interpolazione lineare; tali volumetrie incrementali, se realizzate fuori dalla sagoma attuale" dovevano comunque essere soggette "al rispetto delle distanze minime previste dalle singole prescrizioni di zona". Con le modifiche approntate, invece, per i valori intermedi si opererà per interpolazione lineare, senza alcun riferimento ulteriore alle volumetrie incrementali; anzi si potrà costruire "un nuovo piano" - soltanto uno viene specificato - a meno che non vi siano piani "già parzialmente esistenti".

In questo modo si rischia di snaturare la configurazione stessa dei centri storici delle frazioni. E tra l'altro, è come tornare al punto di partenza, al 2015, allorquando si rese necessaria la modifica in variante al piano regolatore generale per le criticità riscontrate in Commissione Pareri, con la Soprintendenza che si mostrava piuttosto stringente sulla possibilità, o meno, di procedere con abbattimenti e ricostruzioni nei centri storici. 

Stamane, in aula, il capogruppo del Passo Possibile Paolo Romano ha presentato due emendamenti al provvedimento, entrambi bocciati dalla maggioranza, il primo dei quali, in sostanza, intendeva fare salve, almeno, le sagome degli edifici; con l'emendamento presentato insieme a Ferella, in effetti, i proprietari di edifici successivi al 1860 potevano sì procedere con la ristrutturazione edilizia rispettando, però, la sagoma dell'edificio stesso: stante la delibera approvata dal Consiglio, invece, si potrà procedere fatta salva la volumetria, non più la sagoma. Ecco il motivo per cui i centri storici potrebbero cambiare volto. L'altro emendamento, invece, impegnava a riconoscere nel contributo i costi delle demolizioni e dello smaltimento delle macerie anche in caso di abbattimento deciso dai proprietari: l'assessore Daniele Ferella ha dichiarato, tuttavia, che i costi suddetti sono già riconosciuti dall'Usra. 

Essendo state bocciate le proposte di modifica, il gruppo consiliare del Passo Possibile ha abbandonato l'aula al momento del voto. Tra l'altro, preliminarmente era stata respinta una pregiudiziale sulla legittimità della delibera presentata dallo stesso Romano e che ripercorreva, d'altra parte, una nota di chiarimento che il capogruppo del Pd Stefano Palumbo, impossibilitato a partecipare al Consiglio comunale per motivi di salute, aveva inviato alla segretaria generale Alessandra Macrì per fare chiarezza sull'iter procedurale del provvedimento. Detto che la segretaria, in Consiglio, non si è presentata, e non ha neanche lasciato una risposta scritta alla sostituta Paola Giuliani che è venuta a conoscenza della nota soltanto stamane, il punto della questione è il seguente: il testo originale adottato dal Consiglio nel dicembre 2016 aveva ottenuto il parere positivo della Asl, della Soprintendenza e della Provincia che, al fine di pervenire in tempi rapidi alla conclusione del procedimento, aveva addirittura espresso un parere preventivo di non contrasto con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.

Già in fase di recepimento e controdeduzioni delle osservazioni in Consiglio comunale, nonostante il parere di regolarità tecnica espresso dal dirigente competente, Palumbo aveva denunciato la forzatura alla procedura con l’approvazione di un emendamento modificativo al testo adottato - quello che retrocedeva i termini 'storici' dal 1930 al 1860 - circostanza successivamente confermata anche dalla Provincia nel verbale del 20 settembre 2018 in cui testualmente si precisava: “… va evidenziata la circostanza che, dopo la sua adozione, allo strumento urbanistico possono essere apportate soltanto le modifiche connesse all’accoglimento delle osservazioni presentate nei termini di pubblicazione e tutte le modifiche ed integrazioni conseguenti al recepimento dei pareri prescritti dalle norme in vigore. Per questo motivo, le modifiche conseguenti all’approvazione dell’emendamento consiliare non possono ritenersi applicabili”.

Come nulla fosse, però, la giunta ha deciso di portare all’approvazione finale dell'assise una versione che stravolge - come vi abbiamo spiegato - l’impianto iniziale della delibera, con l’art. 46 delle NTA che passa dalla disciplina del “Restauro e risanamento conservativo delle frazioni” a quella della “Ristrutturazione delle frazioni”.

"Si tratta, evidentemente, di un deprecabile tentativo di piegare le norme concepite a tutela dell’interesse generale, alla volontà politica dell’attuale amministrazione - l'affondo di Stefano Palumbo - contravvenendo a quanto previsto nelle fasi di costruzione di un iter formativo qual è quello in questione, eludendo di fatto la fase di pubblicità e di recepimento dei pareri. Inoltre, non risulta che l’atto così stravolto sia stato riproposto al parere della Soprintendenza, visto che “tutti gli interventi previsti nelle aree interessate dalle presenti varianti al piano vigente dovranno essere preventivamente autorizzati dalla stessa ai fini del rilascio dell’autorizzazione di competenza ai sensi dell’art.21 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, indicazione riportata come prescrizione al parere emesso dalla stessa Sovrintendenza il 4 maggio scorso".

Sta di fatto che Macrì non ha lasciato alcuna risposta scritta, la vice Giuliani non ha inteso assumersi responsabilità e il dirigente all'urbanistica Domenico de Nardis - più volte sollecitato dal presidente del Consiglio, Roberto Tinari - ha respinto le pregiudiziali delle opposizioni, difendendo la regolarità dell'iter procedurale sebbene avesse sottoscritto il verbale del 20 settembre 2018 in Provincia in cui era scritto, nero su bianco, che non si sarebbero potute apportare modifiche allo strumento urbanistico dopo la sua adozione (tra l'altro, lo stesso de Nardis aveva già dato parere di regolarità tecnica all'emendamento, modificativo, di Ferella e Romano).

Succede anche questo, evidentemente.

Ultima modifica il Venerdì, 12 Aprile 2019 10:52

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